Cโรจ una foto in bianco e nero, che risale al dicembre del 1968, solo pochi mesi prima della sua morte. Ritrae un gruppo di amici sorridenti, intorno a un tavolo apparecchiato. Piรน che mangiare, sembrano bere, hanno calici che ora si userebbero per i Martini e forse anche allora, anche se sul tavolo si scorge una bottiglia di Champagne ungherese e una birra. Ci sono Nunzia Monanni, lโultima compagna, il figlio Alberto, Gabriel-la Bucher Scerbanenko, e la proprietaria del ristorante. Siamo al Tulipan, che si trovava in piazza Oberdan (Porta Venezia), allโangolo con via Tadino (oggi cโรจ la pizzeria Maruzzella). Un ristorante ungherese dove donna Rozal Brandis, cantante e pittrice, intonava canzoni popolari, accompagnata da unโorchestra tzigana, mentre i camerieri in costume si aggiravano nella sala in stile magiaro. Alberto Scerbanenko ricorda ancora la โgiunonica bionda ungherese con una treccia delle dimensioni del mio avanbraccioโ. Milano Tavola, una guida gastronomica edita da Bolaffi e pubblicata nel 1974 (a cura di Decio Canzio) loda il Tulipan, perfetto โper chi vuole provare unโormai rarissima emozione operettistica, con il violinista che si contorce sul piatto di gulyas per inondarvi di note lacrimoseโ. Un posto speciale, dove mangiare zuppe di crauti, aringhe alla Bismarck, filetto allโEsterhazy, il tutto inondato da bianchi del Balaton.
La copertina del libro di Alessandro Trocino
Non sono questi i piatti di cui si parla nei libri di Scerbanenco. Anche perchรฉ la cucina straniera negli anni Sessanta era appena arrivata a Milano. Il primo ristorante cinese, in ritardo rispetto a Roma, apre il 2 ottobre del 1962, La Pagoda, in via Fabio Filzi, recensito da un entusiasta Dino Buzzati sul Corriere della Sera. Dodici anni dopo, nella guida Bolaffi, sul centinaio di locali recensiti sono segnalati tre cinesi (via Canonica e via Solferino), due ungheresi, due francesi, un greco, uno spagnolo, un iraniano e un giapponese. Scerbanenco frequentava, e citava nei suoi romanzi, locali che in alcuni casi ci sono ancora o non ci sono da pochi anni. Uno dei preferiti era la Tavernetta di Elio, un ristorante toscano in via Fatebenefratelli. Qui cenรฒ per anni anche Indro Montanelli, sin dalla fondazione del Giornale, che aveva la prima sede a pochi passi, in piazza Cavour. Con il proprietario, Elio Niccolai, discuteva dei fagioli di Sorana, della ribollita, e ospitava al suo tavolo il bel mondo della politica e del giornalismo, con annessi filibustieri di ogni genere. Negli ultimi anni della sua vita, ho visto un paio di volte Montanelli entrare da solo da Elio, per mangiare una minestrina serale. Scerbanenco ci andava invece con la compagna Nunzia Monanni, ma anche con le scrittrici Milly Dandolo e Brunella Gasperini, con il disegnatore del Bertoldo Giaci Mondaini, padre di Sandra, con i giornalisti Emilio Radius, i fratelli Sprea e Camilla Cederna. E con Vittorio Buttafava, che lavorava con lui a Novella, e che avrei letto alla fine degli anni Settanta nei suoi taccuini agrodolci โ La vita รจ bella nonostante, Una stretta di mano e via โ pieni di massime malinconiche e con in copertina i tram arancioni dellโepoca. Scerbanenco si concedeva spesso Bice, aperto ancora oggi, giร allora considerato chic.
Il ristorante Bice in via Borgospesso. In apertura, la vecchia Alemagna all’inizio degli anni ’50
La prima sede la apre Bice Mungai, arrivata da Chiesina Uzzanese nel 1928 in via San Pietro allโOrto, con lโinsegna di Gino e Bice. Nel 1939 si trasferisce in via Borgospesso, a due passi da via Manzoni, e diventa il luogo preferito di personaggi noti, come Montanelli, Spadolini, Mastroianni, Gassman, Vittorio De Sica. Giร nel 1974, la guida Bolaffi contesta una cucina che sembra โvivere di renditaโ, con i tre figli Remo, Roberto e Loretta โche rimangono un poโ nellโombra come comparse poco convinteโ. La Bice, scrive, โcoccola i rampolli della Milano bene, che sfruttano i conti aperti dai genitori habituรฉs del locale, con la sapiente dolcezza di una nonna comprensivaโ. Lโatmosfera รจ โcordialonaโ e il menu รจ toscanissimo, con i classici dellโepoca: lโimmancabile ribollita, i fagioli allโuccelletto, la trippa alla fiorentina, le scaloppe al Camembert e, per finire, quiche lorraine, il tutto innaffiato da Chianti sfuso. Il prezzo medio nei primi anni Settanta era di 5 mila lire e tra i comfort era citata la โteleselezioneโ. Bice รจ scomparsa nel 1996 e ora in sala ci sono le nipoti Roberta e Beatrice Ruggeri. La cucina, guidata da Vincenzo Mazzone, non รจ piรน toscana, ma รจ debitrice soprattutto degli anni Ottanta. Si trovano piatti come i gamberi rosa al vapore in salsa cocktail (35 euro). La Bice รจ citata anche in Traditori di tutti, in una tradizione che non รจ molto frequente in Italia: per ragioni incomprensibili, spesso legate a un malinteso tentativo di sottrarsi a derive pubblicitarie, si preferisce da noi non menzionare luoghi e oggetti veri, finendo cosรฌ per risultare posticci, con protagonisti che si aggirano in scena e nei libri con giornali improbabili sottobraccio e mangiano in ristoranti veri dai nomi camuffati.
Scerbanenco rompe questa tradizione un poโ ipocrita, perchรฉ ha bisogno di realtร , vuole stare vicino alle cose, far sรฌ che il suo lettore si immedesimi e con la stessa acribia con la quale racconta la toponomastica milanese, descrive alcuni suoi locali e protagonisti. Come la Bice, che serve i liquori, si siede con i clienti, li chiama commendatori, lusingandoli, anche se non lo sono, e quando criticano la carne, sorride e cambia discorso. ร unโatmosfera โcordialonaโ davvero, con la proprietaria che si siede ai tavoli con i clienti, come accadeva al Tulipan, e scherza, ride, beve con loro. Cโรจ un altro locale che fa la sua apparizione in Traditori di tutti ed รจ il bar pasticceria Ricci, aperto nel lontano 1938 e poi chiuso nel 2017, dopo diverse avventure, la trasformazione in un bar gay friendly glamour (come si diceva negli anni Ottanta) e un ultimo tentativo disastroso di riportarlo ai fasti di un tempo, con nuovi soci, tra i quali Joe Bastianich e Belen Rodriguez e un menu cafonal, tra hamburger e lobster roll. Nel romanzo ci va Duca Lamberti: โSullโimmagine della ragazza distesa nella cella frigorifera si disegnarono piรน nitidi i banchi di quel venerando tempio dellโAlta Dolciaria, dellโAlta Ora del tรจ, Alta Sera dellโAlto Gelato, dove mezza Milano, o tutta?, veniva appena poteva per il rito dellโaperitivo, per la cartocciata di paste che i mariti portavano a casa alla moglie e ai bambini alla domenica, e le bottiglie di vino francese, greco, tedesco, spagnolo, esposte in una vetrina, un poco inclinate, liquidi gioielli difficili da intendere se uno aveva il palato abituato ai vini da pastoโ. ร una Milano internazionale, con vini di tutte le nazionalitร , una Milano dellโabbondanza, opulenta, gaudente, golosa.
Milano, via Moscova ieri e oggi
Come lโAlemagna di via Manzoni, oggi Emporio Armani, che un tempo era un altro tempio della pasticceria, tra panettoni, meringhe e cioccolate con panna. In Venere Privata, dopo il giro al seguito delle โcooperatriciโ (le prostitute), ci va Davide Auseri e trova un banco smisurato con le tartine allโuovo, al salmone, al caviale, e tutti quei pasticcini e gelati che danno un tono di Versailles e Tuileries allโambiente, ma con una nota di modernitร astratta che stona, lโaria condizionata gelida, che fa unโaria da montagna in cittร . Duca mangia tre tartine e beve una birra, distogliendo lo sguardo dalle commesse. Perchรฉ Davide รจ โsgocciolante di istintiโ e guardare la commessa della pasticceria, con lโacconciatura gonfia, che manovra le praline, gli fa un effetto che รจ meglio non incoraggiare. Non รจ la sua unica tappa gastronomica, e sempre in luoghi moderni. Stavolta va al bar Milanese (esiste ancora) della Galleria Cavour, dove trova una bomboniera di caramelle, cioc-colatini, paste e una birra gelata, che tracanna subito. La stessa opulenza raccontata piรน avanti, nella stessa zona.
I paciosi, efficienti, ambrosiani passeggiano con i loro loden verdi, i cappelli dalle larghe tese e nulla sanno dei traffici di droga, di un uomo che colpisce la moglie con ventisette coltellate, non sanno che lร fuori โtutto va sudiciamente maleโ e se ne stanno allโHotel Cavour (anche questo รจ sopravvissuto, su via Fatebenefratelli), tra vassoi opulenti, colmi di tartine e panini, i grissini con il prosciutto dolce di San Daniele avvolto intorno e le vaschette di burro nel ghiaccio, il patรฉ in gelatina e perfino le bottiglie di birra nel secchiello dโargento. La cittร giร modernissima, e un poโ cafona, anticipa la Milano da bere e alterna forme di resistenza tradizionali a slanci di futuro.
Nel racconto Basta col cianuro, in Milano Calibro 9, il protagonista sta in una pizzeria di viale Lombardia e mangia un piatto di nervetti, tirando su con la forchetta lunghi riccioli di cipolla cruda, e quando arriva la ragazza la rimpinza con pizza con i funghi, profiterole, Verdicchio e grappa con la ruta. Il menu del Piccolo hotel per sadici, dalla raccolta Milano Calibro 9, รจ un bel memoir del tempo passato: assiette di caviale e salmone โ doppio ristretto di manzo con crostini โ pollo alla cosacca con tartufi โ formaggio, frutta e gelati casarecci. I due vecchi lupi protagonisti del racconto, prima di squartare con coltellacci e scalpelli a lama e sega una ragazza di ventisei anni, ci danno dentro, con lโappetito lussuoso della borghesia emergente e marcia. Qui cโรจ un salto di qualitร anche nella sfarzositร del banchetto, con le ostriche adagiate sul ghiaccio tritato in un vassoio dโargento, un piatto di cristallo con i quartini di limone disposti a elicoide, le pepiere dโargento, il vino bianco coquillage nel secchiello.
La ragazzina Adri si aggiusta la vestaglia e prepara le ostriche al gusto di allora, con molto pepe e molto limone e comincia a distribuirle una per ciascuno, come una geisha destinata a una brutta fine. ร un periodo cosรฌ, si scoprono i cibi raffinati, il lusso, le ostriche, mentre i grandi chef sono cuochi ambiziosi e inadeguati, che sperimentano battute di cervo allโimperiale con arance della California macerate nel rum, ma che poi finiscono per sbagliare i piatti piรน semplici, e trasformano due uova al tegame in una frittata. Non cโรจ ancora il chilometro zero, come si evince dalle esotiche arance californiane, ma cโรจ giร una subalternitร al lusso dโimportazione. Franco Gnoli ha raccontato che con Scerbanenco andava al Bar Vittorio Emanuele, sotto la Galleria, e prendevano lโOpaline, un liquore azzurrognolo a base di anice. Di fianco allโesterofilia imperante, ai profiterole, al coquillage, alle ostriche con tanto limone, convive perรฒ la vecchia Milano povera di una volta. Lโosteria con lโaria che sa di segatura umida, lโodore della zuppa di verdure che sale dalle scale, i fiaschi di Frascati e di Orvieto, il panino con le olive nere, il pollo con i funghi, la sambuca con il chicco di caffรจ, la Barbera, le fettuccine al ragรน, i panini con wurstel e crauti della Croita Piemunteisa, la pasta e fagioli che era ancora una minestra di fagioli, la china liscia, le conchigliette al burro, il formaggio duro con la lacrima del lodigiano, il panettone del bar Frontini, lโinsalata alla marinara, il pollo freddo, il Centerbe, il biancostato, le insalate di peperoni, la mostarda, i maccheroni gratinati comprati dal salumiere di via Vitruvio.
Ci sono cose piรน esotiche, come il kirsch, lโananas acquistato nel supermercato di viale Regina Giovanna, che poi รจ lโEsselunga di Caprotti, il primo aperto in Italia, nel 1957. Cโรจ il prosciutto in scatola, testimonianza della modernizzazione dellโindustria conserviera dei cibi. Ci sono il whisky Mackenzie, il cocktail con lโuovo, il vino bianco bevuto con seltz e limone. ร una Milano che esce dalla povertร e prova ad adeguarsi, i trani, osterie autentiche che si travestono da bar, sostituendo i tappeti verdi sui tavoli con ripiani di plastica, modernitร appiccicosa. Tra le righe, si coglie giร una critica a questa Milano finto moderna, un poโ bauscia. Del resto, lui odiava da sempre lโesibizione, come scrive in un ironico e fulminante autoritratto sulla rivista Il Milione, nel 1939: ยซGiorgio Scerbanenco รจ benevolo e indulgente verso molte cose e molte persone, ma detesta le riunioni mondane, lโostentazione e lo snobismo. Trascinato a un pranzo di gala dove i padroni di casa esibivano le loro ricchezze, il loro lusso, e gli ospiti affettavano di non toccare quasi le vivande, stufo di vedersi mettere sotto il naso stoviglie preziose, ma quasi vuote, disse forte: gradirei ancora un cucchiaino dโargento di risottoยป. Cโรจ perfino una citazione dei vegetariani, in un racconto di Milano Calibro 9, Quando una donna piace forte, dove racconta che la Fiera di Milano era piena come un filobus nellโora di punta a causa dei fieraioli vegetariani, che assediavano i tavoli per mangiare. Ma cโรจ giร anche, incredibile a dirsi, una critica della finta tradizione, di chi fa del passato una moda, censurabile come il modernismo a tutti i costi.
E cosรฌ in Traditori di tutti, Duca arriva alla Certosa di Pavia (sorta di prolungamento della cittร metropolitana) e trova sul piazzale un paio di osterie: โScelse la meno rustica, non si fidava della rusticitร โ. Ma le cose non vanno bene ugualmente: โAl ristorante non rustico, con qualche tentativo di modernitร e di eleganza, lร , davanti alla chiusa Certosa di Pavia, la cosa piรน difficile fu ot-tenere due panini con salame e peperoni sottaceto, non si volevano abbassare a questi piccoli servigi, barista, cameriere e padroncina alla cassa tiravano in lungoโ. Duca deve sfoderare la sua autorevolezza, insieme al tesserino di poliziotto, per ottenere โsubito, non a Ferragostoโ due panini con salame e sopra una fettina di peperone sottaceto. Ordine eseguito, ma il risultato non รจ soddisfacente: โIl salame era molto discutibile, e il peperone, piรน che di aceto, sapeva di acqua ragia, ma non aveva colpa nessuno, vero?โ. La gastronomia come il crimine, degrado delittuoso senza colpevoli. In Traditori di tutti, Duca e Mascaran-ti vanno alla trattoria Prospero e devono ripulirsi dal sapore amaro delle โmale pianteโ, tipacci capaci di ammazzare dieci persone e che poi, soltanto perchรฉ considerati โmalaticciโ, vengono spediti a Nervi a passeggiare, respirare aria salmastra e sorbire zuppa di pesce. Duca e Mascaranti no, non sono cosรฌ, sono uomini veri, non malaticci, non feccia e si capisce anche dal menu. E cosรฌ mangiano โda maschiโ, spaghetti alle vongole, filetti di merluzzo fritto e formaggio pecorino.
A Inverigo, nel romanzo, cโรจ una signora che toglie il filo ai fagiolini, a mano. Duca sta parlando con Livia, la rabbia in corpo per quel viso sfregiato, per quella donna rovinata e reietta, per colpa sua, che lโaveva sacrificata, e dei criminali. Parla e guarda la signora che lavora, poi segue un suo istinto. Ricambia il sorriso alla donna dietro la cassa, prende un fagiolino e lo schiaccia tra le dita, tanto per esercitare violenza su qualcosa. La legge proibisce la violenza, ma lui ne ha bisogno, e i fagiolini sono lโunico oggetto sul quale puรฒ scatenare la sua rabbia inerte, contro i traditori. Era un mondo in cui tutti tradivano tutti, per un gelato. Anche se era giร un mondo che non si accontentava piรน del barbera, come allucinogeno, erano passati alle bombe e alla mescalina. Si ubriacavano con lโanice lattescente, un liquore prodotto in Sicilia, una sorta di sambuca con spirito di vino e cumino. Nei Ragazzi del massacro รจ la bevanda da settantotto gradi che produce eretismo psichico e che, con lโaiutino dellโanfetamina, li spinge alla violenza efferata contro lโinsegnante. Il fiasco di vino รจ ormai il ricordo romantico di un mondo sparito.
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