Tra le molte eccellenze gastronomiche dell’Abruzzo, una delle più autentiche e meno conosciute fuori dai confini regionali è la scrucchiata, una confettura d’uva che racchiude in sé la semplicità, la genuinità e il sapore intenso di un tempo. È un prodotto profondamente legato alla cultura contadina abruzzese, nato dall’esigenza di conservare l’uva in modo naturale e saporito, utilizzando soltanto pochi ingredienti e nessun additivo.
La scrucchiata si ottiene a partire da un tipo specifico di uva: Montepulciano d’Abruzzo, un vitigno autoctono noto soprattutto per la produzione dell’omonimo vino. L’uva viene raccolta a piena maturazione, quando è al massimo della sua dolcezza. La parola stessa, “scrucchiata“, deriva dal dialetto abruzzese e fa riferimento all’azione di schiacciare gli acini a mano, senza l’uso di macchinari, per separare il succo e la polpa dalla buccia e dai semi. Altre origini del nome si riferiscono al fatto che dopo le tante ore di cottura, le bucce dell’uva iniziano a scoppiettare “scrocchiando”.
La preparazione della scrucchiata richiede un procedimento meticoloso. Il primo passo consiste nel separare la polpa, i semi e la buccia degli acini d’uva, schiacciandoli singolarmente con le dita.
Gli ingredienti vengono poi divisi in due recipienti: uno per la polpa e i semi, l’altro per le bucce. La polpa e i semi si cuociono per circa 10-15 minuti. Per la versione tradizionale della ricetta, non è previsto l’uso di zucchero. Dopo la cottura, la polpa viene passata attraverso un setaccio, noto nella regione come crivillucc, per eliminare i semi, e il composto ottenuto viene unito alle bucce nell’altro recipiente.
La confettura si cuoce a fuoco lento. Per determinare il tempo di cottura, ci si basa sulla quantità d’uva utilizzata. Per sapere se la scrucchiata è pronta, si esegue la prova del piattino: si versa una piccola porzione di confettura su un piatto e lo si inclina. Se il composto rimane fermo e compatto, la cottura è terminata. Se invece scivola, si prosegue la cottura a fuoco lento fino a raggiungere la consistenza desiderata.
Foto credit, Facebook Farina del mio sacco-Bakery
Un abbinamento classico e goloso per la confettura scrucchiata sono i tarallucci, biscotti tradizionali della provincia di Chieti senza lievito e uova. Questi dolcetti a forma di ciambella o a “ferro di cavallo” vengono farciti con la marmellata d’uva, cioccolato fondente tritato, mandorle e scorza d’arancio, creando un contrasto perfetto tra la croccantezza dell’impasto e la morbidezza del ripieno.
Per assaporare questa specialità reinterpretata con farina di solina macinata a pietra, ci si può recare da Farina del mio sacco, una piccola panetteria di Atessa riconosciuta con i Tre Pani dalla Guida Pane e Panettieri d’Italia 2026 del Gambero Rosso.
In molte famiglie abruzzesi viene consumata semplicemente spalmata sul pane o sulle fette biscottate, magari a colazione o a merenda, oppure come accompagnamento a formaggi stagionati. Proprio per la sua versatilità e il suo legame con il territorio, negli ultimi anni ha iniziato a essere riscoperta anche in versioni creative e moderne, sempre però rispettando la sua autenticità.
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