Tra i “Marchesi boys” è sicuramente il più mediatico, spesso vittima di critiche – dalla famosa pubblicità delle patatine, alla copertina di GQ con un Carlo Cracco in giacca e cravatta che afferra un pesce e affianco una modella nuda, alle recenti proteste di Ultima Generazione da Cracco in Galleria – ma capace di uscirne con eleganza e autoironia che spesso i veneti hanno nel sangue.
A Carlo Cracco, di Creazzo in provincia di Vicenza ma milanese a tutti gli effetti, va dato il merito di aver fatto entrare il mondo dell’alta cucina nelle case degli italiani rendendo più pop un argomento prima appannaggio di pochi appassionati. E se nelle vesti di giudice di MasterChef non ci ha mai del tutto convinto – lui stesso ha ammesso di aver esagerato con la cattiveria, perlopiù enfatizzata a favore di telecamera – è con Dinner Club, programma targato Amazon Prime Video, ad aver fatto emergere il suo lato ironico che forse meglio gli si confà. Caratteristica che lo ha reso capace di tener testa a chi in televisione o al cinema ci lavora a tempo pieno, da Sabrina Ferilli (autoironica pure lei, evviva), a Diego Abatantuono, a Valerio Mastandrea. Insomma, Cracco non è solo un grandissimo chef, ma un uomo capace, ultra capace di stare al mondo, pure quello televisivo. Eppure, contrariamente a quanto si potrebbe pensare dati i molteplici impegni, lo chef è sempre riuscito a essere molto presente in cucina perché, in fondo, la cucina è il suo primo e unico amore – chiaramente dopo la moglie Rosa Fanti con la quale gestisce l’azienda agricola Vistamare in Romagna.
Un amore agli albori durante gli anni passati all’istituto alberghiero di Recoaro Terme, probabilmente sbocciato quando, nel 1986, ha iniziato a collaborare con Gualtiero Marchesi a Milano. Un’esperienza che lo ha segnato per sempre portandolo poi a Parigi, nel ristorante di Alain Ducasse, per apprendere i dettami della cucina francese, successivamente all’Enoteca Pinchiorri sotto la guida di Annie Féolde (nell’anno in cui l’Enoteca ha ottenuto le tre stelle Michelin) e poi di nuovo al fianco di Marchesi in occasione dell’apertura dell’Albereta a Erbusco. Qui ci è rimasto per tre anni, al termine dei quali, con un’altra stella guadagnata sul campo, ha avviato la collaborazione con Peck: prima con Cracco Peck e poi, semplicemente, con Cracco nell’insegna. È in via Victor Hugo che ha conquistato le due stelle Michelin, un traguardo forse impensabile per quel ragazzo, figlio di un ferroviere, che si era iscritto all’istituto alberghiero più vicino a casa quasi per caso.
Non solo gioie, ma anche dolori, soprattutto quando nel 2017 lo chef veneto ha perso una stella poco prima del trasferimento in Galleria Vittorio Emanuele II. Poco male, almeno per noi: la sensazione è che qualche “messa in discussione” faccia bene alla passione, al conoscersi e al ri-conoscersi. E uscito dal limbo di una casa condivisa con un gigante come Peck e dalla bolla virale ma virtuale di Masterchef, Carlo Cracco sia, appunto, tornato. Si arriva così al 2019, quando la guida Ristoranti d’Italia del Gambero gli ha riconsegnato, giustamente, le Tre Forchette grazie, ma non solo, a un menu dove c’era tanto di nuovo ma pure molte conferme, a cominciare dalla famosa insalata russa caramellata, un piatto del ricordo che ritorna in forma moderna, e a una sezione dedicata alle uova. Alle uova? Direte voi. Ebbene sì.
Un ingrediente ossessione per Carlo Cracco – ma non solo per lui – sono proprio le uova (sull’argomento nel 2004 scrisse un libro, “La Quadratura dell’uovo”), tanto da aver messo a punto nei primi anni 2000 il suo famoso tuorlo marinato utilizzando una tecnica a freddo, basata sulla denaturazione delle proteine: ricoperti di sale e zucchero, che assorbono l’acqua presente nelle uova, i tuorli si solidificano, in maniera proporzionale al tempo di marinatura. Perfetto emblema della sua celebrata cucina. Una cucina di testa e al tempo stesso di talento, capace pure di interecettare il talento degli altri, ieri con Matteo Baronetto, oggi con Luca Sacchi. Ce ne fossero di cuochi come Cracco.
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