"Pechino Express? Straordinario, ma la tartaruga era quasi nauseante". Intervista al pasticcere Damiano Carrara

11 Apr 2024, 09:50 | a cura di
Dalla pasticceria a Pechino Express, Damiano Carrara è uno dei concorrenti del programma Sky. Racconta al Gambero Rosso l'inizio della sua carriera, quando da metalmeccanico ha mollato tutto per costruire il suo sogno negli Stati Uniti

Sui social conta in totale oltre due milioni e mezzo di follower. Nonostante sia italiano, per un periodo della sua vita è stato più famoso negli Stati Uniti che nel suo Paese. Damiano Carrara è il pasticcere concorrente (con il fratello Massimiliano) della nuova edizione del programma Sky Pechino Express. Con le idee chiare già da ragazzo, Carrara è partito da Lucca senza un soldo in tasca e a oggi conta tre pasticcerie riconosciute dagli americani, una ditta di importazione di prodotti Made in Italy ed è stato volto televisivo di trasmissioni di cucina e pasticceria in Italia e all’estero. Fra zuppe di tartarughe, vermi saltati in padella e un’idiosincrasia verso i “cornetti schiacciati”, ecco chi è il pasticcere toscano.

Come ha raccontato in una clip a Pechino Express, lei ha una storia particolare: ha cominciato con nulla ed è arrivato in cima, tra l’altro in un paese straniero: gli Stati Uniti. Ci racconti il suo percorso.

Facevo il metalmeccanico e dopo un paio di anni mi ero reso conto che non era il mestiere per me. Sono partito da giovanissimo, avevo a malapena diciannove anni. Non avevo niente e nessuno che mi diceva dove andare. Sono stato per due anni in Irlanda a Dublino, dopo altri due anni sono ritornato in Italia e ancora una volta ho capito che niente era cambiato, e avevo bisogno di nuovi stimoli. E da lì sono partito di nuovo e sono andato negli Stati Uniti: un mese a Las Vegas, un mese a New York, un mese a Los Angeles che mi piaceva molto perché mi ricordava casa: il mare, i monti. Decisi di restare.

E una volta stabilito lì cosa ha fatto?

Per i primi due, tre anni lavoravo e mettevo da parte i soldi per fare qualcosa di mio. Ho iniziato come bartender - sono andato negli Stati Uniti perché volevo arrivare tra i primi al mondo - ma allo stesso tempo facevo il manager e gestivo un ristorante nella zona di Los Angeles e da lì è nato tutto.

E come è approdato alla pasticceria?

A un certo punto, mi resi conto che quello che mancava davvero negli Stati Uniti era la nostra pasticceria: le domeniche assieme, un cabaret di paste, il cornettino la mattina con il cappuccino così decisi di chiamare mio fratello e chiesi se voleva raggiungermi per aprire una piccola pasticceria, e da lì è nato tutto.

Come è riuscito a diventare uno dei pasticceri più conosciuti al mondo?

Ho fatto svariati corsi in giro per il mondo e tanti in Italia dove mi sono perfezionato, è una crescita continua, questo è il lavoro più bello del mondo dove non si smette mai di imparare, si arriva a un punto che pensi di essere bravo e poi di colpo ti rendi conto di quante lacune hai: è successo a me dopo le prime gare che ho fatto, ti rendi conto di quanto hai bisogno di studiare e che non puoi mai fermarti perché è un mondo in evoluzione costante.

Ci sono dei maestri a cui deve tanto?

Maestri no, ma c’è una persona che mi ha insegnato tanto, si chiama Antonio Guerra. Lui è stato direttore alla Fugar Arte Dolce a Rimini, è un tecnico della pasticceria, una grande persona e mi ha insegnato tante cose sulle tecniche base, e sulla pasticceria gluten free e vegana, è stato un punto di riferimento. Senza dimenticare mio fratello con cui ho a che fare tutti i giorni.

Chef, bartender, pasticcere, conduttore televisivo: tante anime in una sola persona. Come si sono evolute e mescolate?

Faccio il pasticcere e l'imprenditore, ho aperto tre locali nel Stati Uniti, una ditta di importazione, abbiamo più di cento dipendenti solo a Los Angeles. Sono partito come imprenditore, mi sono ritrovato dalla mattina alla sera in laboratorio a fare il pasticcere, mi sono innamorato follemente della pasticceria, poi ne ho fatto un lavoro a tutti gli effetti, e poi è arrivata la televisione. Ho continuato a studiare, sempre.

C’è un episodio in particolare in cui hai pensato di mollare perché non ce la faceva?

Non è nel mio Dna la parola “mollare” o “non ce la faccio”, tutto quello che mi metto in testa di fare l’ho sempre fatto, ci ho messo sempre l’anima. Sono partito da me, ho portato mio fratello negli Stati Uniti, mi sono ammazzato io per tutti gli altri, mai fermato, e quando ho avuto un problema ho continuato a premere sul gas e a non guardare dietro, anche oggi continuo a lavorare duramente.

Com’è stata accolta la pasticceria italiana in California?

La California è un paese molto all’avanguardia, gli americani vengono in Italia costantemente e sono abituati al nostro cibo, ai dolci: per noi (il team, ndr) è stato molto semplice. È stato difficile solo a volte quando entravano in pasticceria e scambiavano tutti i dolci per cheesecake (sorride, ndr), e dovevi spiegare: “No madame, not everything is a cheesecake” (No, signora, non tutto è cheesecake, ndr), da qui l’intenzione e la voglia del nostro team di insegnare alle persone, di far assaggiare i dolci, è stata una scuola per gli americani anche molto apprezzata: trovarsi ad assaggiare dolci con minori quantità di zucchero, raffinati, con diverse proposte, con gusti che appartengono a noi.

Propone pasticceria italiana classica, dunque?

Sì, 100%: bignè, sfogliatelle, cannoli, crostate di frutta, torte della nonna, tiramisù, babà, frittelle.

In totale contrapposizione con i trend odierni della pasticceria in Italia. Che ne pensa, ad esempio, dello smash croissant (il cornetto schiacciato)?

Del cornetto schiacciato non ne parliamo! È una cosa abominevole. Non sono d’accordo, né io ma, credo, nemmeno nessuno che faccia il pasticcere: non si può fare un lavoro che impiega tanto tempo per poi schiacciarlo. È come se tiri su una casa e la butti giù perché è la moda.

Rifiuta tutte le forme anticlassiche del cornetto come quella cubica o a sfera, dunque?

Il cubico è anche ganzo. Non vedo niente di complesso: è lo stesso impasto messo in un altro stampo per farlo quadrato o sferico. Però, io preferisco il mio croissant sfogliato alla grande, leggero, alveolato bene, profumo di burro, bacca di vaniglia

Oggi sono i cubrik, una volta i macaron e i cupcake (almeno in Italia). Negli Stati Uniti sono ancora un trend?

I macaron si trovano in Italia, come in Francia, però non sono così di moda perché sono dolciastri, tendono a stuccare: non è un dolce che si mangia tutti i giorni. In America, invece, i cupcake sono ovunque, non c’è una pasticceria che non abbia i cupcake, un grande classico, come da noi lo è la torta della nonna o il tiramisù.

Da un trend a un altro: parliamo di file di clienti che si creano fuori dai locali, vedi il fenomeno di All’Antico Vinaio o della pasticceria di Cedric Grolet. Cosa ne pensa? Fuori dalla sua pasticceria in California si creano file per entrare?

Dipende: la fila è determinata dal numero di persone che possono entrare all’interno di un locale. Quando ho aperto io, c’è stata una fila di tre chilometri e mezzo, si è creata fila per un anno e ancora tuttora c’è fila dalla mattina alla sera. Io faccio entrare anche due o trecento persone alla volta che entrano ed escono.

Quindi, per lei la fila è un aspetto positivo?

Il problema delle file è che c’è tanta affluenza, penso che sia una cosa bella, vuol dire che il prodotto è percepito bene, piace e quanto meno c’è un interesse in quello che fai. Sono contento per chi ha la fila, significa che lavora bene come All’Antico Vinaio, hanno un creato qualcosa di reale e alla fine ci sono i risultati. Le file sono risultati e parlano da sole.

È seguitissimo sui social, solo su Instagram conta quasi un milione e mezzo di follower. Anni fa, il suo, è stato anche uno dei profili food più seguiti in tutto il mondo. Come gestisce i suoi social e come sono cambiati i creator negli ultimi anni?

Non riesco a gestire il profilo e pubblicare tutti i giorni, conosco gente che fa quello dalla mattina alla sera. Ci sono content creator più che pasticceri: io ho aziende, vado in televisione, ho anche altri impegni, non riesco a fare solo quello.

Cosa ne pensa dei video emotional e impattanti di pasticceri come Cedric Grolet?

Funzionano, ma le dico che negli ultimi mesi già sta cambiando il trend: sono passati quasi di moda. Lo vedo dalle visualizzazioni: se prima si facevano tre milioni, per dire, adesso se ne fanno trecentomila. I social sono un mondo complesso, non è facile, ed è per questo che esistono i social media manager.

È concorrente della nuova edizione in corso di Pechino Express. Come sta andando il suo percorso food in questo viaggio televisivo?

Straordinario. Per me è stata una delle più belle esperienze che abbia mai fatto. Lasciando perdere la parte brutta - cose che mi hanno forzato a mangiare durante la gara -  è stata una cosa bellissima. Ho mangiato dei piatti buonissimi: entrare in casa delle persone e conoscere la loro cultura, le loro ricette, sento ancora il profumo.

E ha cucinato?

Sono stato in giro, mangiavo e aiutavo a cucinare: ho cucinato il maiale, le frittelle di riso, frittelle con crema pasticcera, cercavo di ricambiare la generosità della gente con qualcosa di concreto.

È stato in Vietnam. Cosa ha mangiato nelle case delle persone del posto?

Un giorno ho trovato anche del riso fresco, non tostato, crudo, e ci ho fatto le frittelle di riso a casa di gente del posto. In Vietnam sono fortissimi sull’anatra, l’ho mangiato arrosto, stufata, ho assaggiato diversi tipi di zucche, anche i vermi.

Che sapore hanno i vermi? Com’erano preparati?

Saltati in padella, quasi fritti. Rimangono croccanti esternamente e all’interno sono molto sapidi e speziati, perché usano molte spezie.

Li ha apprezzati?

Uno, due li mangi, se devi fare una scorpacciata… non lo so. Sono cose particolari, devi andare lì sapendo che loro mangiano piatti diversi dai nostri, come noi siamo cresciuti mangiando fegato e cervello, loro sono cresciuti mangiando i vermi.

Ha anche mangiato la tartaruga.

Sì, abbiamo iniziato il viaggio con una bella zuppa di tartaruga.

Che sapore ha?

C’era una grandissima quantità di coriandolo fresco, quindi era bella speziata e piccante. C’era anche della curcuma: non era buona, la carne era morbida, ma nel complesso quasi nauseante, non è che mi sia piaciuta più di tanto.

Il telecronista Fabio Caressa non ha apprezzato.

Nemmeno mio fratello: che mi era accanto, lo guardava e vomitava e io gli dicevo di non guardare e mangiare, ma a lui veniva la nausea.

Usa la farina di grilli per le sue creazioni?

Non l’ho usata, non la uso e non so se mai l’userò. Non è una cosa che mi interessa, in Italia abbiamo milioni di farine differenti, perché prendere la farina di grilli?

Pechino Express è uno show Sky Original prodotto da Banijay Italia tutti i giovedì su Sky e NOW e sempre disponibile on demand

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