Sulla cima

Il birrificio alpino più alto d'Europa si trova in Italia (e produce birre uniche)

Sulla cima delle dolomiti altoatesine, nasce un microbirrificio artigianale che produce birre di ottima qualità, servite solo nell'adiacente Rifugio Lavarella

  • 29 Luglio, 2025

Niente bottiglie, niente distribuzione e zero vendite online. Per assaggiare Ga.Beer, bisogna salire fino al Rifugio Lavarella, nel cuore delle Dolomiti, a oltre duemila metri di altitudine sull’altopiano di Fanes, in Alto Adige. È qui che Gábor Sogorka, cuoco del rifugio e oggi anche birraio, ha dato vita a un piccolo birrificio alpino, il più alto d’Europa, dove la birra artigianale è prodotta con l’acqua di sorgente che arriva direttamente dalla montagna.

La storia del microbirrificio

«Mio marito ha sempre avuto interesse per tutto ciò che è fatto in casa», racconta Anna Frenner, moglie di Gábor, la cui famiglia gestisce il rifugio dal 1912. «Dopo aver frequentato un corso da sommelier della birra, ha iniziato a produrne per la nostra famiglia, riscuotendo un gran successo. Così ha pensato che potesse avere senso farne un po’ di più». La svolta è arrivata nel 2018: un inverno particolarmente rigido ha costretto la famiglia a sostituire le vecchie tubature che portano l’acqua dalla sorgente al rifugio e le analisi effettuate hanno rivelato una qualità perfetta per la produzione brassicola. È stato il segnale giusto per fare il salto: una volta acquistato un impianto semi-professionale, insieme al suocero, Gábor inizia a progettare il microbirrificio.

La logistica

Lo spazio è minimo – appena 25 metri quadrati in cantina – e la logistica tutt’altro che semplice. Il rifugio non è raggiungibile in auto, quindi tutto l’impianto, dai tini ai fermentatori, viene trasportato in elicottero e assemblato in loco mentre gli ingredienti vengono ordinati in grandi quantità e accumulati prima dell’inizio della stagione. Nonostante le difficoltà, a gennaio 2019 viene spillata la prima birra e nel 2022 arriva un impianto da 500 litri a cotta, che permette di aumentare la capacità produttiva a qualche decina di ettolitri l’anno. Ora la produzione segue i ritmi delle stagioni: si intensifica nelle settimane che precedono l’alta stagione per fare scorta e continua su base settimanale durante l’estate per non rimanere mai senza birra.

La produzione

Il nome Ga.Beer è un gioco di parole tra “Gábor” e “beer”. Fin dall’inizio la scelta è stata netta: niente imbottigliamento, niente distribuzione. Solo birra alla spina, collegata direttamente ai fusti, e servita al rifugio. «Per berla bisogna arrivare fin qui», dicono. «E ne vale la pena».

Oggi le birre prodotte sono quattro: tre fisse – una chiara non filtrata in stile helles/pils, una scura tipo dunkel e una weizen di frumento – più una India Pale Ale stagionale, più amara e profumata, fatta con il luppolo coltivato dalla stessa famiglia Sogorka. Gli altri ingredienti seguono una filiera tracciabile: malto e orzo dalla Germania, lievito e luppolo (escluso quello della IPA) italiani. Il tutto nel rispetto del Reinheitsgebot, la legge tedesca della purezza, che consente l’uso solo di acqua, malto, luppolo e lievito. L’acqua, però, è l’ingrediente che fa la differenza. È la stessa che alimenta la centralina idroelettrica del rifugio e che rende l’intero processo produttivo autonomo e sostenibile. Una birra fatta in alta quota, con risorse locali e energia pulita.

Certo, non mancano le difficoltà tecniche. A 2.000 metri l’acqua bolle a una temperatura più bassa rispetto al livello del mare, e serve tempo per calibrare le procedure. Ma tra prove, errori e aggiustamenti, oggi la Ga.Beer ha trovato il suo equilibrio: una piccola produzione con un’identità chiara, strettamente legata al territorio e al contesto in cui nasce. Per gustarla bisogna salire. Ma chi lo fa, difficilmente se ne dimentica.

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