Fotografandone lo stato anno dopo anno nella guida Vini d’Italia del Gambero Rosso, ci sembra che in Campania attualmente il Cilento stia vivendo un nuovo periodo di fioritura grazie all’impegno di diversi produttori in grado di emergere con etichette interessanti, spesso anche dai tratti originali, proprio come quelle prodotte dalla coppia di vignaioli di cui vi parliamo qui.
Il mestiere dell’architetto e quello del vignaiolo, a un primo sguardo, sembrano appartenere a mondi lontanissimi: uno progetta edifici e case, l’altro coltiva la terra. L’architetto lavora su un progetto che, per quanto complesso, può essere delineato in anticipo con precisione millimetrica; il vignaiolo, invece, lavora in un ambiente in larga parte incontrollabile: il clima, le malattie della vite, l’andamento della maturazione. Eppure, se li si osserva con maggiore attenzione, emergono analogie profonde, quasi archetipiche, che rivelano un dialogo comune tra creazione, tempo e territorio. Entrambi i mestieri partono da un atto visionario: l’architetto immagina uno spazio che ancora non esiste, il vignaiolo immagina un vino che nascerà da una stagione di lavoro e da una trasformazione invisibile. In entrambi i casi, la materia prima – che sia la terra o il paesaggio urbano – viene ascoltata, studiata, rispettata, prima di essere trasformata. Nessuno dei due mestieri può essere svolto in fretta o senza una visione d’insieme. L’intuizione serve, ma è la disciplina a fare la differenza.
Probabilmente avranno pensato (anche) a questo Elisabetta Iuorio e Pasquale Mitrano, quando nel 2000 hanno deciso di abbandonare la professione per dedicarsi alla terra, recuperando un vecchio terreno di famiglia e dando vita a un progetto agricolo sostenibile e innovativo. Si tratta di Casebianche, un’azienda agricola che si staglia tra le colline di Torchiara e il mare di Agropoli, nel cuore del Parco Nazionale del Cilento, immersa tra ulivi secolari, agrumeti e fichi, un territorio ricco di biodiversità in cui alla vite sono dedicati all’incirca sei ettari.
La transizione da architetti a vignaioli non è stata solo un cambio di mestiere, ma un vero e proprio ritorno alle origini. Elisabetta, originaria di Torella dei Lombardi in Irpinia, e Pasquale, proveniente dall’agro-aversano, hanno scelto di stabilirsi a Torchiara, per avvicinarsi alla natura e coglierne, senza stressarla, i suoi frutti: il rispetto per l’ambiente in cui hanno deciso di immergersi si concretizza in una coltivazione che utilizza metodi biologici e biodinamici. L’incontro nel 2006 con l’enologo Fortunato Sebastiano ha segnato una svolta significativa per l’azienda, portando al primo imbottigliamento nell’anno successivo.
Il Cilento, situato nel sud della Campania, è una terra di straordinaria bellezza e ricchezza culturale, che si estende tra il mar Tirreno e l’Appennino lucano. Questa regione, parte del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, è caratterizzata da una geografia variegata che include coste frastagliate, colline dolci e montagne imponenti. La storia vinicola del Cilento affonda le radici nell’antichità, quando gli Enotri, un popolo probabilmente proveniente dall’Arcadia, nel cuore del Peloponneso, introdussero la coltivazione della vite nel meridione della penisola italica e quindi anche in queste zone. Successivamente, Greci e Romani contribuirono allo sviluppo della viticoltura, rendendola una fiorente attività economica. Ancora nel XIX secolo i vini cilentani erano apprezzati e commercializzati anche all’estero, ma nel corso del tempo, la viticoltura della zona ha vissuto periodi di alti e bassi.
Il territorio sul quale insistono le vigne di Casebianche, tra i cui filari troviamo soprattutto fiano, aglianico, piedirosso e barbera, è caratterizzato da un terreno composto da marne, argille e arenarie, in grado di trasportare nei vini una particolare suggestione minerale. Nasce da qui una gamma che riflette tanto il carattere dei vitigni quanto quello dei luoghi in cui nascono, ma anche la personalità empatica di chi li produce: in cantina si prediligono fermentazioni spontanee, si utilizzano quantità microscopiche di solfiti e i legni per la maturazioni vengono calibrati assecondando le esigenze dei vini. Assaggiandoli di certo non ci si annoia.
Il merito va anche ai frizzanti rifermentati in bottiglia di cui ormai Elisabetta e Pasquale sono veri e propri esperti, etichette frutto di una scelta produttiva radicale e che nascono dal desiderio di recuperare le antiche tradizioni contadine, reinterpretandole con sensibilità contemporanea.
Ma cercate di non perdere il Fric, tra i migliori rosati della Campania da aglianico, spensierato e agrumato, e il Pashkà, aglianico e barbera, più materico e terragno.
Tra i vini fermi, sempre più in crescita nelle ultime tornate di assaggio, molto buono il Dellemore ’21, blend di aglianico, barbera e piedirosso, che impasta ciliegie e sbuffi mediterranei su un profilo caldo ma non pesante.
E ci pare l’occasione di ricordare dello stesso vino anche la grande versione 2020, che due anni fa ha riportato i Tre Bicchieri in azienda (la terza volta nella sua storia).
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