C’è un sapere che non si lascia afferrare dalle parole, un sapere che si deposita nei gesti, nelle inflessioni della voce, nella consistenza del paesaggio. Un sapere che si respira camminando tra i filari, dove la vigna non è solo coltura ma cultura, biografia collettiva, scultura vegetale del tempo. È questo sapere inafferrabile, stratificato e fragile, che i quattro documentari prodotti dal progetto Emplacing Food cercano di restituire, scegliendo la lingua delle immagini, del suono, della durata. Perché il vino, prima ancora di essere prodotto, è racconto; e come ogni racconto, ha bisogno di forma.
Emplacing Food – Narratives, Policies and Spaces in Italy è un progetto di ricerca nazionale finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca nell’ambito dei PRIN 2020. Coordinato dall’Università di Torino e sviluppato in collaborazione con le Università di Milano-Bicocca, Pisa, Catania e del Salento, il progetto indaga le trasformazioni dei sistemi alimentari contemporanei, osservando come il cibo – e tutto ciò che vi ruota attorno – contribuisca a disegnare, modificare e raccontare i territori. Le sue linee di ricerca spaziano dalla governance locale alle narrazioni culturali, dalla giustizia alimentare alla sostenibilità ambientale. Ma Emplacing Food è anche un laboratorio di linguaggi: accanto alla riflessione scientifica, sperimenta forme di racconto capaci di restituire la complessità del reale. È da questo approccio che nascono i documentari dedicati al vino.
I film – girati tra Valdobbiadene, le Cinque Terre, il Monferrato e l’isola di Capraia – non sono semplici reportage, ma dispositivi di conoscenza. Non illustrano una tesi, non promuovono un brand, non si inchinano alle retoriche consunte del “territorio d’eccellenza”. Al contrario, esplorano il vino come fenomeno complesso, radicato e mobile, sospeso tra tradizione e innovazione, tra identità e mercato. Raccontano le persone che il vino lo fanno, lo pensano, lo vivono. E soprattutto raccontano i luoghi, che non sono mai fondali ma protagonisti: colline moreniche, costoni di pietra che precipitano sul mare, isole battute dal vento, terre antiche dove ogni vite sembra aver ascoltato il tempo più degli uomini.
Ogni documentario è un frammento di geografia visiva, un piccolo atlante sensibile in cui il paesaggio si intreccia con le parole dei vignaioli, degli enologi, dei ricercatori, dei custodi locali. C’è la fatica delle vigne verticali delle Cinque Terre, strappate al crollo grazie alla caparbietà di poche famiglie; la fragilità ambientale di Capraia, dove il vino torna dopo decenni di abbandono; la tensione costante tra industrializzazione e biodiversità nel Monferrato; il paesaggio produttivo di Valdobbiadene, diviso tra bellezza e pressioni speculative. In ognuno di questi luoghi il vino diventa chiave di lettura, lente critica e insieme patrimonio vivo.
Nel loro insieme, questi quattro documentari costruiscono un discorso corale che si oppone alla semplificazione. Lungi dal proporre una visione oleografica, portano in primo piano le tensioni che attraversano il mondo del vino: l’equilibrio precario tra autenticità e mercato, il conflitto tra sostenibilità e produzione intensiva, la sfida della trasmissione culturale in un tempo che consuma in fretta. Ma lo fanno con una delicatezza che appartiene più alla letteratura che alla sociologia: lasciando parlare i luoghi, sostando nei silenzi, rinunciando alla voce fuori campo per ascoltare quelle che il territorio offre.
In questo senso, Emplacing Food realizza qualcosa di raro: usa il linguaggio del documentario non come accessorio divulgativo, ma come parte integrante della ricerca. Non a caso, la scelta del medium visivo si inserisce nel cuore teorico del progetto, che riflette sul “radicamento” del cibo nei territori – quel emplacement che è al tempo stesso condizione materiale e costruzione simbolica. Il vino, più di altri prodotti, porta con sé questa doppia natura: è terra e mito, economia e rito. È insieme radice e narrazione.
Guardando questi documentari, si ha la sensazione di entrare in una soglia. Il confine tra scienza e racconto si fa poroso, tra analisi e ascolto si apre uno spazio terzo, in cui il sapere non è trasmesso ma condiviso. Come in certi racconti mitteleuropei, dove il dettaglio rivela il destino e l’aneddoto si fa parabola, qui una potatura, una vendemmia, una riflessione su una vite antica diventano momenti di rivelazione.
Non si esce da questi film con risposte nette. Si esce con domande più precise, con un senso di responsabilità più acuto verso ciò che mangiamo, beviamo, coltiviamo. E con la consapevolezza che ogni bottiglia non è solo il risultato di un processo produttivo, ma il condensato di una geografia culturale, il riflesso liquido di una visione del mondo. Forse, in tempi come questi, raccontare il vino in questo modo – con onestà, ascolto e profondità – è un atto politico. Ma è anche, più semplicemente, un modo per tornare a vedere. Per rimettere in relazione ciò che spesso abbiamo separato: la bellezza e la fatica, la natura e la tecnica, il sapere e il sapore. E per ricordare, come scriveva Elias Canetti, che “niente è più difficile che vedere ciò che si ha sotto gli occhi”.
I documentari sono disponibili gratuitamente su YouTube, nel canale ufficiale del progetto: youtube.com/@EmplacingFood.
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