A vederlo, potrebbe sembrare un budino: scuro, denso, servito a cucchiaiate in una coppetta. Ma basta un assaggio per capire che non lo è. Non c’è latte, non c’è gelatina, né uova né panna. Solo mosto d’uva, farina e, a volte, un po’ di zucchero o di cacao. È il sugo d’uva, o sugolo, un dolce antico che un tempo segnava la fine dell’estate e il profumo dolciastro della vendemmia. Quando i nonni finivano di pigiare l’uva, le nonne mettevano da parte un po’ di mosto, lo versavano nel paiolo di rame e lo facevano bollire piano, schiumando con cura, fino a trasformarlo in una crema scura e profumata. In certe case, ancora oggi, qualcuno lo prepara. Ma sono in pochi.
Nasce nelle famiglie contadine dell’Emilia, Modena, Reggio Emilia, Parma — ma si trovano versioni anche in Lombardia, Veneto, Romagna — durante i periodi della vendemmia, quando il mosto è fresco, abbondante, e serve trasformare ogni residuo in qualcosa di utile. In alcune zone si usa il mosto dell’ancellotta (anche chiamata Lancellotta) — vitigno a bacca nera, con molti zuccheri naturali — che conferisce al sugo una tonalità violacea brillante e un gusto ricco.
Foto credit, Facebook Bologna da riscoprire
Si prende il mosto d’uva appena fatto, lo si porta a bollore in una pentola spessa; si toglie la schiuma che si forma in superficie; si stempera la farina dentro un po’ di mosto tiepido (o freddo), mescolando con cura per evitare grumi; si rimette tutto insieme, si continua la cottura a fuoco dolce mescolando. Quando la crema è sufficientemente densa, si versa in stampini o ciotole e la si fa raffreddare. Quando è fredda, la consistenza tende a rappredare un po’.
Le varianti sono molte: chi aggiunge zucchero, chi no; chi mette solo farina per addensare, chi usa anche un po’ di amido; chi usa uve nere, chi mescola uva bianca; talvolta si aggiunge un cucchiaio di cacao amaro per dare una nota diversa; qualche versione più golosa metteva anche del cioccolato.
Era usanza che nelle giornate successive alla vendemmia la nonna faceva i sughi con il mosto che restava, che non serviva per il vino, o che non poteva essere conservato. Spesso si preparava nel paiolo di rame, perché il rame aiutava a distribuire il calore meglio e a evitare bruciature.
Col passare del tempo, la pratica è andata sbiadendo, molti non la fanno più in casa, spesso perché il mosto è meno disponibile, perché richiede tempo e attenzione, e perché c’è meno trasmissione orale delle ricette tradizionali. Ciononostante, in alcune campagne, esistono sagre, feste locali, produttori artigianali o famiglie che tengono vivo il legame con le tradizioni e dove i sughi d’uva resistono.
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