Quando si parla di pasta ripiena, il pensiero corre immediatamente all’Italia. Eppure la storia racconta un percorso più intricato. Le prime tracce scritte della parola raviole risalgono ad un documento del Delfinato francese del 1200, mentre in Italia è Boccaccio, con il suo Decameron a metà del secolo successivo, a immortalare i ravioli nella celebre descrizione del “paese di Bengodi”. Se i ravioli italiani sono diventati simbolo di un patrimonio gastronomico nazionale, la Francia può a buon diritto rivendicare un posto in questa storia con le sue Ravioles du Dauphiné. Una specialità di montagna nata come piatto umile, e arricchita in seguito con formaggi pregiati man mano che le disponibilità economiche lo permettevano.
A differenza dei ravioli italiani, pensati come unità singole da servire in porzioni, le ravioles francesi si distinguono per l’insolito formato: una sfoglia trapuntata di piccoli ravioli ripieni di formaggio, lasciati uniti e conditi con burro fuso. Le origini di questo piatto sono medievali: la prima menzione delle Ravioles du Dauphiné compare infatti nel 1228. Nel Delfinato, regione storica dell’odierna Isère e Drôme nel sud-est della Francia, il ripieno variava secondo le stagioni e le possibilità economiche: poteva essere di carne o, nei giorni di quaresima (Carême), di verdure: rape, erbe, o altri ortaggi “poveri”.
Con il tempo, quando la disponibilità economica è migliorata, il formaggio ha iniziato a sostituire le versioni vegetali, fino a definire il ripieno che conosciamo oggi. Dagli anni Sessanta, la produzione diventa industriale, e a partire dagli anni Novanta, è una pasta confezionata e disponibile anche nei supermercati di Francia.
Dal 1989 la denominazione “Ravioles du Dauphiné” è protetta come indicazione geografica, e dal 1998 vanta il Label Rouge, marchio di certificazione francese che garantisce un livello di qualità superiore per prodotti alimentari e agricoli, basato su specifici protocolli produttivi. Il disciplinare stabilisce gli ingredienti obbligatori: pasta a base di farina di grano tenero, uova e acqua; ripieno di formaggi (tra cui almeno una quota di Comté o Emmental francese centro-orientale), burro e cremoso Faisselle di vacca.
Ogni singolo raviolino che compone la lastra da 48 disposta a griglia è formata da due veli sottili di sfoglia. La cottura è rapidissima e il condimento tradizionale non prevede salse elaborate, ma soltanto beurre monté ossia burro montato e lasciato fondere, che viene versato sulle lastre appena cotte, arricchito solo con un po’ di pepe nero, o un accenno di prezzemolo. Un’essenzialità che serve a valorizzare la delicatezza del ripieno e la fragilità della sfoglia. La loro apparente semplicità infatti nasconde un equilibrio tecnico: la sfoglia deve essere sottilissima ma resistente, il ripieno calibrato, e la cottura precisa per evitare che la sfoglia si strappi.
La presentazione “a trapunta”, che in Francia appartiene alla normalità, è diventata la chiave della loro riscoperta fuori dai confini. Al bistro Cafe Chelsea di New York vanno a ruba. Le immagini di un video condiviso su Instagram dalla creator Carolina Gelen e ripreso da New York Times Cooking, con la lastra di ravioles sollevata e adagiata sul piatto, e il burro fuso che scivola tra le pieghe, hanno incuriosito un pubblico abituato a pensare al raviolo come unità singola della cultura italiana. Scopriamo così una piccola specialità francese che, con un po’ di burro fuso e una forma bizzarra, ha trovato il modo di incuriosirci.
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