Tutti (o quasi)ย avrannoย sentito parlare del manzo di Kobe e delle cure che vengono prodigate nel suo allevamento, a partire dalla leggenda dei capi massaggiati e nutriti a birra. Il Kobe, che prende il nome dallโomonima cittร giapponese, รจ solo una delle espressioni del Wagyu, ovvero la tipica razza bovina nipponica. Capi di piccola taglia dal pelo nero che sono stati selezionati per avere una quota importante di grasso intramuscolare: la celebre marezzatura che rende la carne morbida e saporita. E che ha anche ispirato creazioni artificiali con stampanti 3D.
Per oltre un millennio il consumo di carne fu quasi assente in Giappone, a causa dellโinfluenza combinata di tabรน religiosi e di un allevamento poco sviluppato. La svolta arrivรฒ solo con lโapertura forzata allโOccidente nella seconda metร dellโOttocento. La diffusione del buddismo, a partire dal VI secolo, contribuรฌ in modo decisivo a questa proibizione. Sebbene non tutte le scuole buddiste imponessero una dieta vegetariana, in Giappone i precetti religiosi vennero interpretati in modo particolarmente rigido, rafforzando anche alcuni tabรน dello shintoismo, che considerava impura lโuccisione di un animale. A partire dal VII secolo si susseguirono editti imperiali mirati a vietare la macellazione e il consumo di carne di mammiferi; erano ammessi solo pesce, uccelli e alcuni tipi di selvaggina. In questo contesto, la carne divenne un alimento raro, riservato a cacciatori, samurai o usato a scopi terapeutici. Lโisolamento del periodo Edo (1603-1868), sancito ufficialmente dal regime Tokugawa con l’era del โPaese chiusoโ (sakoku), contribuรฌ a mantenere intatte queste abitudini alimentari. Per oltre due secoli i contatti con il resto del mondo furono sporadici e rigidamente controllati.
La situazione cambiรฒ con lโarrivo nel 1853 delle navi americane del commodoro Perry e lโapertura dei primi porti ai commerci stranieri. Nel 1868 salรฌ al trono lโimperatore Meiji, deciso a modernizzare il Giappone anche attraverso lโadozione di usi e costumi occidentali, compresi quelli alimentari.
Nel 1872 fu reso noto che lโimperatore stesso mangiava carne di manzo: un gesto simbolico che sancรฌ la fine del tabรน. Il piatto simbolo di questa transizione fu il gyunabe, una sorta di stufato di manzo con miso e salsa di soia. In pochi anni il consumo di carne crebbe a tal punto che il consumo giornaliero di carne bovina a Tokyo passรฒ da una mucca e mezzo nel 1868 a venti capi solo cinque anni dopo.
I bovini in Giappone furono introdotti molto probabilmente dalla Cina e dalla Corea tra il II e il V secolo d.C., durante il periodo Yayoi. Questi animali erano usati esclusivamente come animali da lavoro, specialmente per lโaratura e il trasporto in risaia e infine come fonte di fertilizzante. A causa dellโisolamento genetico dei bovini, la razza locale sviluppรฒ caratteristiche uniche.
Tra il 1868 e il 1887 furono importati circa 2.600 capi bovini europei (Shorthorn, Devon, Brown Swiss, Simmental…) per migliorare le dimensioni e la produttivitร della razza locale. Gli allevatori iniziarono cosรฌ a sperimentare gli incroci, ma vennero sospesi nel 1910 a causa dellโemersione di tratti genetici ritenuti negativi. Qualche anno piรน tardi venne avviato un programma di selezione interna delle razze denominato โImproved Japanese Cattleโ che portรฒ al riconoscimento ufficiale di 4 razze nel 1944: Japanese Black (Kuroge Washu, circa il 90% dei Wagyu odierni), Japanese Brown (Akage Washu), Japanese Shorthorn (Nihon Tankaku Washu) e Japanese Polled derivata da incroci con razze britanniche (in particolare Aberdeen Angus), oggi quasi scomparsa.
Nel frattempo alcune prefetture si stavano specializzando nellโallevamento di bovini da carne a cui associarono la propria denominazione territoriale. La piรน famosa, soprattutto allโestero, รจ la Kobe, basata esclusivamente su bovini Japanese Black della linea Tajima, nati e allevati nella prefettura di Hyogo. Esistono perรฒ molte altre โindicazioni geograficheโ altrettanto importanti, ma poco conosciute al di fuori dal Giappone, a cominciare dal Omi-gyu proveniente dalla Prefettura di Shiga che vanta la piรน antica denominazione documentata risalente al periodo Edo e da molti รจ considerata una carne ancora piรน pregiata del Kobe. Si potrebbe continuare con il Matsuzaka della Prefettura di Mie, lโHida della prefettura di Gifu, lo Yonezawa della prefettura di Yamagata, il Sendai della prefettura di Miyagi, il Miyazaki dall’omonima prefettura, e molti altri ancora, ognuno con le proprie caratteristiche distintive e un particolare metodo di selezione e allevamento.
Il Wagyu possiede caratteristiche genetiche che, unite al particolare regime di allevamento e alimentazione, sviluppa una marcata marezzatura della carne, ovvero la presenza di grasso intramuscolare. Il grasso, sotto forma di venature che infiltrano le fibre muscolari, si distingue per un alto contenuto di acidi grassi monoinsaturi e polinsaturi, tipici degli oli vegetali della frutta secca e del pesce. Questa caratteristica conferisce al grasso due caratteristiche: la prima รจ un basso punto di fusione, pertanto giร a temperature contenute dona una particolare morbidezza e una sensazione tattile piacevole al palato; la seconda รจ un particolare profilo aromatico dalle noti dolci dovuto alla presenza di alcune molecole tra cui il trans-4,5-epossi-(E)-2-decenale, considerato cruciale per lโaroma caratteristico del Wagyu.
Esistono diverse scale di valutazione del Wagyu, ma quella piรน conosciuta a livello internazionale distingue due parametri: la resa in carne, espressa in A, B e C (dove A รจ il grado superiore) e il grado di qualitร che include marezzatura (BMS: Beef Marbling Standard), colore, consistenza e lucentezza del grasso espresso in un punteggio da 1 a 5. A questi si aggiunge la valutazione specifica dell’indice di marezzatura che va da 1 fino a 12 che indica il grado estremo. In questa scala il massimo รจ un A5-12, ovvero massima resa, massima qualitร e marezzatura eccezionale.
La carne con queste caratteristiche, in particolare quella con un maggiore grado di marezzatura, non รจ adatta a tutte le cotture. Quando lo spessore supera qualche millimetro, o arriva a diversi centimetri, come la nostra classica costata da cuocere alla griglia, risulta assolutamente immangiabile per lโeccessiva percentuale di grasso.
Per questo motivo i piatti tradizionali nipponici prevedono di utilizzare fette di carne estremamente sottili, che in Italia potremmo associare alla preparazione del Carpaccio. I metodi piรน classici con cui si consuma il manzo in Giappone prevedono una rapida immersione nel brodo bollente, come nel caso dello shabu shabu o del sukiyaki in cui la carne viene cotta su una piastra insieme alle verdure e la salsa warishita. I tagli meno nobili, sempre a spessori molto ridotti, possono essere cotti velocemente in salsa di soia e mirin per comporre il gyudon, ovvero la ciotola di riso bianco ricoperta di fettine di carne. Una versione โportatileโ di questo piatto consiste negli involtini (nikumaki) di carne ripieni di riso bollito e cotti allo stesso modo. Spessori un poโ piรน generosi sono consentiti per la classica bistecca, oppure per il gyukatsu impanato e fritto, simile alla nostra cotoletta. Queste ultime due ricette nascono dallโincontro con la cucina occidentale (yoshoku), ma di solito sono realizzate con tagli notevolmente piรน magri.
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