Intervista

Ecco cosa si mangia nella nuova osteria aperta da Diego Rossi di Trippa

Dopo Trippa e Concorrenza, apre in via Bixio Nino che unisce cucina pop, vini di territorio e accoglienza democratica. Marco Marini: “Un posto dove il cibo è un atto politico”

  • 04 Agosto, 2025

Arriva in estate l’apertura che fa più rumore a Milano. Perché dietro c’è Diego Rossi, che dopo la mitica Trippa, che di recente ha compiuto dieci anni, e l’Osteria alla Concorrenza in via Melzo, fa il tris con Nino, in via Bixio 47 (ne abbiamo parlato qui). I soci sono quelli della Concorrenza, l’oste Enricomaria Porta e il bartender Josef Khattabi. In cucina ci sarà Marco Marini, ex chef del Camparino in Galleria. A lui chiediamo com’è il nuovo locale.

Marco Marini, che cos’è Nino?

Nino è un’osteria con cucina. Un bancone lungo ti accoglie sulla sinistra dove le persone potranno stare in piedi a bere o mangiare anche al banco. Poi il bancone prosegue dove ci sono cinque sedute sugli sgabelli che danno davanti alla cucina dove si può sia mangiare che bere appunto. Sulla destra ci saranno sei tavoli bassi e poi sei tavoli alti dove si può avere la stessa libertà.

Non c’è niente di più abusato nella ristorazione della parola osteria. Lei come la intende?

La parola osteria arriva proprio dalla nostra volontà di dare a tutti la libertà di scegliere se mangiare e quanto mangiare o se bere e quanto e cosa bere.

Com’è composto il menu?

Sarà formato da una parte di piatti più piccoli che possono essere ordinati come aperitivo, come antipasto o come contorno, ognuno faccia ciò che vuole. Quattro piatti più “sostanziosi”, due primi (una pasta di grano duro, Mancini e una pasta fresca all’uovo) e due secondi (inizierò con un carne e un pesce ma ci saranno anche fuori carta in base alla disponibilità). I dolci saranno in genere torte esposte al taglio e, vista la stagione, avrò delle pesche cotte al vino.

E il bere?

Ce n’è per tutti i gusti. Avremmo la Tipopils alla spina di Birrificio Italiano, tre cocktail alla spina fatti da noi (Americano, Negroni e il lavorato) e la carta vini che è quella che abbiamo in condivisione con l’osteria. L’obbiettivo sarà andare verso un’offerta più italiana di etichette dato che l’osteria alla Concorrenza invece è molto affezionata alla Francia.

Insomma, un posto democratico…

L’idea di base è un posto dove la gente possa passare velocemente per un “gotto”, oppure rilassarsi per una bella cena con la libertà di poter scegliere tra più cose da assaggiare. In un ambiente caldo, piacevole e accogliente.

Quando siete aperti?

Dal lunedì al venerdì dalle 18,30 alle 24 (ultima chiamata della cucina alle 22.45), il sabato con orario continuato dalle 12,30 alle 24 continuato.

Nel locale c’è lo zampino di Diego Rossi. Qual è il suo ruolo?

Il ruolo di Diego è quello di socio dal punto di vista dell’azienda mentre, nei miei confronti, Diego è prima di tutto un amico. Abbiamo tanti punti di vista ed esperienze in comune. Abbiamo radici molti simili sia come territorialità, siamo entrambi veronesi, sia come filosofia e approccio alla cucina (ma anche alla vita spesso). Quindi Diego mi aiuta con il confronto, lo scambio e la condivisione della passione. E’ una grande persona.

Lei da dove arriva?

Ho fatto la scuola alberghiera, poi ho preso una laurea in Scienze e tecnologia alimentari. Dai 16 anni ho fatto tante stagioni e week end nelle cucine. Poi dopo l’università ho deciso di fare definitivamente il cuoco quindi: dapprima all’hotel Bauer a Venezia, con chef Giovanni Ciresa, dove ho capito che in cucina si poteva studiare e mi si è aperto un mondo. E durante il Bauer ho scoperto la filosofia di Davide Oldani.

E?

Lui era ancora nel vecchio D’O e faceva quella che, per me, era veramente la cucina POP. Gli ho rotto tanto per cui mi ha preso a lavorare con lui. Ci ho lavorato quattro anni (due nel vecchio e due nel nuovo. Poi la vita mi ha chiamato a Dusseldorf.

La vita professionale o quella personale?

No, quella personale. Però lì ho lavorato un anno da Nagaya, un giapponese una stella Michelin. E poi ho fatto un esperienza da Arzak e da De Librije che mi hanno insegnato tanto.

Non aveva voglia di fare qualcosa di suo?

Certo, ma mi mancava la parte gestionale da imparare. Sono tornato quindi sotto l’ala dello chef Oldani che mi ha proposto di gestire la cucina del Camparino in galleria quando la Campari l’ha chiamato come consulente. Grande esperienza, 17 ragazzi da gestire e una bella responsabilità sulle spalle. Fatto tesoro di ciò, ho capito comunque che non era il mio mondo. La mia idea di cucina è molto distante da quell’ambiente.

E allora?

Allora mi sono staccato e ho deciso di aprire a Verona. Ma prima volevo capirne un po’ di vino, così chiudevo un po’ il cerchio. Quindi chiesi a Diego se potevo dargli una mano con la nuova apertura dell’osteria alla Concorrenza. Inizio così quasi per scherzo.

Ma come Verona…

Sì, ma la vita poi cambia, non ho più aperto a Verona e sono rimasto a Milano fino a che Diego, Enricomaria e Joseph mi hanno proposto di gestire Nino. Ho accettato perché ho la grande fortuna qua di essere libero. Di poter utilizzare i produttori che mi piacciono e in cui credo e di poter dare la mia idea di accoglienza alla gente che verrà.

E qual è questa idea?

Per me fondamentalmente è che la gente si senta bene. Appagata sia nello stomaco che nel senso di benessere dato da una buona accoglienza. Poi, dietro a tutto questo, c’è sempre la frase che mi illumina la mente, quella di Carlo Petrini: ll cibo? Locale, circolare e senza sprechi. Perché mangiare (e bere aggiungerei io) è un atto politico.

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