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Recensione

Il ristorante di pesce di Roma che stavolta ci ha deluso. Cronaca di un pranzo andato male

A differenza del passato, quello che abbiamo assaggiato durante la nostra ultima visita da Livello 1 non ci ha convinto, nonostante l'ottimo servizio

  • 14 Maggio, 2025

Nella Capitale trovare un ristorante di pesce che offra un buon rapporto qualità-prezzo può essere una missione ostica. Nel proliferare di indirizzi ci si trova a spendere o una fortuna — considerata la fascia di prezzo spesso proibitiva — oppure a imbattersi in una proposta di mare più “democratica”, ma non pienamente soddisfacente. Cosa che ha reso la categoria per lo più quella delle grandi occasioni, ricercata dalle persone per celebrare qualcosa di speciale. La crescita negli ultimi anni delle risto-pescherie è stata in tal senso la risposta del settore all’esigenza di riavvicinare il pubblico attraverso una formula che fosse più popolare e accessibile ma che, al contempo, contenesse i costi di gestione. Tra le insegne marinare della fascia intermedia divenute un punto di riferimento nel quartiere dell’Eur c’è Livello 1, poco distante da uno dei panifici migliori di Roma. Ma purtroppo, a differenza del passato, quello che abbiamo assaggiato durante la nostra ultima visita non ci ha convinto.

La recensione del ristorante Livello 1

Aperto nel 2016 da Emilia Branciani, Livello 1 rappresenta un angolo eclettico di Roma Sud, tra ristorante, bistrot (Livellino) e Pescatoria, la pescheria che all’occorrenza prepara anche menu d’asporto. Gli interni ampi, caratterizzati da tonalità bianche, rami d’albero e una vistosa grafica retroilluminata dell’habitat tipico delle profondità oceaniche, possono accogliere settanta coperti. A dividere l’area ospiti dai fornelli una lunga vetrata attraverso la quale si può apprezzare l’attività culinaria. Una sala tra il classico e il contemporaneo, concepita pensando al rapporto naturale fra terra e acqua, e che vuole essere sia immersiva che elegante. Quasi a costruire una dimensione parallela rispetto alla quotidianità caotica del quartiere. L’imprenditrice ha affidato le redini della cucina al giovane Mirko Di Mattia, che dagli esordi si rifà a un registro gastronomico grossomodo tradizionale, integrato qua e là da elementi di modernità. Il cuoco sposa la “semplicità” muovendosi in base al pescato giornaliero derivante dalle aste cui partecipa online.

Carpaccio di salmone, salsa rapa rossa, mandorla e basilico

Quello che non ci è piaciuto

Come si scrive sul profilo Instagram, freschezza e qualità sono principi irrinunciabili. E continuando a leggere, da quanto si declama, ci si aspetta «solo pescato locale di prima scelta». Ecco che dopo aver assaggiato un buon “prosciutto di tonno” e una discreta interpretazione dell’oliva all’ascolana (preparata con la palamita), inclusi nel benvenuto, siamo colti di sorpresa da un antipasto a base di salmone marinato, pesce che viene utilizzato sempre meno nei ristoranti a causa del suo impatto sull’ambiente. Il risultato? Non soddisfacente, in quanto il pesce risulta affogato in una salsa di rapa rossa stucchevole.

Tagliolini ai gamberi

Gli altri piatti del percorso si sono rivelati senza mordente, fuori giro o incapaci di esaltare le caratteristiche organolettiche della materia prima. Nello specifico, il tagliolino ai gamberi, serviti sia cotti sia crudi, mancava di armonia. La preponderanza dolciastra della bisque di crostacei offuscava la rotondità del gambero cotto. Ma anche quello crudo era fuori sincrono: sempre la bisque copriva la nota iodata. Infine, la purea di melanzane risultava superflua.

E arriviamo al secondo. La spigola servita insieme a dei funghi champignon (in varie consistenze) restava un pochino scialba, nonostante il tentativo di dare freschezza al piatto con gel al limone. Capitolo dessert: troppi eccessi di forma e sostanza. Estetica che vuole conquistare facendosi opulenta e traendo vigore simbolico da tradizione e memoria. Vale per l’Ovettomisù, un tiramisù all’arancia racchiuso da una copertura di cioccolato bianco e adagiato su un nido di pasta kataifi, al pari de La tavola di nonna Argentina, che richiama la pratica un tempo più diffusa di fare la crostata in casa. Questo assemblaggio zuccherino, composto da un mattarello di pasta frolla ripieno di crema pasticcera, uova di mango inversamente sferificato, semifreddo alla vaniglia e gelatina all’arancia, viene costruito sui ricordi d’infanzia del cuoco. Pur rispettando il vissuto di ciascuno, il costrutto della nonna ci affascina sempre meno. La riteniamo una retorica superata (trovate tutto nel numero del mensile di giugno in uscita a fine mese). Un peccato visto che il menu degustazione dovrebbe rappresentare la migliore espressione del repertorio di uno chef che, non vincolato dalle richieste della clientela, ha la libertà di mostrare le proprie capacità e idee.

La tavola di nonna Argentina, mattarello di pasta frolla farcito di crema pasticcera

Cortesia in sala

Della cucina apprezziamo la volontà di farsi in genere diretta, comprensibile, a misura del cliente medio. Probabilmente fra i fattori che hanno reso Livello 1 un ristoro per tutti, con aficionado disposti a spendere ogni tanto «più di 100 euro a testa per concedersi un pasto che comprenda pure lo spaghetto con l’astice», come dice lo chef. Ma il pezzo forte della casa sembra in realtà l’accoglienza. La cortesia e professionalità del servizio di sala rendono l’esperienza confortevole, ciò che mette a proprio agio i commensali, a prescindere da come si mangia e quanto si paga. Forse, il segreto del ristorante. Troppo poco però per un locale che nella nostra ultima guida ristoranti si era posizionato su ottimi standard qualitativi, quelli raggiunti da pochi fine dining, alcuni persino premiati.

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