Lunga vita al girarrosto

Era la meta più golosa del dopo-scuola: si correva – dopo aver messo da parte qualche centinaio di lire nei giorni precedenti, limati dalla paghetta settimanale – a comprare un cartoccio di patate arrosto al Pollo d’Oro, mitica rosticceria di provincia dove il pollo era per i grandi, per le famiglia – pasto borghese per eccellenza – mentre la cosa davvero golosa, un vero miraggio per noi poveri studenti senza una lira in tasca, erano le patate. Tagliate a spicchi grossi e cotte per ore nel grasso del pollo, in una grossa teglia sistemata sotto al girarrosto. Una goduria. Altro che gelato! Sì, perché quella istituzione cittadina poi è diventata una gelateria. E poi – oggi – una insegna di cucina d’autore (nei vecchi locali c’è oggi Schenardino, appena inaugurato, con la cucina di Danilo Ciavattini). Il ricordo è uno dei più nitidi che filtra dall’adolescenza viterbese. Ma era a pochi chilometri di distanza – nella Capitale – che il “fenomeno” dei girarrosto era esploso da qualche anno, dai mitici anni ’60, quelli della Dolce Vita, gli anni ruggenti dove il cinema era l’anima dannata della città e dove i rotocalchi e i paparazzi ne raccontavano stravaganze ed eccessi.

Spiedo a Centocelle. In apertura Brigitte Bardot in una foto di scena da La Bride sur le cou di Vadim del 1961

L’età d’oro dei girarrosto

Si contano sulle dita di una mano, oggi, le rosticcerie dove mangiare un bel pollo arrosto. Ma in quegli anni le rosticcerie, i girarrosto, erano a ogni angolo in ogni quartiere. Erano le rosticcerie a proporre spesso anche la pizza al taglio. Oggi è spesso il contrario: ci sono quasi solo pizzerie al taglio che a volte hanno anche polli arrosto. Oggi il mito facile del girarrosto – con la sua apparenza quasi selvaggia nel modo di mangiare e di cuocere, a fuoco vivo e con le mani che stimolava le fantasie dell’immaginario collettivo negli anni in cui Cinecittà era la “Hollywood de noialtri” – si è diluito in tante offerte e proposte differenziate che vanno dalle teche anonime dei supermercati (con i polletti stitici in vendita nei contenitori di alluminio) all’offerta “differenziata” dei kebabbari o delle pizzerie da asporto che rispetto al cibo principale propongono i polli arrosto pronti come seconda scelta veloce.

Patate nel grasso: oggi sarebbero un “reato”

Oggi che quelle succulente patate sfrigolanti nel grasso di pollo (uno dei migliori in cucina, secondo il vecchio buon Artusi con cui era d’accordo anche il maestro Gualtiero Marchesi) sarebbero un evidente corpo di reato e basterebbero per mandare alla sbarra qualsiasi rosticcere anche se solo pensasse di proporle, il girarrosto è rimasto nell’immaginario goloso di questo Paese, ma – giusto per fare due esempi – nella cittadina dove sorgeva l’antico Pollo d’Oro oggi c’è il girarrosto a infrarossi dei Polletti di San Bartolomeo (che propone i propri volatili di altissima qualità e allevati liberi, protagonisti anche della stessa insegna a Milano e in un paio di punti vendita romani) mentre a nella Capitale i due grandi tempi della rosticceria che non a caso erano nati intorno a Via Veneto – la strada della Dolce Vita – sono diventati dei veri e propri ristoranti (come l’antico Girarrosto Fiorentino, nato negli anni ’60) che hanno anche il girarrosto (a infrarossi) come ricordo di un’epoca che non esiste più e il “parente” a pochi passi, il Girarrosto Toscano.

Lo spiedo moderno di Gabrini, “antica nuova” gastronomia in Cola di Rienzo a Roma

 L’arte nobile della rosticceria

 La tradizione del girarrosto e dell’arte della rosticceria hanno avuto notevole importanza e fortuna nella patria della cucina moderna occidentale – ovvero in Francia – e nella regione italiana più avanzata sul fronte gastronomico, ovvero la Toscana. Chissà se sia stato solo un caso che negli ultimi anni di attività al Gambero Rosso (ispirato al nome della trattoria dove nella storia di Collodi il Gatto e la Volpe portano Pinocchio: tipica osteria di passaggio dove spiedo e girarrosto dominavano la sala) il fondatore della “nostra” casa editrice – Stefano Bonilli – diede al suo ultimo blog il nome di Papero Giallo, insegna storica di rosticceria a Roma. Quel girarrosto non c’è più, da anni. Ma fa ben sperare che da Napoli sia approdato a Roma – in quel di Centocelle – un vero girarrosto a fiamma viva dove – Udite! Udite!! – sembra che cuociano le patate arrosto sotto al pollo con il grasso che cola e le condisce e le rosola per benino. Un posto che si chiama Lo Spiedo e che dalla casa madre partenopea alle spalle di Napoli Centrale ha aperto un alter ego in via del Castani. Già, perché Napoli è un’altra delle città dove lo spiedo ha una storia.

Spiedo: strumento di cottura ancora autentico

La tradizione del girarrosto è diffusa in tutta Italia, anche se sono ormai davvero pochi i posti dove trovarne di buoni.  Lo spiedo – cugino del girarrosto – è uno dei miti gastronomici del Nord: da quello bresciano a quello trevigiano, tradizionalmente a base di uccellini e carni varie. Ma il girarrosto si è allargato anche in Emilia, tanto che proprio a Bologna è sopravvissuto uno dei pochissimi “Pollo d’Oro” rimasti in vita. Mentre a Milano rimane come un faro nella nebbia il pollo allo spiedo di Giannasi in piazza Bruno Buozzi. Tornando a Roma, oltre al Girarrosto Fiorentino – diventato ristorante con spiedo – ha preso in carico la cultura della rosticceria di qualità anche l’insegna pariolina Molto Ristorante che propone polli neri di Borgogna: locale molto stylish nato – guarda caso – da una visita all’Atelier Robuchon di Parigi che col suo spiedo rendeva omaggio alla nobile rotisserie d’Oltralpe. Parliamo però di un ristorante che ha atmosfere da elegante club inglese. Nella patria, anzi nella città capoluogo, della tradizione del girarrosto toscano, sopravvive la Rosticceria Alfio e Beppe, in via Cavour: un posto abbastanza “vero” consigliato dagli stessi fiorentini ai fiorentini come ottima alternativa alla turistizzazione della città. Chissà, magari potrà essere in Girarrosto una delle bandiere contro la dittatura dell’overtourism?