La storia della Grissinopoli è una storia di cibo e letteratura tutta torinese. Il piatto è semplice e tradizionale: una cotoletta impanata, paragonabile alla milanese e all’ imperiale Wiener Schnitzel. Ma a Torino per la panatura, oltre a un po’ di pan grattato, si usano i grissini, specialità assoluta. Diffusi nel mondo – ho trovato confezioni di Grissini Torinesi persino a Kuala Lumpur in Malesia – hanno fatto perdere la testa anche a Napoleone che aveva istituito una linea di corrieri per farsi arrivare a Parigi i petits bâtons de Turin. Nelle due versioni, i rubatà (ovvero gli arrotolati, fatti rollare sul piano di lavorazione per avere la tipica forma attorcigliata, i più accreditati ad entrare nella ricetta ) e gli stirati.
Il nome lo si deve a uno scrittore che ha legato la sua vita a Torino, Emilio Salgari. Non era torinese Salgari: era nato a Verona il 21 agosto 1862 e dopo la morte della madre, nel 1887 e del padre (suicida nel 1889, temeva di avere un male incurabile), con la moglie Ida e la primogenita Fatima si era trasferito in Piemonte, in tasca un contratto con l’editore torinese Speirani. Si racconta a tutti come un capitano di lungo corso, che ha navigato per i mari nel mondo, ma in realtà il suo unico viaggio per mare è a diciotto anni come mozzo sul mercantile Italia Una, da Venezia-Brindisi. I viaggi li fa solo sui libri e gli atlanti e li racconta in storie avventurose. A Torino non ha vita facile: contratti capestro con gli editori, i soldi che non bastano mai, cambia casa di continuo. Nella sua ultima casa al 205 in corso Casale, dove una targa lo ricorda, vive in tre stanzette al primo piano, con la moglie, quattro figli, diciotto gatti, una scimmia, un pappagallo, il cane, e scrive come “ forzato della penna”, su un tavolino traballante, fumando cento sigarette al giorno e buttando giù svariati bicchierini di marsala. Ha pubblicato oltre 200 fra romanzi e racconti, creato personaggi iconici, come Sandokan o il Corsaro Nero.
E proprio in uno dei suoi libri, l’unico non di avventura e autobiografico, La Bohême italiana, soprannomina ironicamente Torino Grissinopoli, la città dei grissini. Una città da cui si sente poco capito, poco apprezzato: i giovani lo leggono tutti, ma la critica lo ignora. E a Torino deciderà infine di togliersi la vita sulla collina di Val San Martino, il 25 aprile del 1911:il giorno prima l’amatissima moglie è stata ricoverata nel manicomio di Collegno, lui è coperto di debiti e si sente perduto, “ vinto” come scrive ai figli. Rimangono i suoi romanzi, e quella definizione che è diventata famosa e si è trasformata nel nome in uno dei piatti più tradizionali: la cotoletta impanata nei grissini, la Grissinopoli. Un omaggio postumo a Salgari dalla città dei grissini.
La ricetta originale prevede una bella cotoletta consistente (spessa almeno 3 cm) di Fassona piemontese passata nell’uovo, impanata nel seguente ordine: un po’ di pan grattato, uovo e grissini (meglio rubatà) sbriciolati a mano. Dorare in padella nel burro chiarificato ( qualcuno lo fa nell’olio, per maggiore leggerezza). Ma da quella ricetta sono nate anche varianti, con tagli diversi di carne di vitello, con carne di maiale, con il pollo e persino il tonno. Unica regola tassativa: i grissini della panatura. Non esisterebbe Grissinopoli senza grissini, e non esiste Grissinopoli fuori da Torino
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