Quindici anni gomito a gomito. Così hanno lavorato Matteo Zappile e Anthony Genovese, maître e sommelier di lungo corso, chef di altissimo livello conosciuto in tutta Italia. Insieme erano i volti del Pagliaccio, ristorante insignito di Tre Forchette del Gambero Rosso e due stelle Michelin. Il secondo rimane al suo posto, mentre il primo ha deciso di cambiare direzione. E così dopo un quasi due decenni di intensa collaborazione, Zappile se ne va da via dei Banchi Vecchi per cimentarsi in un progetto diverso, all’interno dell’alta hotellerie, diventando operation manager di un nuovo albergo di lusso nell’ex sede del PCI a Via delle Botteghe Oscure a Roma. Il primo del gruppo Thompson Hotels by Hyatt in Italia che aprirà – racconta lo stesso Zappile al Gambero Rosso – a dicembre 2025.
Insieme a lui Arturo Reguero Gomez, general manager, Fabio Fioravanti, executive chef che curerà tutta l’offerta della cucina, e Mario Farulla, bartender manager.
Zappile, quindici anni sono tanti. Un momento che ricorda più di tutti al Pagliaccio.
Sicuramente uno dei momenti più belli è stato quando lo chef Genovese mi ha fatto una domanda… semplice ma con un grandissimo peso emotivo. “Matteo hai un completo nuovo?” Ed io… “Sì, chef, perché?”. “Tra un mese diventi il direttore del Pagliaccio!”. Adrenalina, paura eccitazione, tutto insieme, il primo mese non ho dormito dal peso della responsabilità, poi ho puntato l’obiettivo.
E?
E non mi sono più fermato. Il culmine è arrivato con la telefonata di Lovrinovich (direttore della Guida Michelin Italia, ndr) che mi annunciava il premio come miglior servizio di sala per la Michelin.
Ci racconta il nuovo progetto?
Ambizioso. Parliamo di un grande albergo, dove ci saranno diversi spazi dedicati alla ristorazione. Un lobby bar, un ristorante più formale al sesto piano (65 coperti), e un secondo ristorante al settimo, dove ci sarà anche una grande terrazza da dove si vedrà Roma, con un centinaio di coperti.
Qual sarà la proposta?
La stiamo costruendo. Ma sicuramente il ristorante del sesto piano, che avrà anche uno spazio esterno, avrà una cucina più contemporanea. Mentre l’altro avrà una proposta più casual, legata a piatti crudi, un angolo di cucina internazionale e un focus sugli eventi. In questo locale cercheremo di sviluppare la parte glamour.
Qual è lo stile dell’albergo?
Molto contemporaneo, 69 camere, è un lifestyle hotel. Non ci sarà il desk, ovvero la reception tradizionale, gli ospiti una volta arrivati verranno accolti nella library. Sarà dinamico.
La lezione più importante che porta con sé?
Nella vita, se vuoi puoi! Abbiamo raggiunto con lo chef ogni traguardo, con la consapevolezza del grande lavoro che stavamo facendo. Ore e ore a creare menu e stili nuovi di servizio, standard e linee guida cercando di rinnovarci, idea dopo idea.
Cosa le mancherà di più del Pagliaccio?
La libertà massima di espressione, la creatività di Anthony Genovese che ogni tre mesi mi spingeva a fare sempre meglio, la curiosità di Luca Belleggia per il mondo delle bevande e l’attenzione ai dettagli sul servizio di Veronica Loachamin. Mancherà il senso di famiglia, le feste come se fossimo a casa e il sentirsi capiti anche e soprattutto nei giorni no.
Come è cambiata la ristorazione fine dining in questi 15 anni? E come sono cambiati i clienti?
È totalmente cambiata negli ultimi 15 anni, specie dopo il Covid, abbiamo assistito all’arrivo di clienti più informati, con più cultura e più attenti alla cucina e al mondo del vino. I cambiamenti però ci son stati anche in negativo, oggi il servizio di sala è sempre sotto giudizio, quindi la formazione sempre più importante. Con Anthony abbiamo creato nel tempo delle vere e proprie “esperienze” fino a modificare la prenotazione attraverso il sito, perché al Pagliaccio non si prenota un tavolo, ma appunto un’esperienza.
Ce lo racconta un aneddoto accaduto durante il servizio?
Beh, quello della carrozza bianca con quattro cavalli parcheggiata all’angolo di via delle Carceri, attendeva degli sposi che non sono mai arrivati. Una proposta di matrimonio dove lui ha sbagliato tutto, dal giorno, al timing e forse anche all’anello. Risultato? Uno schiaffo e tanta amarezza.
E la parte divertente?
Il cocchiere che in romanesco chiedeva con insistenza: “Oo ma ‘ndo stanno questi?”.
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