Cosa c’è dietro i nostri piatti? Qual è la loro storia socioculturale? Qual è il significato del piatto, e del mangiare, nella prospettiva femminista? Questi sono solo alcuni dei quesiti che si pone la giornalista franco-tedesca Annabelle Hirsch, in Il piatto. Una storia di donne, di appetiti e di emancipazione in un oggetto quotidiano (Corbaccio, 2025). Attraverso una panoramica di cene, piatti, tavole, Annabelle Hirsch ci racconta la storia di casalinghe, suffragette, artiste che, di fronte a una società patriarcale abituata a reprimere subdolamente l’appetito femminile, opposero una battaglia fatta di corpi affamati nonché una feroce «guerra di piatti».
Fin dall’infanzia, alle donne sono impartiti valori comportamentali quali la raffinatezza, il contegno, l’eleganza che, una volta trasferitesi a tavola, diventano sinonimo di scarso appetito. «Le donne, quelle adulte, quelle raffinate», riflette Hirsch, «non prendevano semplicemente quello che volevano, ma si facevano sempre pregare un po’ per mangiare». In una delle più celebri opere della letteratura femminista novecentesca, Una stanza tutta per sé, Virginia Woolf ci introduce in due scenari caserecci di banchetto: laddove il primo, tenutosi presso un collegio maschile di Oxbridge, si distingue per l’opulenza e la sapidità delle pietanze – dalle sogliole cotte con cavolini succulenti al dolce ricoperto di zucchero; il secondo, organizzato nel collegio femminile di Fernham, appare, agli occhi, e soprattutto alle papille gustative della scrittrice, estremamente frugale, asciutto e completamente privo di aromi, colori, sapori: un semplice brodo, servito su un piatto fondo totalmente bianco, e una ciotola di prugne insipide. Sulla tavola femminile, regna l’autocensura della fame e del piacere.
Virginia Woolf
Che forza si cela dietro quei piatti? si domanda Hirsch che, servendosi di un banale oggetto quotidiano, racconta la subordinazione socioculturale della donna: il piatto, e il cibo al suo interno, diventano un silenzioso, ma sofisticato strumento per preservare valori più profondi e propri della società patriarcale. «Il piatto vuoto,» scrive l’autrice «diventa metafora del posto che la società è pronta a offrire alle donne, ma anche di quello che loro stesse sono disposte a reclamare per sé». Tra Seicento e Settecento, si cominciò a controllare la fame femminile, collegando in maniera diretta i concetti di “donna” e “alimentazione”: nacque la figura della moderna casalinga, “la custode del focolare” che, relegata ai fornelli della cucina, venne chiamata ad assolvere il compito, o meglio la missione, di nutrire la propria famiglia. La vera essenza femminile, annunciarono medici e filosofi del tempo, tra cui Denis Diderot, consisteva nell’inappetenza, la mancanza di desideri fisici: di conseguenza, il loro dovere era dedicarsi esclusivamente alla soddisfazione dell’appetito altrui, ovvero del proprio marito e dei propri figli. Nutrire la propria famiglia divenne «una prova d’amore della donna verso la famiglia» e, le donne che osavano rifiutare questa missione erano considerate socialmente colpevoli di egoismo e di tradimento.
Inoltre, se la natura delle donne era avere scarso appetito, venne richiesto loro di mangiare poco, il necessario per sostentarsi e continuare a servire la famiglia, e molto spesso – cosa che succede ancora oggi – la donna/moglie/madre/casalinga, dopo aver cucinato colazione, pranzo, merenda, cena, apparecchiato la tavola e servito grandi porzioni al marito e ai figli, si limitava perlopiù a spizzicare gli avanzi altrui.
In quale modo sottrarre il proprio piatto al controllo degli uomini? Se il rifiuto di mangiare, tipico dei comportamenti anoressici, finisce per esasperare la riduzione della donna al proprio corpo, la grande strada da seguire è quella tracciata da artiste come la pittrice inglese Vanessa Bell, sorella di Virginia Woolf che, insieme al marito pittore Duncan Grant, nel 1932, disegnò una serie di piatti colorati di porcellana con l’effigie di donne distintesi per non «aver trattenuto il proprio appetito per compiacere la società, raggiugendo così risultati notevoli» – la Famous Women Dinner Service. O ancora l’installazione The Dinner Party, esposta per la prima volta, al Brooklyn Museum di New York, nel 1979, in cui l’artista americana Judy Chicago “apparecchiò” una tavola triangolare di trentanove posti, tutti dedicati a figure femminili importanti della storia, con i piatti a forma di vulva. La domanda, posta da entrambe le opere, risuona ancora oggi: Qual è il posto della donna nella storia e nella società?
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