Vini senza alcol. Rischio o opportunità?

11 Mar 2019, 16:00 | a cura di
L'apertura della Commissione Ue ai prodotti dealcolati apre dibattiti e nuove strade per il futuro del vino. Regolamentare conviene? Ecco le proposte e le perplessità delle associazioni di categoria.

Vini senza alcol: secondo Wine Intelligence sarà una delle tendenze del futuro prossimo; in Spagna il ministero della Salute ne finanzia la ricerca; l'Unione Europea propone di regolarizzarne la produzione. Parliamo di vini senza alcol o a bassa gradazione alcolica. Una contraddizione in termini? Non necessariamente. Prima di storcere il naso, cerchiamo di capire i termini della questione.

Dealcolizzazione. Come si fa

La dealcolizzazione è un processo attraverso cui è possibile estrarre l’alcool dalle bevande alcoliche, vino compreso. Si può praticarla per parziale evaporazione, distillazione o per osmosi, a condizioni di pressione e temperature molto delicate. Il rischio maggiore è di far perdere al vino le sue naturali proprietà organolettiche. Tuttavia, nel tempo, le tecniche e i macchinari sono migliorati, consentendo di effettuare interventi meno duri e invasivi, che vanno a colpire solo l'etanolo, ma non gusti e profumi.

Vini senza alcol. La proposta della Commissione Ue

Lo scorso giugno la Commissione Europea ha presentato la sua proposta di modifica del regolamento n. 1308/2013, che disciplina la Pac. All'articolo 193, fanno la loro comparsa proprio i termini “vino dealcolizzato” (con tasso alcolometrico non superiore a 0,5% vol.) e “vino parzialmente dealcolizzato” (con tasso alcolometrico compreso tra 0.5% e 9%).

Si tratta di una prima volta, un tentativo di armonizzarne a livello europeo questa tipologia di prodotto. Al momento, infatti, sono le singole legislazioni nazionali ad ammetterne o meno la dicitura. Lo ha fatto la Spagna (dove anche un produttore come Torres ha inserito una linea dealcolizzata) e lo ha fatto la Germania, sebbene poi la pratica non abbia avuto troppo seguito.

In Italia, un prodotto per essere chiamato vino deve presentare una gradazione di almeno 9 gradi (ogni denominazione, poi, fa riferimento al disciplinare specifico), con qualche eccezione legata a denominazioni particolari.

Se la proposta passasse – ma bisognerà attendere le prossime elezioni europee solo per rimettere mano alla proposta – il vino a bassa gradazione entrerebbe nel pacchetto Pac. Ciò significa che verrebbe anche finanziato dai fondo europei? Allo scorso forum Cia, non ne ha fatto mistero il portoghese Joao Onofre Antas Goncalves, alla guida dell'Unità Vino della Dg Agri alla Commissione Ue che, delineando il futuro della prossima Ocm, ha inserito i vini alcol free come una delle rotte lungo cui muoversi per intercettare nuovi mercati e nuovi consumatori.

Chiaramente la decisione su come e dove spendere gli eventuali fondi dipenderà dai singoli Paesi e soprattutto dalle richiese dei produttori. Al momento, però, il nodo della questione è se il vino dealcolato sia davvero una nuova opportunità da cogliere o un rischio per il settore.

Perché regolamentare conviene. Il parere Uiv

I pareri sono contrastanti. Per Unione Italiana Viniregolamentare non è mai una cattiva notizia. La nostra è una visione laica che si poggia su due punti fondamentali. Prima di tutto, armonizzare le regole significa definire un ambito in cui muoversi. In secondo luogo, l'inserimento dei vini dealcolati nel pacchetto Ocm, consentirebbe di tenerli vicini alla tipologia vini e, quindi, esercitarne il controllo. Il problema vero sarebbe, semmai, se questi prodotti, inseriti nell'industria alimentare e non in quella vitivinicola, diventassero dei concorrenti del vino”.

Vini senza alcol: la domanda è in crescita

Bisogna, infatti, prendere atto che, piaccia o meno, la domanda di vini - e più in generale di bevande - a basso contenuto alcolico c'è ed è in crescita. Difficile quantificarla al momento, proprio perché manca una regolamentazione unica. A fare da apripista sono state birre e cocktail, non solo in quei mercati con perduranti limitazioni religiose (vedi Paesi arabi), ma anche verso i cosiddetti Paesi salutisti, come il Nord Europa.

Se, invece, parliamo di Paesi produttori, l'Italia non è certo in cima alla lista. “Ci sono Paesi che hanno già colto questa opportunità” spiega l'Uiv “Non parliamo di grandi quantitativi e ciò non significa che la strada sia necessariamente questa, ma nel campo delle possibilità, preferiremmo tutti che il consumatore bevesse vino dealcolato italiano, piuttosto che francese, no?”. L'associazione delle imprese, però, auspica che si istituisca una vera e propria categoria per questi prodotti e non una semplice dicitura, come recita, invece, il testo presentato dalla Commissione. Spiega, poi, a Tre Bicchieri che i tempi non saranno troppo brevi e che una possibile via di mezzo sarà quella di permetterne l'utilizzo solo nel caso di vini che non siano Do o Ig. Un giusto compromesso?

Il dilemma: usare o no la parola vino?

Anche l'altra grande associazione industriale, Federvini, non sembra turbata dall'arrivo dei vini dealcolati. “Nulla contro quei prodotti” dice a Tre Bicchieri il direttore generale Ottavio Cagiano de Azevedo “ma sono molte le perplessità sull’impiego del termine vino, per il rischio di confusione che può ingenerare nel consumatore”. Secondo Cagiano, quindi, l'introduzione nell'Ocm non risulterebbe sbagliata: “È la collocazione naturale, perché materie prime e tecniche sono le stesse. Anzi, sarebbe la prova che la legislazione vitivinicola è la più avanzata e comprensiva di tutte le sfumature. Senza considerare che entrare in questo pacchetto, significherebbe diventare soggetti ai controlli, al registro telematico e a tutti gli altri obblighi del settore”.

Diversa la questione del nome. “Senz'altro” continua il direttore “vino dealcolato è un ossimoro che informa e disinforma. Sarebbe, probabilmente, più corretto fare riferimento a bevanda ottenuta da uve o da vino. Ricordiamo che, di per sé, la parola vino presuppone tutta una serie di vincoli, condizionamenti ed eredità produttive e culturali, dove la gradazione alcolica dipende, prima di tutto, dal territorio e dalla vendemmia. Decidere con il 'rubinetto' la gradazione che si vuole raggiungere è una pratica un po' diversa”.

Vini senza alcol. I contrari

Dal canto suo, Efow, la Federazione europea vini d'origine trova la proposta della Commissione Ue “un'aberrazione". "Accettare i vini dealcolati nell'organizzazione comune dei mercati della Pac” dicono “significa aprire il vaso di Pandora per andare verso il 'cracking' del vino e la sua ricomposizione in laboratorio".

Rientra nella lista dei contrari anche Fivi: “Vino dealcolato?” dice a tre Bicchieri il vicepresidente Gaetano Morella “Se il nome ha una sua importanza, riteniamo che un prodotto manipolato non possa chiamarsi così. Il vino è un'altra cosa: è un prodotto agricolo, che racconta un territorio. Dealcolizzare significa fare un vino a ricetta, che nulla ha a che fare con le pratiche agricole”. Ha, però, sicuramente a che fare con il mercato. Allora il dilemma è tra seguire il trend o restare dei puristi. Per Morella si tratta di capire cosa si vuol comunicare: “Non possiamo andare verso l'industrializzazione dell'agricoltura. Avere un'opportunità di commercio non può farci giustificare tutto sempre e comunque. Va benissimo che si apra un mercato per questo prodotto, ma non chiamatelo vino”.

Vini senza alcol. Quali mercati

Di fatto, di mercati se ne sono già aperti. Secondo il “Global SOLA Wine Report: Sustainable, Organic and Lower-alcohol Wine Opportunities 2018” di Wine Intelligence, il fenomeno dei vini a bassa gradazione potrebbe seguire a ruota – ma con tempi molto più lenti - quello di altre bevande, quali i mocktail (cocktail privi di alcol), soft drink e birre analcoliche. Allo stato attuale i Paesi che sembrano più recettivi a questi tipi di vini sono Nuova Zelanda ed Australia. Se parliamo di vini analcolici, invece, dei segnali positivi vengono dalla Svezia. I Paesi meno recettivi sarebbero, invece, Portogallo e Giappone.

Il punto di vista di chi produce vini senza alcol

Ad onor del vero, la pratica non è una novità. Con buona pace dei puristi, anche in Italia c'è chi si è cimentato in versioni di vino con poco o zero alcol, soprattutto nel campo degli spumanti (“la parola spumante” ci dicono da Federvini “non è di uso esclusivo del vino e, quindi, si presta anche ad altri ambiti”).

Nella lista di chi li produce, ci sono Bosca e Iris Vigneti (che alla sua prima vendemmia, nel 2017, ha avuto come testimonial d'eccezione il governatore veneto Luca Zaia), ma anche una delle realtà più grandi dell'area del Conegliano-Valdobbiadene, Astoria Vini: 40 ettari propri, 80 conferitori e 50 milioni di fatturato. L’azienda dei fratelli Polegato nel 2010, ha creato il suo primo spumante a bassa gradazione, 9.5 Cold Wine (poco più di 9 grandi). Ovviamente, non si tratta di un Prosecco Doc, ma di uno spumante generico che, negli anni scorsi, ha ricevuto anche il premio del concorso enologico internazionale del Vinitaly. Tanto da convincere la cantina a introdurre, in questa linea, anche nuove referenze, come la versione rosè e a produrre anche il suo primo (al momento unico) vino completamente senz'alcol (o meglio succo d'uva spumantizzato): Zerotondo. “Non è un vino dealcolato” ci dicono Paolo e Giorgio Polegato “bensì un mosto che non viene fatto fermentare e a cui viene aggiunta anidride carbonica. L’idea è nata proprio durante un corso di degustazione realizzato con la comunità araba di Treviso, quando abbiamo notato un grande interesse anche tra chi non poteva bere”.

Fino al 2015 lo spumante si è fregiava anche del marchio Halal, l’ente che certifica i prodotti conformi alle regole islamiche di liceità (halal): una garanzia e un importante elemento concorrenziale per esportare nei Paesi arabi. Oggi, però, in seguito al cambiamento delle norme, questa certificazione non è più possibile. Tuttavia, nei Paesi con una componente islamica particolarmente forte - in Asia (Malesia) che in Africa (in primis Ghana e Nigeria) - il prodotto è molto richiesto: “Zerotondo” ci dicono “in questi Paesi, non solo va incontro alle esigenze della clientela, ma fa da apripista al nostro Prosecco verso nuovi mercati.” Ma non è solo verso i Paesi arabi che si indirizza: in Italia e in Europa sono soprattutto i locali e i negozi biologico a richiederlo. Sarà anche questo il futuro del vino?

La ricerca spagnola sui vini senza alcol

Intanto, il Governo della Roja ha annunciato che finanzierà (per oltre un milione di euro) la ricerca per un ottenere una bevanda simile al vino, ma senza alcol, contro le malattie neurodegenerative. Il progetto si chiama Food4Neuron e vede la partecipazione di due centri di ricerca - il Cibir (Centro de Investigación Biomédica de La Rioja) e il Cita (Centro per l'alimentazione e ricerca agricola) - che, insieme a tre aziende agricole, si occuperanno di estrarre gli antiossidanti da uve di diverse varietà e creare la bevanda analcolica, che dovrebbe avere effetti preventivi per l'Alzheimer e il Parkinson.

a cura di Loredana Sottile

Articolo uscito  sul numero di Tre Bicchieri uscito il 7 marzo.

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