Albania on the road è stato il sogno di un’estate di qualche anno fa, un pre Covid che ora pare l’anteguerra. La partenza da Tirana su uno scassatissimo pulmino che faceva tanto Marrakech Express, e poi l’auto noleggiata a Vlorë fingendo di non notare quanto le procedure fossero facili, sapendo che per seguire il profilo di quella costa bellissima serviva mettersi in macchina e partire, lungo la strada che portava fino a Sarandë, per poi continuare ancora passando per Borsh con il suo caffè incastrato sotto le cascate, e spingersi a toccare il finisterra albanese, dove già i telefoni ti parlano i greco: Corfù è a poche miglia e qualcuno racconta come da ragazzo la raggiungesse a nuoto.
Corfù vista dalla costa albanese
Le indicazioni non davano possibilità di errore: fate la SH-8, una strada panoramicissima, saliscendi tortuoso che lascia ammirare dall’alto l’azzurro del mare e il bianco delle spiagge e consente tante deviazioni per chi cerca centri storici e siti archeologici da visitare.
Questa però è un’altra storia: racconta di come, a un certo punto, uscendo da Vlorë la strada si inerpichi e il paesaggio inizi a cambiare. La vegetazione si infittisce e gli alberi si allungano in fusti sottili: è il parco nazionale di Llogara, oltre 10 km quadrati di pini e abeti, come il famoso Pisha Flamur, pino bandiera piegato dai venti. Tanto basti per regolare il termostato interiore e dirigersi in cerca ristoro dal grande caldo della riviera. Il punto più alto del parco è Cika, oltre 2mila metri, ma il passo si ferma circa a metà in un incredibile paesaggio montano giusto sopra il mare, ideale per i parapendio.
Vista da Llogara
Lungo la strada silenziosa che ancora sale si incontrano piccoli hotel e ristoranti rustici, dove fermarsi per la tipica colazione a base di yogurt miele e noci, ma la destinazione è decisa: Sofo. Anche se il fondatore ormai non c’è più la struttura è un punto di riferimento ancora valido, hotel come se ne vedono in montagna, con i lunghi balconi in legno e i tavoli tutti intorno, l’atmosfera vivace e gioviale, ospiti che accettano di buon grado di condividere il tavolo, parlando con quell’italiano imparato alla tv, raccontando aneddoti sulla loro esperienza nel nostro paese: è lo spirito dell’Albania, pieno di un’ospitalità spontanea e commovente, che ricorda quello di un’Italia che quasi non c’è più. E come in un’Italia che non c’è quasi più sulle lunghe tavolate tanti piatti da condividere – per esperienza personale anche con un intruso nella comitiva – piatti di formaggi gustosissimi e verdure succulente, preludio della portata regina: il capretto allo spiedo. Cotto lentamente, succoso e straordinariamente buono, un mangiare arcaico, puro e profondo, il sapore di un tempo perso. Mancava solo brodo caldo (che follia!) per vivere dentro La luce dell’est.
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