Vendemmia 2025

Uiv: "Vietato produrre troppo vino, si rischia il crollo dei prezzi". Ma Lollobrigida replica: "Basta depressionismo"

"Adeguare il Testo Unico del vino alle nuove dinamiche del mercato". Dall'Assemblea Uiv, Frescobaldi lancia la proposta e invita i produttori a rinunciare ai vini a bassa remunerazione

  • 03 Luglio, 2025

Non possiamo più permetterci vendemmie da 50 milioni di ettolitri. Messaggio forte e chiaro quello arrivato dall’assemblea capitolina di Unione italiana vini, che ha chiamato a raccolta il settore, invitandolo ad una presa di coscienza. Per sopravvivere all’attuale congiuntura bisognerebbe mantenere le vendemmie in un range massimo di 40-43 milioni di ettolitri.

Le conseguenze di una vendemmia abbondante

Secondo le stime dell’Osservatorio, infatti, una vendemmia da 50 milioni in carenza di domanda determinerebbe un quantitativo in cantina al prossimo ottobre da circa 90 milioni di ettolitri, l’equivalente di quasi due raccolti. Una condizione insostenibile in questo momento storico. Non è, infatti, producendo di più che si guadagna di più. La conseguenza? Un abbassamento del valore, con un prezzo medio della produzione in ribasso in doppia cifra. Circa mezzo miliardo di euro di saldo negativo tra 2025 e 2024.

L’esempio viene da due vendemmie abbondanti dell’ultimo decennio: la 2023 e la 2018 che, con quantitativi sopra i 50 milioni di ettolitri, hanno immediatamente visto una riduzione dei prezzi. Si aggiunga che questa non è di certo una fase espansiva per il vino tra dazi Usa, crollo dei consumi nel mondo ed export in calo.

Il problema ovviamente parte dalle alte giacenze in cantina, conseguenza, a loro volta, del calo della domanda a livello mondiale. Secondo il report dell’Osservatorio, alla luce degli andamenti negativi in termini di consumo il fabbisogno mensile delle cantine italiane è andato progressivamente riducendosi: da una media vicina ai 4 milioni di ettolitri mantenuta fino a dicembre, grazie soprattutto alle anticipazioni di prodotto richieste dagli importatori americani, si è passati a 2,5-3 milioni da gennaio. Ma con il mercato a stelle e strisce in standby e gli altri in affanno, bisogna trovare delle soluzioni a monte. «I problemi c’erano anche prima – è il commento del presidente Uiv Lamberto Frescobaldi (appena riconfermato alla guida dell’associazione) – ma siamo stati ‘salvati’ da due vendemmie eccezionalmente contenute rispetto alle medie; ora serve un bagno di umiltà, produrre 7-8 milioni di ettolitri in meno per mantenere il timone di uno degli asset italiani più remunerativi della nostra bilancia commerciale».

Lollobrigida contro l’allarmismo

Una lettura che, però, non piace molto al ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida che, intervenendo all’Assemblea Uiv prova a rilanciare con gli ultimi record export (quelli dello scorso anno): «Mi permetto di dire che il depressionismo non avvantaggia nessuno. Ragionare sulla base dei dati è necessario, ma devono essere letti, a mio avviso, con contezza. È innegabile che il vino lo scorso anno abbia toccato il suo record, così come è  innegabile che il vino traina l’economia dell’Italia. I dati Ismea, è vero, parlano di una riduzione congiunturale ma con una tendenziale crescita anche sul mercato statunitense che arriva fino al 13%. E io lo giudico un dato positivo per evitare che ci si deprima. Le cose non stanno andando male. L’ allarmismo costante e continuo credo sia il primo nemico delle imprese. Ci sono criticità che dobbiamo affrontare e risolvere, ma il crollo dei consumi nel mercato Usa non credo che sia legato ai dazi in assoluto (qui Lollobrigida spiega le ragioni di Trump). La diminuzione è dovuta ala criminalizzazione del prodotto ed è questo il nemico che dobbiamo affrontare».

Tempo di scelte importanti

«Anche nei momenti difficili ci sono sempre opportunità da cogliere – è la risposta di Frescobaldi – ed è quello che ci  dicono le analisi di Mediobanca e dell’Osservatorio Uiv. Se ci si organizza si può ancora crescere, ma bisogna avere il cruscotto come in macchina per capire se c’è abbastanza carburante, se c’è l’acqua e se la temperatura è quella giusta. L’importante è sapere le cose, avere i dati, che poi ognuno analizzerà come crede meglio. Ma questo è il momento di fare scelte importanti e avere il coraggio di cambiare». Ma come?

 

Le modifiche richieste al Testo Unico del vino

Uiv indica la strada in un piano di revisione del Testo unico del vino, in coerenza con l’attuale situazione di mercato. «L’obiettivo – spiega Frescobaldi – è attualizzare la legge e i suoi decreti attuativi entro il 2026, a 10 anni dalla sua entrata in vigore». Dove intervenire? In primis, nella sfera della gestione domanda offerta della filiera. A partire dall’abbassamento rese delle uve per ettaro anche con la fine delle deroghe per i vini generici, l’allineamento delle rese dei disciplinari con quelle reali sulla media degli ultimi 5 anni, non più di 30 tonnellate per ettaro, con una contestuale revisione del meccanismo che consente gli esuberi per le Dop (riduzione o eliminazione del 20%), la revisione dei meccanismi di riclassificazione, l’aggiornamento delle tempistiche di adozione degli strumenti di gestione delle produzioni (a dicembre  e non più a gennaio), lo stop alle nuove autorizzazioni all’impianto per un anno.

Italia unico Paese in cui continua a crescere il vigneto

Sulle autorizzazioni Uiv sottolinea un’anomalia: l’Italia è l’unico Paese produttore che dal 2016 (anno di introduzione del sistema delle autorizzazioni) non ha mai smesso di crescere in termini di superfici vitate, vedendo così aumentare il proprio potenziale.  Una scelta che stride con la linea tenuta dai competitor che, nello stesso periodo, hanno visto decrescere in maniera regolare il vigneto. «Tutti gli altri paesi riducono il potenziale tranne l’Italia. Siamo più furbi noi o forse stiamo sbagliano di calcoli?», si chiede il responsabile dell’Osservatorio Carlo Flamini.

Oggi in Italia il totale destinato al vigneto è sopra i 680mila ettari ma, come sottolinealo stesso Flamini, «di questo potenziale, sono ignoti alcuni parametri vitali per prendere decisioni coerenti ed efficaci in termini di gestione: il reale quantitativo di vigneto in produzione, l’ammontare annuo degli espianti definitivi, l’ammontare degli espianti con successivo reimpianto, l’ammontare degli ettari autorizzati e non ancora piantati».
Da qui la richiesta avanzata da Unione Italiana Vini di sospendere per un anno l’erogazione dell’1% di autorizzazioni a nuovi impianti per fermarsi a raccogliere tutte le informazioni a disposizione sulla situazione reale del potenziale, in modo da poter operare le scelte strategiche più corrette per i prossimi anni.

Accorpare le troppe denominazioni

Inoltre, per Uiv è anche necessario riorganizzare il sistema delle denominazioni, in linea con quanto proposta da Valoritalia. Le prime 20 Dop, infatti, rappresentano l’80% del volume del vino italiano: un numero sproporzionato. «Occorre risolvere l’anomalia mediante un sistema di accorpamento e riorganizzazione territoriale per singola regione – è la proposta del segretario generale Paolo Castelletti –Un processo che dovrebbe certamente essere sviluppato dai singoli territori, ma che a nostro avviso potrebbe essere incoraggiato e coordinato a livello nazionale dal Comitato nazionale vini le cui competenze, fissate per legge, andrebbero attualizzate nello stesso Testo Unico».

In che fascia di prezzo finisce il vino italiano

Ma non finisce qua. Accanto al problema quantitativo, non è da sottovalutare il fattore qualità. Non è vero che il vino italiano è per lo più premium. Ce lo dicono i dati dell’Osservatorio: nell’ultima vendemmia, la 2024, la produzione è stata suddivisa tra 7,5 milioni di ettolitri di spumante e 21,5 di vini fermi e frizzanti. Tolto lo spumante che ha una perfetta corrispondenza tra quantità prodotte e consumate, il problema è che dei 21,5 milioni di ettolitri prodotti, il 35%, ovvero 7-8 milioni di ettolitri, dimora nella fascia “low price”, sotto i 4 euro alla bottiglia a scaffale. Una fascia che fa sempre più fatica a trovare corretta collocazione sul mercato.

Basta ai vini a bassa remunerazione

Secondo le elaborazioni Osservatorio Uiv su dati Iwsr, nel 2029 i consumi globali di vino italiano low price scenderanno per la prima volta sotto quota 110 milioni di casse, contro i 150 del 2020 e i 170 del 2009. Un declino per certi versi ormai inesorabile. Di contro, i vini premium e icon sono previsti salire a una share del 20%, 7 punti in più rispetto al 2015. Vini – quelli di fascia alta e altissima – che ancora sono una piccola fetta del totale italiano: solo il 16%.

«Continuare pervicacemente a produrre vini di bassa remunerazione – è la conclusione del responsabile dell’Osservatorio Carlo Flamini – non solo pone problemi di tenuta delle aziende, esposte a concorrenza fortissima da parte di competitors più strutturati (esempio i vini californiani o quelli tedeschi), ma anche di pressione negativa sulle pulsioni “premiumizzanti” del resto della produzione italiana, la quale necessiterebbe di salire di livello a scaffale ma che vede questo sforzo vanificato in larga parte dalla zavorra dell’iperproduzione di basso valore. Il mondo sta dicendo, datemi un po’ meno vino, ma datemelo premium».

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