Rimangono pochi giorni ancora per trattare ancora sui dazi Usa (la data ultima è fissata al 9 luglio), ma a sentire il mondo politico l’obiettivo è chiudere la partita al 10%. «Non penso che la misura del 10% sia per noi particolarmente impattante» ha detto nei giorni scorsi la premier Giorgia Meloni in linea con le parole del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: «Sarebbe il caso di chiudere la questione dazi al 10%».
Non sembrerebbe, però, dello stesso avviso il vicepresidente per lavoro e relazioni industriali di Confindustria, Maurizio Marchesini che a Sky Tg Economia ha detto che sarebbe un dramma: «Un 10% di dazi, unito a un 10% di svalutazione del dollaro è una specie di tragedia». Ma cosa ne pensa il mondo del vino?
Secondo un sondaggio dell’Osservatorio di Unione italiana vini tra le principali imprese del Paese, l’impatto per le imprese sarebbe complessivamente rilevante nel 77% dei casi: “medio alto” per il 61% e “molto alto” per il 16%. In termini di fatturato, il danno stimato si attesterebbe infatti in una forchetta tra il 10 e il 12%, su cui influisce anche il cambio euro/dollaro. Il motivo principale è chiaro: per il 90% delle imprese intervistate (il cui giro d’affari aggregato supera i 3,2 miliardi di euro), i consumatori non sarebbero in grado di assorbire l’extra-costo allo scaffale determinato dal dazio al 10%.
«Il danno ci sarebbe eccome – è il commento del presidente Uiv Lamberto Frescobaldi – per le nostre imprese ma anche per la catena commerciale statunitense, che per ogni dollaro investito sul vino europeo ne genera 4,5 a favore dell’economia americana. In Italia saranno penalizzate in particolare le piccole imprese – molte di esse destinano oltreoceano fino al 50% del proprio fatturato – o le denominazioni bandiera negli Usa, come il Moscato d’Asti, il Pinot grigio, il Chianti, il Prosecco, il Lambrusco e altri».
D’altronde il vino non si inserisce tra i beni di prima necessità. E si sa, in periodo di incertezza, è proprio da quelli che il consumatore inizia a taglia, come ricorda Frescobaldi: «Il settore del vino è tra i maggiormente esposti all’aumento delle barriere, in primo luogo perché la quota export statunitense arriva al 24%, contro una media del made in Italy che supera di poco il 10%, ma anche perché il vino è un bene voluttuario quindi con una maggior propensione alla rinuncia all’acquisto».
I consumi di vino statunitensi mostrato i primi effetti: -10% solo a maggio. Mentre l’export italiano di aprile (primo mese di dazi al 10%) registra un calo del 7,5% a volume. Ancora sicuri che chiudere la quesitone dazi al 10% non sarà impattante?
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