«Chi non lo sa non lo può nemmeno immaginare che in una strada di Milano non particolarmente bella, in un quartiere non particolarmente centrale, dietro le tende e i bei poster (i dipinti dentro) di Paolo Ferrari, si cela uno dei migliori locali “non solo di Milano”, uno dei pochi templi della cucina assolutamente italiana, tradizione alleggerita e rivisitata, ma tradizione nazionale». Scriveva così il “nostro” Giancarlo Perrotta, curatore insieme a Clara Barra della guida Ristoranti d’Italia per oltre un decennio. Il “notaio” aveva ben individuato la forza del Luogo di Aimo e Nadia, ovvero quella ricerca costante e appassionata della materia prima. Ricerca che, di quei e questi tempi, è il vero punto di discrimine tra la buona cucina e la tecnica impersonale.
Aimo e Nadia. Foto di Alberto Blasetti
Nel ristorante di Aimo Moroni, morto all’età di 91 anni, e Nadia Giuntoli, la grande materia selezionata da Moroni in persona ha da sempre caratterizzato la loro cucina, fatta di profumi e sapori nitidi e intensi come pochi. Già in epoca non sospetta un piattino di olio da gustare con il pane rappresentava un grandissimo inizio perché Aimo sapeva, ha sempre saputo, essere ferreo nella scelta dell’olio perfetto. Ed è così che si rimaneva folgorati da un “semplice” pomodoro crudo accompagnato da olive, capperi e origano di Pantelleria sul crostino di pane, «per scoprire che il sapore vero del pomodoro forse lo si era dimenticato», commentava Marco Bolasco – oggi direttore dell’area non-fiction di Giunti Editore e fondatore di Topic – nella recensione datata 2006. Ed effettivamente i piatti che hanno fatto la storia del Luogo di Aimo e Nadia hanno tutti come filo conduttore un viaggio in profondità al cuore dell’ingrediente.
Tra i piatti storici compaiono il risotto carnaroli all’olio di Nocellara con gamberi viola di Sanremo, pomodori cuore di bue, burrata ed erbe aromatiche, il gambero viola di Sanremo ai tre legumi e, andando a ritroso nel tempo, una ricetta di Nadia, le Fettuccelle di pasta fresca con faraona piemontese e funghi porcini. Ma sono due i piatti entrati nella memoria culinaria collettiva: i mitici spaghetti di grano duro con cipollotto di Tropea, peperoncino di Diamante, un filo d’olio e basilico ligure, nati nella prima decade dell’allora Trattoria da Aimo e Nadia, e la zuppa etrusca con ortaggi di stagione, legumi, farro della Garfagnana e fiori di finocchio selvatico. La più alta sintesi della cucina del Luogo, dove materie prime indimenticabili interagiscono al meglio tra loro in una armonia che nulla toglie ai singoli ingredienti.
La zuppa etrusca è un vero capolavoro che, come si legge nel sito del ristorante, rappresenta un «simbolo indiscusso del duro lavoro portato avanti dalla coppia tra gli anni 70′ e l’inizio degli anni 80′ (culminato nell’ottenimento della stella Michelin)» volto a portare alta la bandiera della tradizione con una concezione estremamente moderna della cucina. E con spirito moderno e inusuale Aimo e Nadia sono stati capaci, al momento giusto, di lasciare spazio ad Alessandro Negrini e Fabio Pisani, due bravi giovani chef con la voglia di osare un po’ di più senza però tradire l’immensa eredità di Aimo.
«Il più grande torto che potrebbero farmi Fabio e Alessandro?», ha candidamente confessato in un’intervista al Gambero Rosso della giornalista Sonia Gioia «Cancellare quei piatti dalla carta».
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