C’è chi parla di ritorno alla tradizione, chi la considera solo una tendenza gourmet. Di certo, la frittura in grasso d’anatra è diventata un segno distintivo in molte cucine, soprattutto quando si parla di patate fritte, lo spuntino-contorno fra i più universalmente apprezzati. Ma no, non è così che si fanno le vere Belgian fries. E nemmeno le French fries (che sono comunque un’invenzione belga).
Le patate fritte “alla belga” sono una cosa seria. In Belgio le frites sono un’istituzione nazionale. La disputa sulla loro origine è chiusa da tempo per storici e gastronomi: nonostante il nickname attribuito negli Stati Uniti, le prime tracce documentate risalgono al Belgio di fine Settecento. Il termine French fries si è diffuso solo nel Novecento con l’arrivo dei soldati americani in Europa, che si riferivano alla lingua parlata più che alla nazione geografica.
Le frites in Belgio sono preparazioni codificate. La versione tradizionale si fa con patate a pasta soda – varietà ricche di amido come la Bintje – tagliate a bastoncino spesso, e fritte due volte: prima a bassa temperatura per cuocerle, poi a temperatura più alta per renderle croccanti. E, soprattutto, fritte nello ossewit, un grasso animale solido ottenuto da sego di manzo (beef tallow), che in alcune zone era miscelato con grasso di cavallo. È questa la tecnica usata storicamente nelle friteries, i chioschi belgi specializzati nella preparazione delle patate fritte, presenti ovunque da Bruxelles a Liegi, dove si vendono porzioni generose con una varietà di salse da inzuppo.
Il grasso animale è stato gradualmente abbandonato a partire dagli anni Ottanta, sostituito da oli vegetali per motivi economici, normativi e sanitari. Tuttavia, il tallow resta per molti il miglior grasso per friggere: raggiunge alte temperature senza bruciare, non irrancidisce facilmente e conferisce molto sapore. In Belgio alcune friteries tradizionali, specie nelle Fiandre, hanno ripreso a usarlo, anche grazie al sostegno dei produttori locali.
E il grasso d’anatra? Non fa parte della tradizione belga. Il suo utilizzo si è diffuso altrove, in particolare negli Stati Uniti, tra chef e ristoranti che cercano di elevare un piatto considerato semplice. Il caso più emblematico è Duckfat, a Portland nel Maine, aperto nel 2005, che ha costruito la propria fama proprio sulle hand-cut fries fritte in grasso d’anatra.
La scelta non è casuale. Il grasso d’anatra ha un punto di fumo alto, un sapore profondo, ed è apprezzato per la consistenza croccante che conferisce ai cibi. È più costoso e meno stabile del tallow, ma, purché conservato correttamente e filtrato, può anche essere riutilizzato più volte. Nell’ambito di una cucina attenta agli ingredienti, rappresenta un’alternativa interessante.
Negli ultimi anni, sempre più ristoranti, bistrot e wine bar propongono patate fritte nel grasso d’anatra come contorno d’autore. Alcuni chef lo usano per richiamare la cucina del Sud-Ovest francese, dove il grasso d’anatra è tradizionalmente impiegato per il confit. Ma sono in crescita anche le preparazioni casalinghe. Per procurarsi grasso d’anatra, è possibile rivolgersi a negozi specializzati o gastronomie, dove spesso viene venduto già pronto in vasetto, comodo da usare e di ottima qualità.
Un’altra opzione è quella di chiedere direttamente a macellerie o pollerie che lavorano carne d’anatra, dove il grasso viene spesso recuperato durante la lavorazione e talvolta può essere ceduto o venduto a un prezzo ragionevole, garantendo così un prodotto fresco e autentico.
Oggi le patate fritte nel grasso d’anatra sono diventate un prodotto di nicchia, spesso associato a qualità e attenzione alla tecnica. Non sono la tradizione, ma una sua reinterpretazione, e come tale meritano attenzione e distinzione. Perché, poi, sono davvero buone.
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