Andrea Alemanni, presidente della Commissione commercio al Comune di Roma, replica deciso al malumore suscitato dalla fine del blocco delle licenze nel centro capitolino. Con lo scadere della proroga di maggio scorso, dal primo gennaio 2024 si potrร di nuovo dare il via a nuove attivitร artigiane in ambito alimentare (come gelaterie, kebab e pizzerie), purchรฉ rispettino certe regole (per esempio essere iscritte allโAlbo delle imprese artigiane), mentre permane il veto per i nuovi minimarket fino al 2025. Il divieto nasce nel 2018 e di delibera in delibera รจ arrivato fino a oggi per mettere un freno alla progressiva trasformazione del centro storico in luna park del cibo a basso costo e ancor piรน basso livello, mangiatoie acchiappa turisti che offrono non soltanto un cibo scadente, ma anche un’immagine deturpata della cittร . Di cui pagano tutti le spese, cittadini, turisti, imprenditori. Eppure, nonostante le buone intenzioni, rimangono perplessitร sul come si possa certificare e misurare un locale in base alla qualitร dei propri prodotti.
ยซRoma รจ un costo da tenere a bilancio come lโaffitto, le utenze e il personaleยป ha detto Alessandro Pipero, in una recente intervista. Un costo dovuto alla mancanza di visione e di controllo, secondo Cristina Bowerman. Insomma, per poter competere a livello internazionale, ยซquesta cittร deve ripulirsiยป per usare le parole diย Anthony Genoveseย altro cuoco imprenditore, e lavorare per limitare la presenza di locali di scarsa qualitร incentivando le imprese artigiane va esattamente in questa direzione.
Dire imprese artigiane alimentari, perรฒ, non assicura la qualitร . La legge regionale 3 del 17 febbraio 2015 (Disposizioni per la tutela, la valorizzazione e lo sviluppo dell’artigianato nel Lazio) indica come primo requisito delle imprese artigiane (art.6, comma 1) l’avere ยซper scopo prevalente lโesercizio di unโattivitร diretta alla produzione e alla trasformazione di beni, anche semilavorati, o alla prestazione di serviziยป. Avete letto bene: produzione e trasformazione di beni, anche semilavorati. Un dettaglio che non sfuggirร agli appassionati di gelato che sanno bene che la dicitura ยซartigianaleยป non dร alcuna garanzia sulla bontร del dolce, nรฉ sull’uso di materie prime buone o almeno sane e naturali, ma solo della lavorazione in loco.
Altro punto vincolante รจ che il titolare o il socio prenda parte direttamente al processo produttivo: senza quello si parla di attivitร commerciali e non artigianali. Un distinguo che perรฒ, nel sentire comune, non viene percepito chiaramente e che spesso viene volutamente spostato in una zona grigia.
Gli animi delle associazioni dei residenti sono infatti infuocati. Immotivatamente secondo Andrea Rotondo di Confartigianato: ยซNon stiamo parlando di attivitร di somministrazione. A fronte delle oltre 4mila attivitร nel centro storico, le artigiane (Iscritte allโAlbo delle Imprese Artigiane della Regione Lazio) sono solo 290, 0,29% ogni 100 abitanti e non 1,27%ยป.
Il resto sono โ appunto โ attivitร commerciali, molti di piรน i minimarket: 374, oltre ai 2900 bar e ristoranti e 458 esercizi alimentari di vicinato. ร lui che ci fornisce i dati sulle imprese artigiane: ยซDal 2019 a oggi il numero delle imprese artigiane attive sul territorio di Roma Capitale รจ passato da 42.130 a 39.542 con una riduzione di 2.588 unitร . Nel centro si รจ passati da 4.795 a 4.379 con una riduzione dell’8,67%ยป. Parla di tutti i settori, riguardo al comparto alimentare e alla ristorazione si contano 61 aziende in meno. Dunque l’allarme dei residenti รจ ingiustificato? La Rete di Associazioni per una Cittร Vivibile (Racv) segnala che i dati di ottobre fanno registrare un incremento delle attivitร . Secondo Alemanni sono quelle che hanno approfittato di un lasso di tempo fuori dalle regole tra lo scadere del vecchio regolamento e l’entrata in vigore del nuovo.
Come sia, in realtร le strade della zona Unesco sono asfissiate da moltissime attivitร di somministrazione o consumo sul posto. ยซIl vero problema sono le attivitร aperte da anni, su quelle non facciamo nulla – dice Rotondo – la nostra proposta รจ di dare una serie di criteri, e un arco temporale per adeguarvisi, per esempio entro al Giubileo. Tre le indicazioni,ย a parte la gestione del fresco, anche dove sono posizionati bancone, frigoriferi, intervenendo sull’offerta, monitorando la qualitร dei prodotti; ed estendere le nuove regole anche per le attivitร in essere. Chi non rispetta le norme, deve chiudere. Questo vale anche per gli esercizi di vicinato, a nostro avviso serve una norma che non si limiti solo a indicare la percentuale della superficie di vendita ma che riservi una parte alla vendita di prodotti di gastronomia, macelleria, pane, pesce, frutta, per trasformare lโesercizio non specializzato (come minimarket, empori) in esercizio specializzato. Bisogna occuparsi degli esercizi in essere con situazioni di criticitร (decoro, dequalificazione). Servono controlli, se non ci sono รจ un problema del Comune, non di chi fa attivitร : non si puรฒ far chiudere ex ante perchรฉ non possono fare controlli. Abbiamo proposto al Comune un osservatorio per verificare periodicamente il saldo tra aperture e chiusure e monitorareย come si sta qualificando il tessuto commerciale e territorialeยป. Rimane la soddisfazione per il nuovo regolamento e ai requisiti che definisce ยซstringentiยป.
Tra i vincoli ci sono quelli della superficie minima: 80 mq che diventano 100 se si vendono anche prodotti confezionati e non frutto del lavoro artigianale, fosse anche una bottiglietta d’acqua, obbligatori poi la presenza del bagno e lโinsonorizzazione dei locali. Bastano? ยซI fatti ci dicono di sรฌ: da maggio questi vincoli sono in vigore anche per i trasferimenti di attivitร . Prima che non c’erano, si trasferivano in massa: non aprivano nuove attivitร , perchรฉ era tutto bloccato, ma si spostavano per motivi fiscali e per seguire la movida. Da quando il locale di destinazione deve avere queste caratteristiche siamo passati da circa 600 a una decina. Poi diciamocelo: avere un locale di almeno 100mq in zona Unesco devi investire davveroยป. Certo, ma ben sappiamo delle infiltrazioni della malavita nei pubblici esercizi, e senza entrare in casi di cronaca, non รจ un mistero che buoni margini si fanno piรน facilmente se si risparmia sulla qualitร .
Di qualitร non si parla nel regolamento se non per il divieto di vendere cibi precotti e non provenienti dalla produzione del laboratorio, lโobbligo all’utilizzo di materie prime che rispettino la normativa vigente, come nel caso della tracciabilitร .ย Non si potevano aggiungere vincoli legati alla qualitร del prodotto? ยซNoi non possiamo fare le leggi, dobbiamo amministrare con le leggi a disposizione. Come ente locale posso determinare la tipologia di attivitร che apre sul mio territorio entro certi parametri, non oltre: la libera concorrenza รจ garantita da una legge nazionale. ร giร successo che i commercianti abbiano fatto ricorso al Tar e vinto contro il Comune. Senza contare che il nostro obiettivo non รจ ammazzare le attivitร ma regolamentarle per bene nella misura che ci รจ consentita dalle leggi vigentiยป.
Gli fa eco Rotondo: ยซUn provvedimento come i cinque anni di blocco dellโapertura di nuove attivitร alimentari non qualifica il tessuto commerciale nรฉ migliora il decoro del territorio. Ci ritroviamo le aree di maggior pregio, con scarsa qualitร di offerta alimentare. Non si avviano nuove attivitร che rispettano migliori criteri quantitativi e qualitativi e rimangono le rendite di posizione di quelle in essereยป.
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