Per secoli, sulle tavole americane, l’olio d’oliva non ha avuto diritto di cittadinanza: burro e grassi animali hanno dominato cucine e ricette, seguendo la tradizione dei Padri Pellegrini. Oggi invece l’extravergine è diventato l’oro verde d’oltreoceano: ingrediente di culto, simbolo di benessere e persino un prodotto “born in USA”.
Al di là dell’Atlantico, i primi coloni nordeuropei cucinavano solo con il grasso animale, comprensibile data la loro provenienza da territori dove abbondvano vacche anziché ulivi. La cultura alimentare dei nuovi arrivati si basava infatti su grassi esclusivamente di origine animale: burro, strutto, sego di manzo, grasso d’anatra. E ha continuato ad esserlo anche dopo l’espansione nel Nuovo Mondo, dove la pianta dell’ulivo non cresceva, e dove le popolazioni indigene facevano affidamento sul grasso animale per la propria dieta. Questa abitudine culinaria è andata avanti per centinaia di anni.
A salvare le coronarie degli americani c’hanno pensato gli italiani. Con i flussi migratori nei primi del Novecento, l’olio d’oliva sbarca sulle coste nordamericane nascosto nei fagotti e in damigiane, ma resta a lungo relegato a grasso scadente mal tollerato dagli intestini locali, e le cui scorte, trasportate sui bastimenti a vapore dalle nostre zone vocate, irrancidivano rapidamente. È solo nel ventesimo secolo che l’olio extravergine d’oliva, negli Stati Uniti, assume il titolo di ingrediente di pregio.
L’utilizzo dell’olio d’oliva in Nord America diventa presto una tendenza, inizialmente una moda culturale, legata alle sue origini (non c’è locale “mediterraneo” che non metta ancora in tavola una ciotolina di olio d’oliva da inzuppo) ma in breve tempo, l’extravergine si è rapidamente insinuato in ricette e preparazioni “salutari”, sostituendo burro, strutto e gli altri grassi nelle preparazioni ereditate dai colonizzatori. Grassi che a ondate vengono stigmatizzati o glorigicati dalla medicina e dai media. La Dieta Mediterranea sviluppata da un Americano negli anni Cinquanta ispira e plasma le abitudini alimentari degli Americani. Rincorsa da altre mode, come la dieta Paleo o ketogenica, lascia un solo supersite sul campo di battaglia: l’extravergine, innegabile il suo potere salvifico di super food.
A quel punto, negli Stati Uniti, l’olio d’oliva, parimenti al resto del mondo, viene considerato liquid gold. Un’eccellenza alimentata da consumatori sempre più informati ed esigenti. L’antiossidante e salutare extravergine appare pertanto sempre più spesso nella lista degli ingredienti di preparazioni tipiche del nuovo continente: pane, torte, brownies, pancakes, zuppe, pastasciutte e fritture. Grazie ai suoi benefici anti-infiammatori diventa con entusiasmo protagonista di condimenti, salse, marinate e vinaigrettes; è virale su piattaforme social, e grazie alle testimonianze delle celebrità, aumenta la consapevolezza. Dai tempi quando l’olive oil veniva snobbato, ora se ne incoraggia il consumo quotidiano, un cucchiaio a stomaco vuoto. Ora è persino aggiunto al caffè più hipster.
L’olio extravergine d’oliva non è solo importato con immenso successo, ma ormai anche prodotto nel Nord America continentale. Quasi tutta la produzione proviene dalla California, con quantità minori prodotte in Arizona, Florida, Georgia, Oregon e Texas. La varietà “Mission” è l’unica autoctona, ma sono ampiamente coltivate anche varietà italiane come Frantoio, Coratina, Leccino, Pendolino; insieme alle varietà spagnole e greche più popolari. I consumatori statunitensi stanno acquisendo una sempre maggiore conoscenza delle diverse cultivar e dei loro sapori unici, andando oltre una comprensione generica del prodotto.
Se l’America ha trasformato l’olio extravergine d’oliva in un simbolo di lifestyle salutista, è altrettanto vero che oggi il futuro si gioca sulla qualità e sulla cultura. Non basta più parlare di EVOO: i consumatori statunitensi vogliono conoscere cultivar, territori, metodi di raccolta. Un’evoluzione che ricorda da vicino quella del vino, passata in pochi decenni da commodity da supermercato, a protagonista di cultura e storytelling. Forse, dall’altra parte dell’Atlantico, l’extravergine sta vivendo la sua seconda rivoluzione: quella della consapevolezza.
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