Nel mondo di cibo e cibarie ci sono mestieri che non esistono piรน o stanno scomparendo. Come il venditore di olive e fusaglie, o lโarrotino, che prima girava in bicicletta, oggi in macchina, spesso in tandem con lโombrellaio annunciandosi con lโaltoparlante. Su due ruote c’erano tante attivitร legate al food, andate in pensione da decenni, come il bottaro, il burraio, il venditore di sale. Anni fa il Museo Galileo di Firenze ha organizzato una mostra sulle “biciclette dei mestieri”, selezione della collezione di Marco Paoletti.
Cโera โ e cโรจ ancora, ma รจ una mosca bianca โ il caldarrostร io. Si chiama proprio cosรฌ il rivenditore ambulante di castagne arrostite nel suo grande braciere. Da boomer ricordo questa figura cosรฌ familiare fino agli anni โ80, che si incontrava in piazze e lungo strade del centro storico dallโautunno allโinizio dellโinverno. A Torino si poteva trovare a via Po, via Roma e a Porta Palazzo, a Milano a piazza Castello. A Napoli โo castagnaro con i suoi i cuoppi di caldarroste sostava al Vomero, a Posillipo, tra piazza Plebiscito e via Toledo, come nei Quartieri Spagnoli e alla Pignasecca.
A Roma, la mia cittร , era di casa a Campo deโ Fiori, piazza di Spagna, piazza Navona, a via del Corso o a via Nazionale, tanto per citare alcuni luoghi del centro. Ma lo incontravi anche in zone piรน periferiche, perchรฉ le caldarroste erano uno street food vivo e popolare: non erano di moda, non facevano tendenza, non erano roba da turisti. Costavano poco, erano una merenda o uno sfizio che noi ragazzini ci potevamo permettere con la paghetta settimanale, che non era granchรฉ e doveva comprendere anche un paio di gelati e le chewing gum.
Le caldarroste venivano servite calde di brace in un cartoccio di carta paglia arrotolato a cono. Dentro ce ne stavano quattro o cinque. Venivano preparate espresse, talvolta dovevi aspettare per avere le tue castagne belle abbrustolite e aperte sulla pancia. Era un piacere toccarle ancora bollenti e palleggiarle tra le mani prima di sbucciarle. Non si aspettava che si raffreddassero. Le mangiavamo a bocca aperta per far entrare lโaria fresca, soffiando per buttare fuori quella calda: erano delle piccole bombe bollenti. Anche questo faceva parte del rito. Erano un comfort food delizioso, sano, a buon mercato e facile da trovare nel suo periodo clou.
Poi sono venuti gli anni โ90, anni di passaggio tra il XX e il XXI secolo nel senso piรน reale: la Guerra del Golfo, la nascita del web, Tangentopoli, la fine della Prima Repubblica e lโingresso stentato della Seconda, il protocollo di Kyoto. I caldarrostai si trovavano ancora agli angoli di strade e piazze, ma sempre meno e avevano perso la loro autenticitร . Sembravano messi lรฌ dal Comune o dallโente del turismo. ร in quel decennio che le cose sono cambiate. Le 4-5 caldarroste dentro al cartoccio costavano come un aperitivo in un locale ร la page, soprattutto erano molto meno buone, alcune vecchie o bacate, arrostite ore prime e servite fredde, tuttalpiรน riscaldate sul braciere allโultimo momento, bollenti fuori e gelide dentro. Roba per turisti da spennare. Giร si era entrati nell’epoca dei cibi pronti e precotti, del progresso che uccide la civiltร , come diceva Giovanni Guareschi.
Ho riassaggiato le caldarroste una trentina dโanni fa. Erano la bruttissima copia di quelle che mangiavo da ragazzina. Quella fu lโultima volta. Preferisco tenermi stretto il mio ricordo e prepararmele a casa con la padella forata. In autunno, ovvio, come una preghiera.
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