Bello di giorno, Diego Rossi. Sono stato al primo pranzo del venerdรฌ di Trippa, la piรน (meritatamente) fortunata trattoria di Milano, e posso dire che sรฌ, la luce si addice al locale di via Vasari, che nel servizio diurno non perde un grammo dellโatmosfera che lโha resa mitologica. Anche se Diego cโera solo stavolta, per il battesimo. โMa vรจcio, scrivilo che io il venerdรฌ a pranzo non ci sarรฒ โ mi dice -. Non ci sarรฒ io e non ci sarร il vitello tonnatoโ. Fatto.
L’ingresso dei primi clienti a pranzo da Trippa
Premessa didascalica: qualche settimana fa un post sui social scritto da Pietro Caroli, il socio di Rossi, annuncia che dal mese di ottobre Trippa chiude il sabato, garantendo ai dipendenti un intero fine settimana libero (la domenica era giร giorno di chiusura) e inaugura il servizio a pranzo per il solo venerdรฌ. La notizia suscita un certo scalpore, un poโ perchรฉ Trippa fa sempre notizia, un poโ perchรฉ rilancia lโ(inutile) dibattito sugli orari della gente che nei ristoranti ci lavora. Cioรจ, il dibattito non รจ inutile, il tema cโรจ tutto, ma non รจ certo Trippa a fare da benchmark, visto che รจ uno dei pochi ristoranti a Milano e in Italia per cui un giorno vale lโaltro. Sempre pieno, una lista dโattesa da concerto dellโaltro Rossi (Vasco), gente che si raccomanda a santi di qualsiasi rango per avere un tavolo in qualsiasi orario. Se Trippa decidesse di introdurre un servizio a mezzanotte e mezza sono certo che riempirebbe il locale lo stesso.
L’esterno di Trippa
Detto questo, sono quasi emozionato quando mi avvicino da Trippa per la prima volta non in orari licantropeschi. Ma oggi รจ un giorno speciale. Lo si capisce dalla strana atmosfera elettrica che si respira tra i clienti che attorno alle 12,30 (ora della prima convocazione) si raggruppano fuori dal locale, dove un cartello giallo avverte: โclosedโ. Io sono tra i primi trenta fortunati, il mio essere solo mi ha fatto vincere lโultimo dei tre posti al bancone, assieme a due simpatici fratelli sconosciuti (a me, non tra di loro). Sono il cliente dispari, un tappabuchi felice. Altrimenti, la procedura per la prenotazione รจ sempre la stessa, una frustrante sequela di sold out che poi il tratto umano di Rossi e compagnia cerca di mitigare in qualche modo cercando di accontentare il maggior numero di persone.
Il Cavolo cappuccio
Il locale alle 12,32 รจ ancora chiuso. La folla rumoreggia: non sarร stato uno scherzo questa apertura a pranzo? No, qualcuno a un certo punto apre e i primi avventori entrano, sento dire dai due che precedono tutti: โPotremo dire di essere stati i primi a entrare da Trippa a pranzoโ. Sono soddisfazioni. La sala si riempie lentamente, il grosso dei clienti arriva attorno alle 13, ed รจ il solito miscuglio di Trippa-lover: appassionati, clienti abituali, chef in pellegrinaggio, qualche semi vip, gruppi di amici, in un tavolo da sei sono stipate in sette, strette strette, delle giovani donne straniere che (le sbircio) devono essere capitate lรฌ grazie a un reel su Instagram, perchรฉ non รจ che facciano cosรฌ tanto onore alla cucina: le vedo dividersi due piatti di tajarin alle vongole quando io nello stesso tempo me ne pappo uno da solo, con grande soddisfazione.
A proposito, il menu. ร lo stesso, piรน o meno, della cena. Nove antipasti: tra essi la celebre Trippa fritta, certe Olive nolche fritte (una ricetta pugliese che cuoce una tipologia di olive nere dolciastre ma con una piacevole scia amarognola in olio senza panatura), Fichi freschi e bresaola di Carlo Alberto Menini, Zucca mantovana arrostita con crema di pere faccibedda, semi di zucca, foglie di cappero, formaggio di capra stagionato e salmoriglio, delle Lumache con rigaglie di pollo e un magnifico Cavolo cappuccio arrostito con salsa alla bottarga, cedro candito e olio al porro. E nove piatti principali: una Zuppa di cicerchie con zucca, pomodori e biete, servita con crostini, pecorino e olio al peperone crusco, le celeberrime Tagliatelle al burro e parmigiano, i giร citati Tajarin alle vongole selvagge che arrivano dal mare Adriatico e pepe nero (un poโ tanto, il pepe, che al naso prevarica il resto), il Baccalร e finocchi gratinati al caciocavallo con olio al cavolo nero, e il fegato di vitello con crema di zucchine, fichi infornati e cotto di fichi e alloro. Rinuncio al dolce e quindi non sbircio la carta, ma a occhio non dovrebbe mancare il Tiramisรน, di cui Diego dร da sempre una degnissima interpretazione.
I Tajarin alle vongole
La carta dei vini รจ la solita collezione non sterminata ma molto pensata di etichette underground, io assaggio tra lโaltro un blend di bianchi marchigiani da vecchie vigne (Malvasia, Trebbiano, Maceratino e Verdicchio) del 2021 di Contrada Tomassucci, poi un delicato Frappato Cos e un assaggio di Chenin di unโazienda che non ricordo che mi viene suggerito per accompagnare il fegato (e va detto, si sposa perfettamente).
Il fegato
Gira una piccola troupe argentina finita qui chissร come (ma Diego non sembra turbato), qualcuno esce a fumare, i tavoli parlano tra loro, ogni tanto in cucina entra un estraneo a salutare Diego, la gente sembra felice nel modo in cui si รจ felici qui (tanto). Pago volentieri i miei 80 euro (che poi sarebbero 89 ma ricevo un piccolo sconto. E sรฌ, non รจ un prezzo da trattoriaย e blablablร , ma io ho mangiato davvero tanto) e me ne vado con la festa ancora in corso tra i primi, alle 14,40 e mi accorgo che forse io due ore e dieci da Trippa non le ho mai trascorse, sarร anche perchรฉ la sera cโรจ il doppio turno. E allora forse il pranzo funziona davvero. Vedremo venerdรฌ prossimo, senza Diego (e senza me), ma il successo sembra annunciato.
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