Quando si parla di cucina marocchina, c’è un oggetto che emerge con la forza di un simbolo: la tajine. Una pentola in terracotta dal coperchio conico, che dà il nome anche alle pietanze che vi si cucinano. Eppure non si tratta solo di un utensile: la tajine è un contenitore di memorie, tradizioni e identità; è un filo rosso che unisce secoli di storia gastronomica e culturale, dal deserto alle città imperiali, dalle famiglie berbere ai ristoranti contemporanei.
Le radici della tajine affondano nella storia dei popoli berberi del Nord Africa. Comunità nomadi e seminomadi, abituate a vivere in condizioni climatiche difficili, avevano bisogno di strumenti di cottura semplici, resistenti e adatti a un fuoco lento, alimentato con legna scarsa o brace. La terracotta, facilmente reperibile e modellabile, divenne così il materiale ideale. Le prime forme di tajine risalgono con buona probabilità a epoche molto antiche, già in età punica e romana, quando nel Maghreb erano diffusi contenitori conici per la cottura lenta. Ma è con l’epoca islamica, a partire dall’VIII-IX secolo, che la tajine inizia a delinearsi come la conosciamo oggi.
Con l’arrivo degli Arabi e le rotte commerciali che dal Medio Oriente portavano spezie, zucchero, frutta secca, la cucina nordafricana si trasformò. La tajine divenne allora il luogo dove ingredienti autoctoni – agnello, verdure, cereali – incontravano nuovi sapori, dando vita a piatti che ancora oggi incarnano la ricchezza della gastronomia marocchina.
La tajine non appartiene a una sola classe sociale o a una fascia della popolazione: è uno strumento universale. Nelle case rurali veniva (e viene ancora) posta direttamente sulle braci, mentre nelle città si arricchiva di decori e smaltature, diventando anche un oggetto di artigianato prezioso.
Attorno a essa, tuttavia, si conserva un rituale immutato: la condivisione. La tajine si serve al centro della tavola, e tutti i commensali vi attingono insieme, accompagnando con il pane marocchino, la khobz, i bocconi di carne e verdure. Non è solo un pasto: è un gesto comunitario, un momento in cui la convivialità si fa concreta. In Marocco, mangiare dalla stessa tajine è un modo di rafforzare legami familiari e sociali, una pratica che riflette valori di unità e ospitalità profondamente radicati nella cultura locale.
Osservandola, la tajine colpisce per il suo coperchio conico o a cupola. Questa caratteristica non è ornamentale, ma funzionale: permette al vapore di circolare e ricadere sugli alimenti, mantenendoli umidi e teneri anche dopo ore di cottura. In questo modo, con poca acqua e pochi grassi, si ottengono piatti succulenti e aromatici.
La base larga accoglie carne, pesce o verdure, mentre le spezie – cumino, zenzero, cannella, coriandolo – creano una sinfonia di profumi che impregnano lentamente gli ingredienti. La cottura lenta e uniforme permette accostamenti inaspettati: l’agnello con prugne e mandorle, il pollo con limoni confit e olive, le verdure con datteri o albicocche secche. È in questa armonia tra dolce e salato, che si riconosce il carattere distintivo della cucina marocchina.
Rispetto ad altri metodi di cottura – la griglia diretta, che concentra il calore, o il forno, che asciuga gli alimenti – la tajine lavora sulla delicatezza. È una cucina di pazienza, che rispecchia un tempo lento e rituale, lontano dalla frenesia contemporanea.
Oggi la tajine continua a essere onnipresente nella vita marocchina, dalle cucine di campagna ai ristoranti di Marrakech e Fez. Allo stesso tempo, ha conquistato una dimensione internazionale: chef di tutto il mondo la utilizzano per proporre versioni innovative, a volte contaminandola con ingredienti estranei alla tradizione, ma sempre rispettando la sua logica di base.
Accanto ai modelli artigianali in terracotta, che richiedono una preparazione preliminare (vanno immersi in acqua prima dell’uso per resistere al calore), si trovano versioni moderne in ghisa o ceramica smaltata, adatte anche ai fornelli a gas o elettrici. Nonostante le evoluzioni tecniche, resta intatta la sua funzione primaria: trasformare ingredienti semplici in un piatto che è al tempo stesso nutrimento, racconto e identità.
La tajine è molto più di un utensile da cucina: è simbolo di un patrimonio immateriale. Rappresenta la storia di un popolo, il suo rapporto con la terra e con il tempo, la capacità di creare gusto e cultura a partire da ciò che si ha a disposizione. Nella sua semplicità racchiude secoli di viaggi, scambi e contaminazioni, ma anche la resistenza di una tradizione che non ha mai smesso di parlare al presente. La tajine continua a vivere ogni giorno, sulle tavole di chi cucina non solo per sfamarsi, ma per condividere.
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