Al termine del breve sentiero che unisce la lobby del bellissimo hotel Forestis, a 1800 metri sopra Bressanone (BZ), con l’ingresso nel nuovissimo ristorante Yera, ricavato in una grotta nella montagna dove comincia il bosco che avvolge l’esclusivo resort, l’uomo incaricato di accompagnare gli ospiti alla meta si volta verso ciascuno di loro e con fare solenne, enfatizzato da un gesto con la torcia di fuoco, pronuncia queste parole severe: «Qui potete scattare la vostra ultima fotografia, dopodiché dovrete consegnarci i telefonini».
La sosta gastronomica che di lì a poco comincerà avrà tutte le caratteristiche di un’esperienza fuori dal comune ed è assai particolare: della durata di quattro ore, venduta a un prezzo di 650 euro a commensale, non consentirà ai fruitori alcuno scatto fotografico né tantomeno l’ausilio o, meglio, il diversivo di uno smartphone durante la cena. Piuttosto, l’immersione totale in quel mondo popolato da Celti, cui il ristorante rimanda già dal nome, che significa “raccolto” e che riporta alla cucina del bosco, intende stabilire un legame profondo con quell’antica civiltà che queste magiche foreste le abitò tremila anni or sono.
E pazienza se uno degli hotel più instagrammati, grazie al superbo affaccio di ciascuna delle sue 62 suite direttamente sulle Dolomiti del gruppo delle Odle e del Sass de Putia, ha oggi messo al bando gli influencer, che qui non vengono più invitati.
La maturità piena raggiunta da questa struttura consente di delineare una traiettoria del lusso capace di fare la differenza e d’influenzare, forse, anche quel resto del mondo che invece si ostina ancora a orientarsi nella direzione opposta: perché qui, tra i boschi di questo retreat, protagonista assoluta è la Natura e l’individuo è invitato, sì, a sentirsi parte di uno spettacolo rigenerante, ma mai a sovrapporsi mettendo al centro la propria effimera immagine. Non già, dunque, visibilità e upgrade sociale – come le cronache di certo lusso “cafonal” ci consegnano abitualmente – ma piuttosto troveremo un luogo scelto da chi non ha bisogno di mostrarsi. E il neo-nato ristorante Yera, celato com’è nelle oscurità di una grotta, di quest’ambizioso progetto rappresenta il frutto più compiuto.
Nove tavoli per 18 coperti, o meglio, in luogo dei tavoli, dei tronchi di abete (trattato) disposti a cerchio attorno al fuoco dove la legna arde (ma non manca un’importante cappa) e il bagliore dei carboni accesi si riverbera sui cuochi intenti nelle varie preparazioni. La penombra è illuminata da (poche) candele sui tavoli (ma anche da alcuni faretti che punteggiano sapientemente il soffitto della sala circolare).
La mise en place vi gioca un ruolo fondamentale e coinvolge gli artigiani locali: dalle terracotte (di Verena Leitgeb della Val Pusteria) ai cestini preparati in Val Venosta e intrecciati con il legno di salice, alle sculture costituite da radici di larice recuperate dopo la tempesta Vaia, ma anche con quelle coppette di cera d’api servite monouso e preparate da un apicoltore che, una volta utilizzate dopo il drink in abbinamento alla pietanza, le scioglierà e trasformerà in candele. La musica, d’ispirazione celtica, evoca le suggestioni proprie della foresta: sostenuta com’è da percussioni e corni, ma anche dallo scrosciare delle foglie o dal cinguettio degli uccelli.
La cucina, affidata allo chef Roland Lamprecht, 41 anni nativo nella vicina Luson (BZ) è ispirata ed esplora le materie prime dell’ecosistema montano valorizzandole attraverso accostamenti e tecniche sapienti. Si comincia da un consommé di lepre aromatizzato con i funghi, licheni e aghi di abete. Quando è il turno del salmerino alpino questi verrà presentato con una finta pelle di gelatina di fiori di sambuco e accompagnato da una granita al rafano bruciato e succo di acetosella.
Si mangia spesso con le mani (aiutandosi con i rami di legno con cui sono presentate le pietanze) al più con i cucchiai (al bando, invece, forchette e coltelli). Eccellenti i tortelli di patate ripieni di topinambur, tubero che è stato cotto tutta la notte sui carboni morenti così d’acquisire sentori di caramello e affumicatura (l’insieme verrà proposto con una salsa ai crauti fermentati e a del tartufo scorzone di montagna). Il luccioperca, frollato 7 giorni, viene cotto in quel caratteristico imbuto di ferro che è il flambadou e viene accompagnato da del kimchi alpino.
Un capitolo a parte lo merita il piatto principale dedicato all’agnello, che verrà probabilmente sostituito da un piatto di caccia nella stagione autunnale, grazie anche al bravissimo Francesco Polla, sous-chef nonché appassionato cacciatore trentino. L’agnello della Val Pusteria viene servito in tre servizi ed è un eccellente esempio di quello cucina Zero Waste, cioè a zero sprechi, che innerva l’intera proposta. L’agnello viene sezionato e utilizzato in tutte le sue parti.
La pancia, ripiena del collo, del filetto di cuore e del diaframma è accompagnata da una salsa preparata con il whisky altoatesino cui vengono aggiunte le animelle e servita con diverse verdure rare coltivate a Barbiano (BZ) da Harold Gasser. Il Kebab è composto dal posteriore dell’agnello marinato con le ciliegie e da un pancake fatto di grano saraceno fermentato. Infine la pralina di spalla è brasata per 12 ore, poi sfilacciata come un pulled pork quindi viene fritta in tempura, condita con del ketchup di ciliegie e una spuma di midollo di agnello. Indubbiamente IL piatto dell’intero percorso.
L’abbinamento delle bevande, tutte a bassissima o nulla gradazione alcolica, è pensato e preparato dal bravissimo mixologist Hannes Unterberger e queste accompagneranno ciascun piatto (ora con note rinfrescanti e acidule altre volte più dolci): dal sorbetto creato con azoto liquido e a base di sciroppo di pino cembro e una kombucha di camomilla, all’idromele con infuso di erbe di montagna e fieno con una kombucha di abete.
C’è un vino di prugna preparato in casa con un’emulsione di dragoncello e chiarificato con le morchelle, quindi il succo di barbabietola lattofermentata con aceto di lamponi e tisana fredda alle erbe montane. Il gran finale (in abbinamento a una panna cotta aromatizzata al polipodio con rapa rossa e sorbetto di lamponi) è con uno zabaione preparato con sciroppo di lamponi e asperula.
È un’esperienza, questa, molto bella e intensa, ma a tratti spiazzante, tutta giocata sulla concentrazione prolungata nei confronti del cibo che si accompagna anche alla riscoperta di quel piacere della convivialità che tante volte, purtroppo, viene sacrificato sull’altare della dimensione virtuale che inghiotte le nostre vite. Ed è proprio spezzando con radicalità questi rigidi meccanismi (anche mentali) che si gioca la partita di Yera, che è parte della scommessa all’apparenza così altera e controcorrente del Forestis di puntare su un’esperienza di lusso affatto diversa.
La storia unica di quest’hotel affonda, del resto, le radici oltre un secolo fa quando la monarchia asburgica commissionò al famoso architetto Otto Wagner, tra i principali esponenti della Seccessione viennese, il progetto per la costruzione di un sanatorio, individuando il luogo adatto di quella che sarebbe dovuta divenire la Davos mitteleuropea proprio qui, tra i fitti boschi del monte Plose, dove l’acqua sorgiva sgorga a oltre 1800 metri dall’interno delle rocce dolomitiche che ne assicurano la gradevole mineralizzazione. E se l’idea divenne concreta con la realizzazione dell’edificio principale (che oggi rappresenta la parte storica dell’hotel) questi come luogo di cura non venne, però, mai inaugurato a causa dell’inizio della Grande Guerra.
Particolarmente degno di nota, in ogni caso, è come fosse evidente già a quei tempi, e forse ancora ben prima agli antichi Celti, il potenziale curativo di questa zona costantemente soleggiata dove – come spiega Stefan Braito esperto di mindfulness e autore del libro Dolomitenluft (“Aria di Dolomiti”) – «un mix di correnti provenienti da nord e influssi mediterranei s’incanalano tra le rocce dolomitiche creando rapidi flussi d’aria che andranno a mescolarsi ai profumi e alle essenze dei boschi».
Il progetto della famiglia Hinteregger proprietaria del Forestis – e autrice dello spettacolare progetto di valorizzazione con l’edificazione delle recenti tre torri perfettamente mimetizzate tra i boschi – e inaugurato nell’emblematica estate del Covid (cioè nel 2020) oggi può dirsi pienamente compiuto. In questo “hotel-destinazione” eletto a buen retiro da personaggi del calibro di Brad Pitt e di Tim Cook, Ceo di Apple, la solennità della natura tocca veramente l’anima in profondità. E l’assenza voluta di opere d’arte in tutto l’hotel vuole ribadire una volta di più l’intenzione di sottrarre alla natura il minor spazio possibile: così da rigenerare l’uomo suggerendogli una strada da percorrere in tutto diversa rispetto a quella solitamente seguita dal piccolo-grande influencer che opera in ciascuno di noi.
Ristorante YERA, all’interno dell’Hotel Forestis, Plancios (BZ) tel. 0472 521008
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