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Recensioni a pagamento? La verità è più noiosa (e più scomoda)

L'onestà intellettuale è un fattore indispensabile per chi scrive di cibo. Ma al lettore è demandata la responsabilità della scelta di chi leggere.

  • 11 Maggio, 2025

Davvero qualcuno pensa che i ristoranti paghino le recensioni sulle testate serie? Se così fosse, a fronte di decine di migliaia di indirizzi segnalati, recensiti o solo raccontati dovremmo, quanto meno, avere corde tessute d’oro che ci legano alle nostre sedie. E invece no. Non funziona così. C’è un mondo di mezzo, ne siamo consapevoli, una zona grigia fatta di scorciatoie e piccoli spazi di potere, ma sono singoli casi circoscritti al giornalista traffichino, dunque non sistemici se non in casi eclatanti, emersi agli onori delle cronache (e se qualcuno subisce pressioni simili, due sono le cose: o denuncia o è complice).

I costi del lavoro e della formazione

La verità è un’altra: tranne poche eccezioni, il mondo della critica gastronomica è obbligata a fare i conti con inviti, cene stampa o conti alleggeriti. Obbligata perché nessuno stipendio normale può coprire le spese di una formazione seria (che passa anche per l’esperienza di tavole spesso costose), e perché nessuna testata può permettersi di rimborsare tutti i collaboratori per ogni cena (tranne forse la Michelin, che però ha evidentemente altre dinamiche imprenditoriali). Anche se vivessimo di rimborsi, comunque gran parte delle nostre paghe se ne andrebbe in ristoranti e viaggi per raggiungerli – spesso spendendo molto più di quanto si guadagna – in maniera non differente da quanto fanno i critici teatrali o cinematografici per i festival o quelli musicali per i concerti. A ognuno di loro arrivano inviti diretti per assistere a spettacoli, performance o film con accrediti stampa, certe volte con copertura spese di trasferta (e anche per loro questo non esaurisce l’indispensabile aggiornamento continuo). Nella moda al front row si invitano vip, influencer e stampa di settore, chi scrive di moto riceve tute e caschi o veicoli in prova. Si può vedere in tutto questo del marcio, ma più che un arraffa-arraffa è quel che succede in ogni settore e con cui dobbiamo farei conti se vogliamo crescere e migliorare. È una questione di onestà intellettuale, insomma, più che di onestà tout court. E di questa onestà si deve fare carico chi scrive ma anche in parte chi legge.

La responsabilità del lettore

Ogni rapporto tra giornalista e lettore è basato sulla fiducia e si presume che di fronte a un articolo si sia già fatta una selezione all’origine: questo fa parte di quelle che si potrebbero chiamare le responsabilità del lettore senziente. È infatti il lettore che decide a chi credere e a chi no, a chi affidare il filtro della propria conoscenza del mondo, chi ritiene serio e autorevole. Se poi il punto è che giornalisti e cuochi si scambiano pareri, scrivono libri insieme, organizzano di concerto festival o convegni, meglio dare un’occhiata alla querelle sui critici militanti degli anni ’60 e si vedrà che si riflette sul ruolo e la posizione della critica da tantissimo tempo e ben al di fuori del circoletto della ristorazione, alta o bassa che sia. Quindi, piuttosto che buttarla in caciara (per i non romani: fare volontariamente confusione per confondere le idee) parlando di nebbia e melma che avvolgerebbero tutto il mondo della ristorazione, proviamo ad assumerci la responsabilità piena di quel che scriviamo ma anche di quel che decidiamo di leggere. Perché quella confusione assolve i disonesti, l’onestà intellettuale tutela i lettori.

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