Intervista

"Avrei voluto fare l'oste in una piccola trattoria". La confessione dello scrittore Marco Malvaldi

Lo scrittore racconta il suo sogno giovanile di una trattoria e le affinità tra cucina e narrativa

  • 15 Settembre, 2025

«Se i miei genitori non si fossero opposti, avrei fatto l’alberghiero. E poi, l’istituto era troppo lontano da casa, troppo scomodo». La vita del famoso scrittore e chimico Marco Malvaldi avrebbe potuto prendere una strada completamente diversa, tutta dedicata ai fornelli e alla ristorazione. A rivelarlo è lo stesso inventore del BarLume in un’intervista a la Repubblica nella quale confessa che, se non si fosse dedicato alla scrittura, avrebbe sicuramente fatto l’oste di una piccola trattoria: «Mi ci vedo benissimo a spiegare il menu agli avventori, a consigliare il piatto del giorno, a servire il vino. Locali così, semplici e familiari, sono i miei preferiti anche quando vado a mangiare fuori».

Il sogno di una trattoria da gestire

L’ambizione di diventare cuoco se l’è portata dietro fin da ragazzo, tanto che dopo le scuole medie avrebbe voluto iscriversi all’alberghiero. «Mi ci vedo in trattoria, io sono l’oste che spiega il menù alle persone e consiglia il piatto del giorno» ha raccontato al quotidiano romano parlando di una vocazione autentica trasmessagli dalla nonna Tilde e dallo zio Giovanni e che si era insinuata nella sua testa pensando che cucinare significasse occuparsi della felicità degli altri.

Le assonanze tra cucina e scrittura e i piatti preferiti

Nonostante abbia poi preso tutt’altra strada, lo scrittore non ha mai rinunciato a cucinare per la sua famiglia, anche se ha ammesso una certa insofferenza per la pulizia del pesce preferendo di gran lunga quella dei volatili, mentre quando c’è gente a cena tra i suoi piatti forti ci sono la pasta e ceci e il tiramisù. Non stupisce allora che l’autore veda una somiglianza profonda tra scrittura e cucina.

«L’attenzione ai particolari dev’essere la stessa: basta sbagliare un ingrediente, il sale o il finale della storia, e si rovina tutto. Se succede, meglio gettare via e rifare». Come spiega l’autore, in entrambi i casi l’attenzione ai dettagli è fondamentale e richiede un’attenzione maniacale nella gestione degli ingredienti altrimenti meglio ricominciare da capo. Per quanto riguarda, invece, i suoi libri preferiti dove il cibo ha un ruolo fondamentale Malvaldi cita immediatamente Gabriella, garofano e cannella di Jorge Amado e la sfida a chi mangia di più tra Arcadio Segundo e l’Elefantessa in Cent’anni di solitudine di Gabriel García Márquez.

I lettori come i commensali

Come un buon cuoco tiene conto del palato dei suoi ospiti, così Malvaldi non dimentica i lettori: «Una storia deve piacere innanzitutto a me, ma non posso ignorare chi ho davanti. Se so che non le piace il fegato e l’invito a cena, non posso servirglielo. Certo, ogni tanto bisogna sorprendere, ma senza strafare». Una passione, quella per il cibo preparato e consumato, che si ritrova spesso anche nei suoi gialli. Non a caso Malvaldi, nel suo libro “Il borghese Pellegrino” è riuscito a trasformare il padre della cucina italiana Pellegrino Artusi in una sorta di detective. Perché in fondo, che si tratti di un romanzo o di un risotto, lo scrittore non ha dubbi: l’arte sta nel riuscire a preparare qualcosa che resti. Perché una storia ben scritta, come un buon piatto, non si dimentica.

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