Un tempo era la torta delle occasioni importanti, delle nozze, delle cresime, delle feste comandate, e in alcune zone dell’Emilia compariva anche tra i dolci delle celebrazioni più sentite, accanto alla ciambella glassata o alla zuppa inglese, come si conviene a una preparazione solenne, costruita per essere condivisa e ricordata. A Bologna, la torta di tagliatelle non si faceva per non sprecare, come spesso si racconta con un certo automatismo nostalgico, bensì per mostrare, con misura e senza troppa enfasi, che il sapere domestico aveva una grammatica precisa e che la festa passava da lì: da ciò che richiedeva tempo, tecnica, attesa, oltre a una certa idea di abbondanza. E di casa.
Conosciuta in alcune aree come torta ricciolina, questo dolce della tradizione ha saputo varcare i confini provinciali, diffondendosi dall’Emilia Romagna fino a Mantova e parte della Lombardia. La sua storia affonda le radici in tempi lontani, quando rappresentava un momento di celebrazione collettiva e condivisione familiare: un fine pasto che richiedeva attesa, una dolce promessa che si sarebbe compiuta solo al momento giusto.
La versione più diffusa prevede una base di pasta frolla che accoglie un ripieno sontuoso a base di mandorle tritate, zucchero, burro e uova. Questa farcia viene poi talvolta arricchita con aromi, altrettanto variabili a seconda delle tradizioni locali, dall’amaretto al Sassolino, passando per le versioni con rum o maraschino, a dimostrazione di come ogni casa e ogni pasticceria abbiano sviluppato la propria interpretazione. Lo stesso Pellegrino Artusi, nel suo “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, ne riporta due versioni: una di pasticceria, priva della base e con la farcia racchiusa tra due strati di tagliatelle; l’altra più simile a quella che conosciamo oggi, con una base di pasta frolla.
I cedri e le arance candite rappresentano un altro elemento distintivo quanto ascrivibile alla tradizione di ogni zona, ancorché di ogni famiglia, conferendo una nota agrumata che bilancia la dolcezza dell’insieme. Nella zona modenese, la ricetta si arricchisce ulteriormente con l’aggiunta di cacao o cioccolato tritato, una variazione golosa che si allontana un po’ dall’originale, pur mantenendone l’identità.
Ciò che rende la torta di tagliatelle immediatamente riconoscibile è la curiosa alchimia che trasforma la classica pasta fresca in un elemento dolce: un’idea controintuitiva che funziona in modo sorprendente. La superficie, infatti, è ciò che rende questo dolce inequivocabile: un intreccio di tagliatelle sottilissime, tirate a mano con la stessa cura che si riserverebbe alla pasta destinata al ragù, e poi disposte a formare un nido che in cottura si dora. Prima di infornare, il dolce viene spennellato con burro fuso e cosparso di zucchero vanigliato, che caramellando crea quella patina croccante e dorata che è la sua peculiarità. Il risultato finale? Un dolce di forma rotonda, dal colore giallo-bruno e dalla crosta secca, che si taglia a fette come una crostata, ma che all’assaggio rivela una stratificazione complessa tra la base di frolla friabile, il ripieno di mandorle denso e aromatico, infine la croccantezza delle tagliatelle in superficie, che si sbriciolano sotto i denti con un suono secco e soddisfacente.
Ciò che non può essere messo in discussione è il valore culturale di questo dolce: la ricetta originale è stata depositata dall’Accademia Italiana della Cucina presso la Camera di Commercio di Bologna nel 2005, ed è oggi annoverata tra i prodotti agroalimentari tradizionali dell’Emilia-Romagna. A Molinella, nel bolognese, e a San Benedetto Po, nel mantovano, ha persino ottenuto il marchio De.Co. – Denominazione Comunale d’Origine.
La torta di tagliatelle appartiene a un tempo in cui le ricette servivano a marcare un passaggio — una ricorrenza, un raccolto, un’alleanza. Un tempo in cui il cibo, prima ancora che piacere, era forma e rito. Poco alla volta ha iniziato a sparire. Prima dalle tavole, poi dalle vetrine e, infine, dalle parole. Non ha resistito alla logica della porzione singola, della crema morbida, del dolce pensato per essere fotografato prima ancora che gustato. O quasi, perché in alcuni luoghi di Bologna, in certe pasticcerie, la torta di tagliatelle si prepara ancora. Sta lì in vetrina, magari non in prima fila, nascosta tra un certosino e una torta di riso; col suo profilo discreto e inconfondibile sopravvive, non perché sia stata reinventata, ma perché, fortunatamente, non è mai stata dimenticata del tutto.
Paolo Atti & Figli
Paolo Atti & Figli
Nella bottega situata nel cuore del Quadrilatero, storico mercato nel centro di Bologna, la torta di tagliatelle è una presenza discreta ma costante. Nella vetrina di Paolo Atti & Figli, istituzione che dal 1868 custodisce i segreti della pasta fresca e della pasticceria bolognese, tra gramigna, passatelli e tortellini, la torta di tagliatelle fa capolino con l’eleganza di ciò che non cerca visibilità, ciononostante la ottiene. La versione proposta da Atti rispetta rigorosamente la tradizione: la sfoglia è tirata a mano, sottile come un velo, per ricavarne una chioma di tagliatelle finissime. Il ripieno incarna l’essenza della pasticceria bolognese classica: burroso, profumato, con quel giusto equilibrio tra mandorle e aromi che racconta la città meglio di qualsiasi guida turistica.
Paolo Atti & Figli – Via Caprarie, 7a
Forno Pasticceria Pallotti – Bologna
Forno Pasticceria Pallotti
Al di fuori dei circuiti turistici più battuti, la torta di tagliatelle è parte viva del repertorio del Forno Pasticceria Pallotti. Certo, qui non la si trova tutti i giorni, ma mantiene il passo regolare delle cose che hanno resistito al tempo. La sua presenza nel banco vetrina ammicca a chi guarda oltre le farciture moderne, alla ricerca di un gusto pieno, asciutto, coerente. Nello spazio più ampio e recente di via Irnerio, invece, può capitare di trovarla in vetrina tra mignon, lievitati e biscotti secchi, con la sua superficie arricciata e dorata, riconoscibile anche senza etichetta. La versione proposta da Pallotti si distingue per una elegante rusticità: le tagliatelline risultano leggermente più spesse, il ripieno compatto, con una presenza di mandorle che si fa sentire a ogni morso. Una torta che ti ammicca suadente, ma resta fedele alle sue origini e che, proprio per questo, mantiene intatta la sua capacità di sorprendere.
Forno Pasticceria Pallotti – via del Borgo di S. Pietro, 59e
Gino Fabbri Pasticcere – Bologna (foto di Nicola Boi)
Gino Fabbri Pasticcere
A pochi chilometri dal centro città, nella zona di Cadriano, il pluripremiato maestro pasticcere Gino Fabbri la esibisce con orgoglio tra le creazioni più curate, riflettendo perfettamente l’idea che anche un dolce della tradizione può e deve essere trattato con la stessa attenzione riservata all’alta pasticceria. È il modo in cui Gino Fabbri ci insegna, sac à poche e mattarello alla mano contemporaneamente, come la tradizione possa dialogare con la contemporaneità senza sacrificare la propria essenza. L’impasto della sua torta di tagliatelle rivela una profonda conoscenza delle materie prime e delle loro interazioni. I riccioli di pasta che coprono la superficie appaiono armoniosi, la sfoglia tirata con precisione millimetrica pur conservando quel carattere artigianale che definisce il fatto a mano. Il ripieno si presenta ricco, equilibrato negli aromi; nonostante questo approccio tecnico quasi scientifico, la torta di Fabbri resta libera da qualsiasi manierismo: esprime solo un puro rispetto per una forma che funziona, anche sotto la luce piena di una vetrina contemporanea. Un esempio eloquente di pasticceria tradizionale valorizzata nella sua autenticità, come espressione di un patrimonio gastronomico vivo.
Gino Fabbri Pasticcere – Via Cadriano, 27/2a
*foto di copertina di Nicola Boi
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