Non hanno ereditato il casolare né la terra o gli animali e nemmeno il sapere tramandato. Lavorare in campagna era il loro piano B, ma ci si è messa di mezzo la pandemia «che ci ha costretti a trovare il coraggio e partire». Alessandro Dall’Aglio ed Eva Pasquarella sono nati in città, lui a Imola e lei a Forlì, oggi hanno circa 40 anni e un figlio, Tito, nato in Appennino. Insieme vivono e allevano fra i boschi di Rapezzo, frazione di Firenzuola in provincia di Firenze, nella loro casa-azienda agricola battezzata Orto torto.
Da quelle parti, lasciato a valle il fiume Santerno, non ci si arriva per caso, a meno che non si sia in vena di avventure fra i boschi. Nemmeno loro ci sono arrivati per caso. Alessandro da ragazzo bazzicava in Vallata con gli amici e aveva conosciuto chi abitava proprio lì, aveva scoperto che in quella casa era nata sua nonna Delia, figlia di mezzadri. A forza di provarci Alessandro è riuscito a comprarla quella casa: «Solo mia nonna mi sosteneva, tutti gli altri in famiglia mi davano del matto. Ma lei aveva capito che mi sarebbe piaciuto vivere qui e fare quello che faccio, per lei è stata poi una questione di riscatto: il nipote che compra la casa dei padroni».
“Il Poggio”, quando l’hanno acquistato nel 2016 non era molto diverso da come l’aveva lasciato nonna Delia, ancora oggi i muri di pietra antica, viva, raccontano una vita agricola dura, di montagna. Le terre alte, dice la Strategia nazionale per le aree interne, coprono oltre il 60% del territorio italiano, ma il loro spopolamento è costante, mancano infrastrutture, il clima e le recenti alluvioni le hanno sconquassate, l’agricoltura è residuale. Eva e Alessandro hanno deciso di andare in direzione contraria…ostinatamente.
«Quando ci siamo conosciuti circa 16 anni fa, abbiamo creato un’azienda artigianale per lavorare in proprio: facevamo cinture, borse, zaini con copertoni usati e altri materiali di recupero – raccontano -. Nel frattempo abbiamo comprato questa casa per vivere a contatto con la natura, con l’idea di autoprodurre più possibile il nostro cibo, avevamo in mente di creare qualche impresa nostra che avesse a che fare con il cibo, ma con calma. La nostra attività artigiana nata nel 2010 è proseguita fino al 2020 e l’avremmo proseguita, poi il Covid ci ha costretti ad abbandonarla quando abbiamo visto che fiere e mercati non si potevano più fare, e non si sapeva per quanto sarebbe andata avanti così. Così abbiamo regolarizzato il nostro piccolo allevamento domestico, aumentando i capi di polli, faraone e conigli, creato il macello con laboratorio di trasformazione e imparato ad allevare e lavorare le carni dei nostri animali. Così è nato Orto torto, il cui nome dà l’idea di questo luogo di salite, discese, non sempre comodo e un po’ anche del nostro percorso».
Un tema difficile quello dell’allevamento e del consumo di carni di questi tempi: «Noi siamo contro l’allevamento intensivo, è vero alleviamo i nostri animali e lavoriamo le loro carni – dicono Eva ed Alessandro -, ma i nostri animali vivono in ampi spazi all’aperto, allo stato semi brado perché dobbiamo anche proteggerli dai predatori del bosco con quali conviviamo, si nutrono naturalmente, vivono una vita dignitosa».
Oggi il piccolo allevamento d’Appennino conta 70 anatre e faraone in compresenza, dieci coniglie fattrici, cinque mucche, 249 galline ovaiole e 249 polli da carne al massimo. «Potremmo aumentare, ma scatteremmo al livello successivo – dice Eva -, i controlli sarebbero moltiplicati e così i costi. Non ci interessa crescere a dismisura, ci interessa fare bene e un poco alla volta completare la filiera, producendo tutto il cibo che ci serve per gli animali, ci stiamo lavorando».
Oggi nel laboratorio si macella una volta a settimana il pollame, 3 vitelli all’anno e per bovini e suini si rivolgono ai macelli a valle. Si lavora anche la cacciagione da pelo, cervi, daini, caprioli, abbattuta in selezione, solo animali che arrivano interi, i cinghiali invece passano prima dal centro autorizzato in paese. «La caccia è una parte minoritaria, la portiamo in città ai mercati perché ce la chiedono, ma preferiamo lavorare le carni dei nostri animali che identificano meglio il nostro lavoro», spiegano Eva ed Alessandro che producono anche trasformati: vasetti di ragù di carni da cortile, sughi, trippa, ma anche brodo in bottiglia di pollo, pollo e manzo, anatra o faraona, oltre che insaccare e stagionare salami di mora romagnola e di cinghiale. Portano tutto questo, oltre alle loro uova, ai mercati a Firenze, Borgo San Lorenzo e al Mercato della terra di Imola.
Dal 2023 a Orto torto è anche agriturismo, con pochi tavoli e su prenotazione. «Dall’orto all’aia usiamo tutti i nostri prodotti e degli animali usiamo ogni parte: i fegatini, le rigaglie, le creste di gallo per il ragù. Quello che non produciamo, come vino, olio e formaggio, lo compriamo da altri piccoli produttori non distanti da noi che condividono la nostra stessa visione del mondo e del cibo. Quello che sappiamo fare oggi non ce lo hanno trasmesso lo abbiamo imparato studiando e sperimentando in prima persona – racconta Eva -. Io sono educatrice professionale e ho un diploma europeo in design industriale, Alessandro ha un diploma magistrale, sulla carta non eravamo stati cresciuti per fare i contadini, lo abbiamo scelto, e lo facciamo in Appennino».
Ortotorto, via Rapezzo Razzo, Firenzuola (FI) – Tel 3476745812 – Instagram
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