Era la trattoria preferita di Giorgio Armani e di sua madre. Lì andavano spesso, perché in quella sala semplice e calda, nella campagna intorno a Piacenza, più precisamente a Rivalta (suo posto del cuore, dove sono stati celebrati anche i funerali), trovavano la stessa atmosfera della cucina di casa. Anolini in brodo di cappone serviti fumanti, tortelli ricotta e spinaci conditi con burro e salvia, pisarei e fasò che sapevano di domeniche in famiglia (qui per dove mangiare quest’ultimi in zona): piatti che non erano solo cibo, ma memoria. Oggi Repubblica ricorda quell’abitudine, sottolineando come proprio la fedeltà a una tradizione autentica abbia reso celebre la Locanda del Falco di Sabrina Piazza e di sua madre Rina.
Era il 1975 quando le due donne decisero di aprire le porte della loro locanda e cucinare come si sarebbe fatto per gli amici. Un gesto familiare che negli anni è diventato mestiere e poi, lentamente, scuola di stile gastronomico. Perché quella cucina, restata fedele alle radici contadine, ha saputo cambiare senza mai dimenticare da dove arrivava.
Ogni fine settimana, quando poteva, Armani pranzava qui dopo aver lasciato villa Broni. Un tavolo fisso, una panca vicino al bancone, spesso accompagnato alla mamma Maria Raimondi. Il rito dei tortelli ricotta e spinaci come li faceva sua madre.E la coppa piacentina, a cui non rinunciava mai. «Mi chiamava per avvisarmi e io glieli preparavo con la pasta più spessa, come piacevano a lui», racconta Sabrina Piazza, proprietaria del ristorante, al Corriere della Sera.
All’ingresso, la bottega con salumi Dop e conserve racconta subito un forte legame con il territorio. Capocolli e salami pendono sopra il grande bancone in legno, caldo e accogliente. Nell’estate 2025 c’è stato un avvicendamento in cucina: dopo quattro anni Pietro Carlo Pezzati ha lasciato il testimone a una coppia di chef, Manuel Castillo e Pietro Maini, che stanno continuando a lavorare sulla stessa traiettoria, ma è ancora presto per dare un giudizio definitivo. Certo è, che negli anni questa bella trattoria di provincia ha trovato un equilibrio raro: unire tecnica e rispetto per la materia prima. Così, semplici verdure sono diventate una esperienza gastronomiche divertiti e audaci, come nel caso del pomodoro Cuore di Bue accarezzato dai profumi di lavanda, la cipolla arrosto che si veste di agrodolce al miele.
Tra le prove di carattere diventate piatti simbolo spicca la lingua di manzo salmistrata con sambuco e cipollotto grigliato, un incontro di sapori netti e delicati insieme. Quando si arriva ai dolci, la granita di more con cagliata di capra affumicata conquista per l’abbinamento insolito e sorprendentemente armonico. La carta dei vini è ampia, con etichette che sanno abbracciare tanto l’identità piacentina quanto un respiro nazionale. Il servizio è attento, preciso, di quella cortesia che non si impara sui manuali ma solo stando in sala.
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