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L'ultima pastora nomade della Val Maira che fa un formaggio strepitoso

Dalla pianura alle alte quote, con le sue 250 vacche Roberta Colombero fa un mestiere che rischia di sparire

  • 10 Agosto, 2025

In Piemonte c’è chi la transumanza la fa ancora sul serio. Siamo a oltre 2 mila metri, Val Maira, all’Alpeggio “Valanghe” di Marmora. È qui che vive e lavora Roberta Colombero con la sua famiglia e la loro mandria. Nelle montagne cuneesi, i suoi genitori l’hanno portata la prima volta che aveva appena 40 giorni. È qui che ogni estate da allora, a una sessantina di chilometri da Torino e altrettanti dal confine francese, in uno dei territori più suggestivi e meno antropizzati del Piemonte, Roberta porta avanti una tradizione antica: quella dei margari.

L’ultima margara della Val Maira

Il margaro (dialetto per malgaro) è una figura storica della pastorizia piemontese. Nomade per definizione, si sposta con il bestiame tra la pianura e l’alta quota secondo le stagioni. È un mestiere che richiede presenza costante, manualità, resistenza. Soprattutto, è un mestiere che oggi fanno in pochi. L’abbandono delle montagne e la difficoltà di mantenere un’economia agricola autonoma stanno portando a un ricambio generazionale pressoché assente. Ma Colombero, poco più che trentenne, ha scelto di restare. Non ha mai “mollato tutto per tornare”, in realtà, non se n’è mai davvero andata. Dopo alcune esperienze formative all’estero, tra ranch negli Stati Uniti e altri modelli di lavoro agricolo, un impiego con contratto nel mondo corporate, ha deciso che il suo posto era lì, tra i prati stabili della Val Maira e le stalle di famiglia a Savigliano, dove sverna la mandria. L’azienda agricola Colombero, tre generazioni di margari, alleva bovini di razza Piemontese. Oggi sono circa 250 capi, la metà da latte. Roberta riconosce ad occhi chiusi ognuna delle sue “ragazze”.

nostrale d'alpe

Il formaggio Nostrale d’Alpe

Durante il periodo estivo all’alpeggio, munge le vacche due volte al giorno, rigorosamente a mano e all’aperto. Trasforma il loro latte nel piccolo caseificio di fronte alle stalle, dove nascono tome, robiole, semicotti, tipo Castelmagno, yogurt e burro. Una produzione piccola ma curata, destinata alla vendita diretta e a rifornire agriturismi e ristoranti della zona. Il prodotto di punta è però il formaggio dei margari: il Nostrale d’Alpe delle cime cuneesi. È un formaggio a latte crudo, prodotto solo tra giugno e settembre, solo ad alta quota, solo negli alpeggi della provincia cuneese, e solo da vacche di razza piemontese al pascolo libero, nutrite esclusivamente di erbe alpine a coltivazione spontanea, senza utilizzo di diserbo o antiparassitari. Il disciplinare, severo, prevede 30 giorni di stagionatura minima in grotte naturali, fino a un massimo di 7 mesi. Lo segue alla lettera, Roberta, lei che è presidente dell’associazione che tutela quel Presidio PAT (Prodotto Agroalimentare Tradizionale). Per approfondire la tradizione casearia della Val Maira e vedere da vicino le tecniche di produzione di questo e altri formaggi di montagna straordinari, la puntata di Cheese Hunters è disponibile in chiaro sul digitale terrestre al canale 257, e su gamberorosso.tv

Roberta Colombero a cavallo

La monticazione

Con i primi caldi, i Colombero ripetono lo stesso rituale ogni anno. Seguendo le orme del nonno Chiaffredo, partono da Savigliano per la monticazione, cioè il trasferimento stagionale del bestiame verso i pascoli di alta montagna durante i mesi estivi. Quello che in centro-sud chiamiamo transumanza. Una volta arrivata la mandria all’alpeggio, la margara deve saper affrontare la cura quotidiana degli animali e la trasformazione del loro latte in formaggio nelle varie lavorazioni casearie, ma anche la gestione burocratica, la vendita diretta al turista di passaggio, il parto delle bovine, la cura e pulizia dei vitelli, e tutto ciò che una piccola azienda agricola comporta. In autunno il bestiame, sazio di pascolo brado d’alta quota, viene riportato in pianura, e per tutto l’inverno il formaggio prodotto nei tre mesi estivi viene venduto allo spaccio del caseificio. La margara Colombero non vive tutto questo lavoro come un sacrificio, anzi. È consapevole della scelta rara che ha fatto: vivere e lavorare in montagna, oggi, richiede convinzione. Tuttavia la spinta ad andare avanti non si esaurisce, è tanta la gratitudine per quello che la circonda.

Se la figura del margaro sta scomparendo dalle montagne piemontesi, Roberta Colombero la sta tenendo in vita con i suoi gesti quotidiani, la monticazione d’estate, la mungitura a mano, e quel formaggio che sa davvero di quota.

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