Accoglienza, sorriso, benessere. E, ovviamente, grande cucina. Ma la festa, qui alla Taverna Estia, avamposto del gusto a un salto dalla "capitale" della musica popolare campana più profonda, Pomigliano d'Arco, e due da Capodichino, ma pur sempre fuori dalle rotte più banali e battute, comincia - per così dire - dalla porta, anzi dal vialetto che la precede. E prosegue poi, una volta al tavolo, con l'arrivo degli strumenti di orientamento (le "bussole" del commensale), ergo menu e carta dei vini, notevole quest'ultima per profondità, ampiezza e scelte, ma soprattutto per la diffusa sobrietà di ricarichi che permette davvero a un numero ampio di commensali esplorazioni e diversioni altrove forse ai limiti del possibile. Ampiamente confortati sulle prospettive del fronte calici e bottiglie (da discutere e valutare con Mario Sposito e i suoi) si può dunque approcciare la kermesse gastronomica firmata dal bravissimo fratello ai fornelli, Francesco (visibile in azione insieme al suo team dalla bella sala). E goderne da subito la solare, intelligente articolazione di proposte. Organizzate, com'è logico, in percorsi che partono scientemente (il primo si chiama "la campagna") dal territorio circostante, dalla "sostanza" del gusto campano, da riedizioni di classici (la "pur sempre caprese") e matrimoni estremamente golosi (gli gnocchi ripieni di pesto di "friggitelli" e pomodorini confit) e insieme fini, come del resto la variazione sul maialino che sposa tapioca e laccatura orientale a uno dei totem contadini di sempre. Si sale (o meglio, si scende, direzione mare) con "la costa", 130 euro per un racconto in sei capitoli che sa di Tirreno e di viaggi. Si sbarca direttamente dentro la "navicella" dello chef con l'"a mano libera" da 8 passi, a 165 euro. Tutte le entrée d'approccio di tutti i menu sono pensate "da mangiare con le mani", come recita la carta. I singoli piatti sono ordinabili e seriabili. La cortesia puntuale del servizio non devia di un millimetro dalla piacevolezza complessiva della sosta.