Al riparo, certo, da annunci trionfali (fuori luogo dato il momento delicato del settore), l’apertura in questi giorni di un nuovo ristorante – Àlea a Castell’Alfero poco fuori Asti – va salutata con indubbia simpatia anche perché vede il rientro in Italia di due giovani talenti. Non già di cervelli in fuga stiamo parlando, ma di due cuochi – il piemontese Alessandro Bartoli e il ligure Giulio Canavese – che si sono conosciuti alcuni anni or sono nelle cucine di quello che attualmente è considerato il ristorante n.1 al mondo (almeno fino alla prossima e imminente uscita della classifica dei 50 Best), il Disfrutar di Barcellona, dove Alessandro è stato capo partita dei pesci e delle carni mentre Giulio lavorava in pasticceria e che oggi, avvertito forte come non mai il richiamo della terra natia, hanno deciso di mettersi in gioco in una piazza dalla tradizione gastronomica importante come quella astigiana.
Spiega Alessandro Bartoli: «Io volevo tornare a casa anche perché sono innamoratissimo della mia Asti alla quale ad esempio vorrei dedicare un menu speciale per il Palio e i suoi 750 anni. In futuro vorrei anche dare voce a diversi aspetti storici del territorio traducendoli in suggestioni culinarie: la prima coccarda tricolore l’ha creata nel 1794 una persona di Castell’Alfero, il protomartire del Risorgimento Giambattista De Rolandis insieme al bolognese Luigi Zamboni».
Il curriculum di Alessandro fa impressione tenendo conto l’età, 30 anni, e l’importanza delle esperienze professionali vissute da questo giovane chef estroverso: degli 8 anni trascorsi in Spagna, tre li ha vissuti a stretto contatto con Dani Garcia ai tempi del ristorante tre stelle Michelin a Marbella, per poi passare a Valencia, quindi al Disfrutar e poi un anno ancora nel laboratorio di ricerca e sviluppo del Bar Paradiso eletto, di nuovo, miglior Bar al mondo. Seguirà un passaggio in un tristellato in Belgio (il Boury), lo stage al Noma e da Dinner by Heston Blumenthal a Londra. La sintesi di Alessandro: «L’esperienza più intensa è stata per me la Spagna come del resto il Nord Europa: da entrambi ho portato a casa la voglia di sperimentare. La Spagna insegna l’estro, la creatività, l’apertura mentale, ma anche il Mediterraneo, le spezie, il sapore arabeggiante. Il Nord Europa è maestro nell’uso delle erbe e del foraging».
Gli fa eco l’amico Giulio Canavese (nell’avventura di Àlea come terzo socio è presente anche l’ex sindaco di Castell’Alfero Angelo Marengo) 35 anni, rigoroso, di formazione ingegnere – «che poi ho lasciato prima della laurea per intraprendere seriamente la carriera di cuoco: dapprima nelle classiche trattorie dell’entroterra ligure, quindi all’Alma di Parma». Dopo l’incontro con Alessandro a Barcellona, Giulio fa tappa al Glam di Bartolini a Venezia, dove cura anche la panificazione, quindi l’esperienza più importante è da Georges Blanc, in Francia, dove rimane per due anni fino a diventare secondo di pasticceria.
La prima parola (che dà il nome al ristorante) rimanda esplicitamente alla celeberrima frase pronunciata da Giulio Cesare – Alea iacta est, vale a dire “il dado è stato gettato” – e indica l’impegno e la dedizione totale verso una decisione da cui non si può tornare indietro. E la sensazione è che dinanzi a queste dolci colline del Monferrato, al cospetto di paesi dalla lunga storia che hanno nome di Moncalvo, Tonco e Calliano, e di sua maestà il Monte Rosa all’orizzonte, qui – tra le sale di una castello originario del XIII secolo trasformato nel Settecento in elegante edificio barocco dall’architetto Benedetto Alfieri, zio del grande poeta – stia per nascere un indirizzo gourmet destinato a far parlare di sé.
«Ma niente fughe in avanti – chiarisce subito Giulio -: puntiamo a essere sostenibili anche economicamente. Ci piace fare la nostra cucina, ma l’obiettivo è inserirci in questo contesto, farci capire, mi piace lavorare con la gente del posto. Il nostro menu classico vuole essere un invito: puoi venire a mangiare qua e trovare qualcosa che conosci anche se avrà qualche tocco diverso».
Tre menu degustazione (a partire da 55 euro per quello del territorio fino a 80 euro per il menu sperimentale e 70 euro per quello vegetale). «La sfida è quella di ringiovanire un po’ il contesto – è la promessa di Alessandro Bartoli – proprio dove è presente una grande tradizione storica, cucinando qualcosa che possa piacere alle persone del luogo, senza per questo necessariamente appiattirsi sui sapori». Tra i piatti assolutamente da provare l’Anguilla affumicata passata al cannello, accompagnata da una zuppa fredda tipo gazpacho di ciliegie in carpione e un gelato alla robiola di Roccaverano. Eccellente la Lingua di vitello glassata con una salsa bordolese, crema con crescione d’acqua e semi di senape in salamoia, oxalis rossa e fiori di acetosella. Molto buono il pre dessert con un sorbetto con le ciliegie in carpione. E davvero notevole la piccola pasticceria che reinterpreta in maniera ispirata i classici piemontesi: dal piccolo bonet al bignè a forma di riccio con zabaione e nocciola al risolatte con gel di barbera. La carta dei vini, con un centinaio di referenze iniziali, si concentra su Piemonte e Francia, ma presto si allargherà anche alla vicina Liguria.
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