Con le dovute eccezioni

Decalogo "pulp" per le vacanze, come scegliere il ristorante in villeggiatura e non spendere un patrimonio

Estate vuol dire viaggi, relax... e cibo da fotografare. Ma l’entusiasmo vacanziero ci rende bersagli facili per trappole culinarie e fregature da manuale

Cibo e vacanze. Le due parole chiave delle nostre ferie estive. Non esiste unione più spontanea e indissolubile di questo binomio. Lo testimonia l’urgenza viscerale che ci spinge a pubblicare sui social le cronache gastronomiche dei nostri viaggi. Se dunque decidiamo di muoverci per le vacanze, avremo dei diktat e dei doveri da assolvere sui social e l’inquadratura di un panorama ci sembra incompleta, se in primo piano non ci si mette un calice di vino o un trancio di focaccia stagliati contro il sole come monoliti kubrickiani. 

Ogni mese sul Gambero Rosso in edicola la rubrica di Massimo Valerio Visintin: “Con le dovute eccezioni”

Siamo vittime del cretinismo vacanziero

Inevitabile che questo entusiastico cretinismo vacanziero ci renda vulnerabili, esponendoci agli agguati dei commercianti meno onesti. Bisogna stare attenti, perché sono furbe le forze del male. La prima insidia si manifesta alle stazioni di servizio delle autostrade. La nostra vita quotidiana è distante un paio d’ore soltanto, ma abbiamo già abbassato gli scudi. Fate benzina, bevete in fretta – se proprio dovete – uno di quei caffè che sanno di zoccolo bruciato e ripartite, senza indugio. Non fate scendere i bambini dall’auto nemmeno per fargli fare la pipì, non fermatevi a guardare la vetrinetta dei panini, non ordinate niente. Il rischio è altissimo.

Attenti al budget: dura poco!

Scienziati del marketing neurologico hanno studiato strategie sofisticatissime per plagiare le nostre coscienze. Ci ritroveremo ad aver speso il budget dell’intera villeggiatura per un innocuo gelatino, una focaccetta riscaldata tra le fauci di una piastra bisunta, una noce di prosciutto al pepe che resterà il nostro unico souvenir dell’estate.
Se riusciamo a superare indenni questo scoglio, senza tornare subito al punto di partenza, avremo altre imboscate da evitare. Salvo debite eccezioni, baretti e ristoranti ci aspettano da un anno col pugnale in tasca.

Un decalogo semiserio per la sopravvivenza

Per sopravvivere felici, attenetevi al seguente decalogo.

1. Se il menu in vetrina è un cimitero di moscerini, non aprite quella porta e filate via.
2. Se un primo piatto costa come una cena da Bottura (anzi, come un panino in autostrada), simulate un malore e defilatevi.
3. Se sulla lavagnetta dei “piatti del giorno” c’è la polvere di un mese, fuggite altrove.
4. Se i camerieri scompaiono nel momento del bisogno, telefonate al ristorante: “Mi porta una minerale? Sono al tavolo cinque”.
5. Se il bagno è un cesso (controllatelo subito), evacuate la sala.
6. Se la tassa per il coperto supera i 3 euro, portatevi a casa piatti e posate.
7. Se vi consegnano un “preconto”, rispondete con la fotocopia di una banconota sulla quale avrete scritto “presoldo” e non pagate sinché non sopraggiunga lo scontrino fiscale.
8. Se lo spiegone dei piatti dura più di 20 secondi, simulate un improvviso colpo di sonno.
9. Se è assente lo chef da copertina, decurtate dal conto una quota pari al 33%.
10Se il pane è “lievito madre, fratello sole, lievitazione millenaria, grani primordiali…”, ma fa schifo, non fate niente e rassegnatevi: vacanza o non vacanza, la fuffa è il virus della moderna ristorazione italiana.

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