Il Verdicchio, dei Castelli di Jesi e di Matelica è senz’altro il vino più noto delle Marche (almeno tra i bianchi), ottenuto dal vitigno omonimo, ma la regione può vantare un ricco e interessante patrimonio di altri vitigni autoctoni che sono sopravvissuti fino ad oggi – o che sono stati salvati dall’estinzione – grazie alla tenacia e impegno di alcuni produttori locali di generazione in generazione.
Ê il caso del lacrima di Morro d’Alba, della vernaccia Nera di Serrapetrona, del bianchello del Metauro e del ribona, di cui ci occupiamo qui, un’uva autoctona a bacca bianca dalla lunga storia, oggi al centro di un rinnovato interesse vitivinicolo. Conosciuto anche con i nomi di maceratino, montecchiese, greco maceratese o malvasia di Sarnano, è diffuso principalmente nella provincia di Macerata, da cui prende il nome ufficiale. Questa pluralità di sinonimi testimonia la sua antica presenza sul territorio e l’eterogeneità dei biotipi che lo compongono, frutto di secoli di selezione massale in contesti agricoli molto diversi tra loro.
Nonostante la sua iscrizione nel Catalogo Nazionale delle Varietà di Vite già nel 1970 e la successiva omologazione di due cloni per la diffusione certificata, il ribona è rimasto a lungo confinato tra i vitigni “minori”. Solo negli ultimi decenni si è assistito alla sua riscoperta, legata alla crescente attenzione per l’identità territoriale e alla valorizzazione delle produzioni locali.
La prima descrizione ufficiale in epoca moderna risale al 1964, ad opera del ricercatore Bruni, che ipotizzava una parentela con il greco, da cui si sarebbero differenziati cloni locali, tra cui appunto il ribona. Tuttavia, riferimenti a questo vitigno si ritrovano già nei Bollettini Ampelografici di fine Ottocento, dove viene citato con numerose varianti di nome, tra cui “greco montecchiese” o “verdicchio sirolese”. Anche gli ampelografi Felcini e Consolani lo descrissero come coltivato in diverse aree delle Marche già alla fine del XIX secolo.
In passato, il ribona veniva spesso allevato con il tradizionale sistema della folignata, ovvero viti maritate ad alberi d’acero campestre (oppi) o disposte in filari sparsi, a testimonianza di un’agricoltura promiscua tipica delle campagne marchigiane. I dati del Censimento dell’Agricoltura ISTAT del 1972 confermano la storicità della sua coltivazione: oltre 5.200 ettari risultavano vitati con questa varietà, in gran parte con viti di oltre vent’anni. Negli anni successivi, però, la superficie vitata si è drasticamente ridotta, fino a poche decine di ettari. Solo recentemente il ribona ha cominciato a riemergere grazie anche al riconoscimento di una specifica DOC – la Colli Maceratesi Ribona – e all’interesse di alcuni produttori locali impegnati nella sua valorizzazione.
Il cuore pulsante della coltivazione del ribona si trova nei Colli Maceratesi, un’area collinare che si estende dalla fascia pedemontana appenninica fino al mare Adriatico, tra le province di Macerata e, in misura minore, Ancona e Fermo. Il paesaggio è composto da colline dolci, ben esposte, con altitudini comprese tra i 200 e i 500 metri, su suoli argillosi-calcarei e a tratti sabbiosi, capaci di offrire un buon equilibrio tra drenaggio e ritenzione idrica.
Il clima è temperato, con influenze continentali nelle zone più interne e brezze marine nelle aree più prossime alla costa. Le escursioni termiche tra giorno e notte favoriscono lo sviluppo del profilo aromatico del vitigno, mentre la ventilazione costante aiuta a mantenere la sanità delle uve. Queste condizioni pedoclimatiche rendono il territorio particolarmente adatto alla produzione di bianchi freschi ed espressivi.
Dal punto di vista enologico, il ribona dà vini bianchi dai profumi delicati, spesso floreali, con note fruttate e leggere sfumature erbacee. Al palato è fresco, di buona sapidità e con un corpo snello, adatto a un consumo giovane ma capace anche di sorprendenti evoluzioni in bottiglia, soprattutto nelle versioni più strutturate.
Oggi rappresenta un esempio emblematico di come la biodiversità viticola italiana possa offrire risposte originali e identitarie alle sfide del mercato globale. Il rilancio del Ribona è anche un’opportunità per il territorio marchigiano di rafforzare la propria immagine enologica con una voce autentica, profondamente radicata nella storia agricola locale. Ecco i Ribona che hanno ottenuto i puntei più alti nelle guide Vini d’Italia 2025 e Berebene 2025 del Gambero Rosso.
Colli Maceratesi Ribona Le Grane 2022 – Boccadigabbia
Buono il Le Grane ’22 di Boccadigabbia, cantina di Civitanova Marche (MC), dal naso di erba falciata e limone, bocca vivida, cui manca solo un po’ di profondità.
Colli Maceratesi Ribona Altabella 2023 – Fontezoppa
L’Altabella ’23 di Fontezoppa offre ricordi di mandorla verde, leggeri tratteggi erbacei e un palato di buona consistenza, dal finale leggermente astringente e iodato. L’azienda della famiglia Luzi opera su due fronti: da un lato vi sono i possedimenti di Serrapetrona, zona pedemontana del maceratese dove si coltivano vernaccia e pinot nero. I vigneti sulle prime colline alle spalle di Civitanova Marche, molti dei quali ruotano intorno alla cantina e alla contigua locanda omonima, sono dedicati principalmente al maceratino e a un’ampia serie di altri vitigni. Al timone del team tecnico troviamo l’enologo Andrea Pala.
Colli Maceratesi Ribona Madrerata 2023 – Fattoria Nannì
Il vivido nerbo acido caratterizza il Ribona Madrerata ’23 di Fattoria Nannì, che è teso e salino. Impossibile non innamorarsi del panorama che si gode dalla cantina di Roberto Cantori: lo sguardo si apre sul Monte San Vicino e sulla poco antropizzata campagna circostante. Qui Roberto ha comprato due appezzamenti di vecchie vigne poste a un’altezza tra 380 e 450 metri e un piccolo rudere trasformato poi in efficiente cantina. La fresca giacitura dei terreni e le forti escursioni termiche, indotte dalla vicinanze del massiccio, dà ai vini profili appenninici.
Colli Maceratesi Ribona Paucis 2022 – Sant’Isidoro
Tra le Ribona costantemente poste ai vertici della denominazione troviamo Paucis di Sant’Isidoro della famiglia Foresi. La versione 2022 è per 85% affinata in acciaio sulle fecce fini mentre il 15% svolge fermentazione e maturazione in legno. Essa non fa eccezione rispetto al passato grazie alle accattivanti percezioni aromatiche di foglia di limone cui segue una bocca tutta giocata sui toni freschi dell’acidità e dell’agrume, gustosa sino all’ultima goccia.
Colli Maceratesi Ribona R 2023 – Saputi
Qualità in crescita per i vini dei fratelli Saputi, alla guida della loro azienda familiare. I vini da non mancare sono i due Ribona, ben diversificati. Qui vi segnaliamo R ’23 dalla beva sostenuta e sapida progressione, di buona profondità.
Colli Maceratesi Ribona Monteferro 2022 – Villa Forano
Villa Forano della famiglia Lucangeli è stata la prima azienda a credere nelle potenzialità del ribona con l’annata 1997. Oggi l’esperienza con il vitigno si è fatta confidenza e le loro versioni risultano stabilmente tra le migliori della denominazione. In particolare brilla il Monteferro ’22, che in piccola parte fermenta in legno grande: anice, agrumi, frutta gialla preludono a una bocca elegante, ben equilibrata, intensa e succosa, dal finale prolungato.
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