Vigneti urbani

La storia della microvigna nascosta dentro un convento dove si produce l’unico spumante di Venezia

Nel sestiere Castello, in disparte rispetto agli itinerari turistici, un complesso francescano cela il suo eden vitato, messo a nuovo da un colosso del vino italiano

  • 07 Ottobre, 2025

A parlare di  Venezia, tra gondole, canali, chiese e bacari, l’unica cosa che non verrebbe mai in mente è una vigna. La città rappresenta una delle tappe più battute dal turismo internazionale, con flussi di visitatori che riempiono piazza San Marco al punto tale da rendere impossibile il passaggio. Di certo, non attira milioni di turisti per la propria tradizione enologica. E anche le condizioni pedoclimatiche, per umidità ostili, rendono difficile pensare a una produzione di vino locale. Eppure, c’era un tempo in cui lo spazio urbano della Serenissima era punteggiato da piccoli vigneti.

Testimone di questa eredità a molti sconosciuta è un convento in Campo San Francesco della Vigna, struttura dei frati minori situata nel sestiere Castello, davanti all’isola di San Michele e a una decina di minuti dalla Basilica di San Marco. Il complesso francescano nasconde un micro fazzoletto vitato di 1.897 metri quadrati dalla storia quasi millenaria. Un patrimonio storico, culturale e paesaggistico, sopravvissuto a pestilenze, repubbliche, imperi e guerre, oggi preservato dall’intervento di Santa Margherita, azienda vinicola della famiglia Marzotto.

La storia di San Francesco della Vigna

Non sarà l’unico vigneto urbano rimasto — a Cannaregio si trova quello dei Carmelitani Scalzi — ma è sicuramente il più antico. Tant’è che i primi documenti che ne attestano la presenza risalgono al XIII secolo; il più importante, datato al 1253, è un testamento di Marco Ziani, figlio del doge, che avrebbe sancito il lascito della vigna (e di una piccola chiesa) al Primo Ordine. I frati minori ci fanno poi edificare attorno un chiostro, cui se ne aggiungono piano piano altri due, destinati rispettivamente alla raccolta di acqua piovana utile all’irrigazione e a un orto, lo stesso in cui oggi crescono pomodori, verdure ed erbe aromatiche come l’erba luigia.

Il complesso ecclesiastico comprende anche una biblioteca con oltre 400.000 libri, tra cui vari tomi antichi della Provincia di S. Antonio dei Frati Minori, inclusi dei manoscritti amanuensi del Medioevo conservati a temperatura controllata e sotto la supervisione di padre Rino. Il via vai di stranieri si deve all’Istituto di Studi Ecumenici San Bernardino, che accoglie studenti di teologia da ogni parte del mondo. La Chiesa di San Francesco della Vigna invece verrà eretta accanto solo nel XIV secolo, a fronte del numero crescente di francescani.

L’intervento di Santa Margherita

Nei secoli la comunità religiosa di Campo San Francesco ha coltivato la vite per fini eucaristici. E per molto tempo, ad eccezione dell’assistenza “pro bono” di un’azienda friulana che offre supporto per l’allevamento in vigna, la tradizione vinicola prosegue sotto la gestione autonoma dell’ordine. Almeno fino al 2019, quando la famiglia Marzotto, coinvolta nell’attività di una fondazione finalizzata al recupero dei beni storico-culturali, si interessa alla struttura in seguito alle sollecitazioni dei frati, alla ricerca di qualcuno che finanziasse il restauro della Cappella di San Marco divenuta inagibile. Visitando il convento, Stefano Marzotto scopre nell’area di clausura un vecchio vigneto, un pochino malconcio rispetto al lustro originario. Una rivelazione sorprendente, soprattutto se si considera che la superficie era stata vitata con del Teroldego, bacca nera tipica della Piana Rotaliana. Una varietà decisamente ‘insolita‘ nell’habitat lagunare, che sarà piaciuta a qualche vicario.

Inizia così la missione dell’azienda Santa Margherita nel sestiere Castello, che intraprende un’opera di mecenatismo volta al ripristino architettonico e paesaggistico del complesso francescano. Di pari passo con la ristrutturazione della cappella votiva, prende quindi in mano la viticoltura di San Francesco della Vigna. Ed ecco che, facendo leva sull’usufrutto dell’appezzamento, sostituisce l’uva rossa con filari ad alberello di malvasia e glera, tenuti a crescita d’allevamento attraverso vincastro e pali di castagno, metodo verosimilmente praticato in passato.

I due vitigni a bacca bianca vengono piantati da un gruppo di esperti solo dopo uno studio approfondito del territorio: il primo, di importazione greca e della cui produzione enologica si giovavano le osterie, perché quello più rappresentativo del litorale veneto; il secondo, derivante da un clone selezionato nel museo dei biotipi di Refrontolo, in quanto capace di adattarsi bene al suolo sabbioso e salmastro della laguna veneziana. L’intervento dei Marzotto mette a disposizione dei padri superstiti il know-how che mancava: la conoscenza dell’agronomo Massimiliano Luison e dell’enologo Loris Vazzoler.

Harmonia Mundi, il primo e unico spumante di Venezia

Dai 1107 metri lineari di vigna Santa Margherita produce una sola etichetta, un blend di malvasia e glera con tiratura limitata (1107 bottiglie numerate), disponibile a pochi hotel di lusso della città. Con la prima vendemmia del 2021, svolta in un pomeriggio con il supporto delle barche arrivate dalla terra ferma, la famiglia Marzotto ha dato vita al primo spumante della Serenissima, Harmonia Mundi. Nome elaborato a partire da uno scritto del 1500 inerente la ricerca dell’equilibrio perfetto, una trattazione in chiave apologetica dell’armonia fra uomo e natura. Presentata giusto l’anno scorso, corrisponde a una bollicina metodo Martinotti-Charmat, realizzata con una permanenza sui lieviti di diversi mesi e per mezzo di un’autoclave rotante, prototipo innovativo che consente di riportare in sospensione le fecce nobili. Quasi un ibrido fra la rifermentazione in bottiglia e quella in autoclave.

Harmonia Mundi, l’unico spumante di Venezia @santamargheritavini

 

Come sottolinea Virginia Stancheris del gruppo Herita Marzotto Wine Estates: «Abbiamo pensato di adottare un metodo innovativo che conferisse ulteriore valore alla produzione, con la consapevolezza che resterà un progetto di nicchia, non destinato a crescere nei volumi». Per la stessa responsabile delle relazioni esterne, lo spumante racchiude la freschezza del frutto, oltre a manifestare quella salinità in grado di richiamare un terroir marino: «un degustatore esperto potrebbe anche azzardarne l’origine, senza mai pensare di indovinare con Venezia». Ad ogni modo, la selezione va ben al di là dei numeri e del business enoico. E pure del collezionismo. Il progetto che hanno in mente i Marzotto ha un focus storico e culturale, dal fascino spirituale.

 

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