Chiediamo a un protagonista del mondo della mixology italiana se ci sia o meno una ripresa nell’appeal del whisky in Italia. Ma anche nel mondo. Da bartender navigato qual è, Julian Biondi costruisce la sua riflessione con ironia: «La risposta breve è “no” – sorride. Ma poi si concede: «La risposta lunga è: il whisky ha cambiato un po’ la sua veste, andando verso prodotti più leggeri e meno invecchiati: molto spesso oggi non vengono neppure indicati gli anni di invecchiamento mentre in passato c’era quasi una gara a chi era più vecchio. E anche a livello di etichette si va verso grafiche più pop, un po’ sullo stile della birra artigianale». Quindi cambia anche il pubblico dello storico distillato? «Onestamente, credo che gli appassionati veri rimangano tali e sono gli stessi di prima. Però il whisky per potersi adattare alle nuove generazioni e alle attuali tendenze di bevuta (che sono più verso spirit trasparenti come gin o tequila) ha deciso di “alleggerirsi” sia nel prodotto che nell’immagine».
Analisi che trova riscontro sia nei dati legati al business, sia nelle tendenze in atto a livello sociale e culturale. Tanto che anche lo “scettico” Julian per il nostro mensile propone un cocktail a base di whisky, mettendoci una E tra la k e la y, all’americana (la grafia con la “E” è originaria dell’Irlanda ed è quella prevalente negli Usa). Forse proprio in quella E sta il senso del cambiamento: la curiosità delle nuove generazioni, dei più giovani, porta alla riscoperta di stili e prodotti “nuovi” anche se ripresi dal lontano passato o da estetiche più attuali.
Come riporta il Whisky Bulletin, il mercato globale del whisky ha raggiunto un valore di 72,7 miliardi di dollari nel 2024 e si prevede che crescerà a un tasso annuo composto di circa il 6,7% tra il 2025 e il 2034. Anche se, all’interno di questo quadro, si rimarca una flessione sia del whisky americano che di quello scozzese: una crisi che interessa i prodotti “standard” i quali, per la rivista specializzata online, devono porsi il problema di una strategia di “premiumizzazione”. Infatti, a crescere nel mercato globale sembrano essere proprio le etichette nelle fasce “premium” e “ultra-premium”: sono tra le più dinamiche: gli appassionati sono disposti a spendere di più per qualità, storie autentiche, durabilità, ed esperienze (bottiglie invecchiate, edizioni limitate…).
La crescita del mercato riguarda anche due altri fattori, secondo Global Market Insights: l’espansione della domanda (e della curiosità verso bevande più “esotiche”) da parte di pezzi di mondo in cui cresce il reddito delle persone come India, America Latina e Asia-pacifico. E la crescita dei mercati digitali con l’e-commerce in cui la curiosità trova risposte maggiori con possibilità di confronti e anche di acquisto. Il tutto, dopo il Covid, trainato da una forte spinta dell’on-trade (ovvero dell’horeca: bar, ristoranti, locali) in cui il whisky torna a farsi vedere nei cocktail e in edizioni di nicchia.
Tanto che, il il whisky ha registrato in Italia una crescita in volume (+18.9%) in un anno comparativo di ripresa (fonte drinks-intel.com) grazie anche alla ripresa del turismo straniero nel Belpaese. Gli italiani – evidenzia un altro sito di analisi (6wresearch.com) – stanno esplorando stili diversi di whisky: single malt, blended, bourbon; e c’è anche una maggiore attenzione al design, alla storia dietro il prodotto, alla qualità percepita. Non a caso, durante il World Cocktail Day è emerso che tra i drink più ordinati nei top bar resta l’Old Fashioned a base Bourbon o Rye (le due versioni americane del whiskey), dietro a Negroni e Margarita: segnale che l’appeal dello storico distillato nel bere miscelato resta alto.
In tutto questo, c’è un trend di nicchia che comincia a mostrare numeri importanti: all’interno delle curiosità e delle produzioni particolari e di appeal più contemporaneo, il “Japanese Whisky” ha un peso importante.
«Dal 2019 al 2024, le esportazioni di bevande giapponesi in Italia tra alcolici e distillati sono aumentate del 104%», scriveva poco tempo fa l’agenzia Ansa: segno che italiani stanno importando più alcolici nipponici, whisky compreso. Un trend che si vede bene anche nelle drink list dei locali: sempre più cocktail con whisky giapponese, highball estivi a base di whisky nipponico, miscelazioni creative (per esempio con sake o con sciroppo di miso) che incorporano whisky del Sol Levante come protagonista. Insomma – riflette Alessandra Magliaro su Ansa Lifestyle – il trend culturale “Japan lover” (gastronomia, stile, estetica, distillati giapponesi) è percepito in Italia, specialmente nelle grandi città, nei cocktail bar, nei locali che propongono alta cucina giapponese o fusion: ciò aiuta la visibilità del whisky giapponese come marchio di stile, non solo come variante di whisky. Una tendenza ben visibile nei ristoranti più di livello di sushi e nelle izakaya che vivono in Italia un momento di importante espansione.
Così, la stessa curiosità che spinge verso la scoperta della cultura giapponese si muove anche su altri fronti, come la ri-scoperta di una vecchia tradizione americana: il Moonshine, “l’ombra di luna”, ovvero il whisky clandestino che si distillava alla luce della luna, appunto, dapprima nella fase subito dopo la Guerra d’indipendenza americana (a causa dell’aumento delle tassazioni sugli alcolici) e poi in misura ben più ampia negli anni del Proibizionismo (tra il 1920 e il 1933). Oggi c’è chi cavalca questa apparenza di clandestinità e di antagonismo facendone una bandiera e proponendo – ovviamente – etichette del tutto legali e addirittura aromatizzate.
Insomma, a livello italiano, la ripartenza del whisky c’è, ma è molto selettiva: nel fuori casa la domanda si fa sentire ed è guidata da premiumizzazione e dallo slogan “drink meglio, non di più”. CGA by NIQ registra trading-up (proposte di maggior livello qualitativo e di prezzo da parte delle aziende) e crescita del consumo consapevole, cioè meno volumi ma più valore per referenze di qualità: un contesto che favorisce i whisky premium, i single malt e i classici “whisky-led” al bar.
A proposito della “ripresa” di appeal del whiskey, ha da dire la sua anche Massimo D’Addezio, un altro grande barman romano. «C’è un ritorno nella mixology – spiega – ma il whiskey in realtà ha avuto sempre il suo pubblico di fan. Tutto sommato è un prodotto “nerd”, legato a tradizioni e storie con radici profonde nella cultura e nell’immaginario di un grande pubblico fatto anche di appassionati incrollabili. Certo, vero è che da un po’ di anni sono nati anche nuovi prodotti, dal whiskey indiano quello taiwanese che hanno seguito l’onda lunga anche del Giappone dove si producono distillati molto puliti e ben definiti. E dove spesso si dà vita anche a blend fatti di distillati locali mixati con botti importate magari dalla Scozia…». Insomma, possiamo ben dire parafrasando un classico che “whiskey will never die“!
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