Nello studiare lโevoluzione della cultura enogastronomica europea, non possiamo esimerci dal valutare come i secoli di storia e il succedersi dei regni abbiano trasportato con loro nuove abitudini alimentari e nuove forme di consumo. ร peculiaritร di ogni impero lโallargarsi e il ritrarsi come le onde di una marea attraverso i secoli, e di conseguenza coinvolgere e contaminare i nuovi paesi annessi con le proprie tradizioni culinarie. Pensando allโoriente con i suoi imperi millenari (come ad esempio quello cinese) pare inevitabile per noi immaginare una geografia statica, turbata solo dallโarrivo degli occidentali, ma non รจ cosรฌ. Il Giappone che conosciamo oggi ad esempio, a livello territoriale, รจ solo lo spettro di ciรฒ che il Mikado arrivรฒ a conquistare fino alla seconda guerra mondiale, e se lโonda della marea pare ormai essersi ritratta fino a coinvolgere soltanto lโampio arcipelago, non bisogna scordarsi che allโinterno di esso si trovano ancora isole che, per storia e tradizioni, hanno vissuto per secoli come stati autonomi.
Uno dei casi piรน interessanti รจ sicuramente quello delle isole Okinawa, un atipico arcipelago che ormai siamo abituati a vivere come lโavamposto nipponico piรน a sud nellโoceano, diventato celebre nel ‘900 per via delle battaglie della Seconda guerra mondiale, e per il seguente insediamento della base americana. Tuttavia questa terra ha una storia secolare, che solo nellโultimo secolo si รจ fusa in maniera definitiva con quella del Giappone.
Questo arcipelago infatti non รจ piรน vicino a Tokyo di quanto non lo sia a Taiwan, e per lunghissimi secoli รจ stato uno paese indipendente, noto come il Regno delle Ry?ky?, retto da una monarchia dal ‘300 fino a fine ‘800. Questo piccolo stato marittimo svolse il ruolo fondamentale di crocevia per i commerci medievali tra il Celeste Impero e quello nipponico, restando uno stato sovrano attraverso i secoli, anche se sempre accettando una duplice subordinazione nei confronti degli ingombranti vicini (pagando tributi a Pechino prima e successivamente anche a Kyoto), fino a essere annessa in via definitiva al Giappone nel 1879, che per capire quanto sia recente come data, basti pensare che รจ lo stesso anno della nascita di Albert Einstein.
Se questa terra รจ, a oggi, a tutti gli effetti subordinata a Tokyo e fortemente influenzata da decenni di convivenza con gli americani, alcune delle tradizioni storiche ancora restano in vita, e anzi, provano proprio in questo momento a uscire dai propri confini e ad arrivare anche da noi qui in Europa. Il prodotto che piรน pare poter raccontare lโidentitร di questo popolo รจ lโawamori, un distillato che rappresenta (sia a livello tecnico che gustativo) un unicum, una nuova categoria a livello globale.
La distillazione raggiunse infatti Okinawa giร nel XV secolo, dalla Thailandia, e decennio dopo decennio qui รจ stata affinata a livello tecnico per renderla sempre piรน confacente al clima subtropicale delle isole. Questo spirito di riso, nonostante possa essere confuso con lo sh?ch? (il distillato popolare del Giappone), presenta rispetto a esso alcune differenze rilevanti: in primo luogo la materia prima โ nel primo riso e grano giapponese, nell’awamori riso thailandese (ereditร di chi portรฒ gli alambicchi) e grano Indica – ma a contraddistinguere il prodotto in maniera ancora piรน evidente รจ il k?ji nero specifico di Okinawa, che agisce come agente principale per attivare la fermentazione, mentre per lo sh?ch? si utilizza un k?ji bianco.
Questo distillato ha assunto nei secoli lo stesso valore simbolico e culturale che ha il vino in Europa, diventando protagonista delle tavole e accompagnando i piรน importanti momenti di passaggio nelle vite dei singoli. Ad esempio, il distillato (nonostante il colore trasparente) viene spesso โinvecchiatoโ in anfora, ed รจ consuetudine comune metterne via una per la nascita di un figlio per aprirlo al raggiungimento della sua maggior etร .
Di Koshu (??, ovvero awamori con almeno tre anni di invecchiamento in vasi all’interno delle cantine con una temperatura bassa e costante) fino alla prima metร del 900 ne esistevano di antichissimi., anche con piรน di 200 o 300 anni di etร . Prima della Battaglia di Okinawa della seconda guerra mondiale era comune trovare anfore cosรฌ antiche, ma (nonostante la storia popolare narra che durante i bombardamenti si scappasse dalle case portando con sรฉ le anfore invece dei gioielli) purtroppo la guerra anche in questo caso non ha lasciato superstiti. ร comunque interessante comprendere quanto questo movimento di distillazione sia vivo e vivace, e per farlo basti pensare che su un territorio vasto grosso modo quanto la Sardegna si trovano a tuttโoggi 46 distillerie attive (per fare un paragone, in tutti i Caraibi, patria del Rum, se ne trovano meno di 50).
Fino a oggi, questo distillato รจ stato appannaggio dei soli appassionati di enogastronomia giapponese, ma qualcosa in questo senso sta cambiando. Grazie alla volontร di alcuni giovani imprenditori, piรน avvezzi a rapportarsi al mercato globale, lโawamori sta lasciando i confini e lo sta facendo guardando vero il mondo del bar. Se infatti altri prodotti della tradizione come lo sh?ch? o il sake trovano limitazioni nellโuso in miscelazione, legati a un grado alcolico troppo basso che tende a farli scomparire allโinterno di un cocktail (soprattutto se in assenza di un bartender esperto in materia), lโawamori puรฒ essere automaticamente utilizzato come sostituto di un distillato europeo per quanto riguarda corpo, gradazione e aromi.
Una piccola ma grande differenza, che potrebbe fare di questo prodotto uno dei protagonisti dei grandi bar in tutto il mondo, portandolo fuori dalla nicchia dei prodotti esotici e rendendolo agevole al largo consumo, come ci spiega Giulio Amodio, barmanager del ChinaTang di Londra e Global Brand Ambassador di Ryukyu 1429, lโazienda che piรน di tutte sta provando a muoversi in questa direzione: โร un distillato di riso, che sorprende non solo in purezza quanto piuttosto nei drink. In miscelazione infatti si trasforma. Quando lo ho assaggiato per la prima volta ci ho visto la nascita di un nuovo trend e ho avuto feedback positivi da diversi bartender in tutti i nove paesi europei dove siamo presentiโ.
Jun Ogawa e Hiroumi Keimatsu, i due imprenditori dietro a questo progetto di rinascita e internazionalizzazione, hanno deciso di rilevare tre distillerie tradizionali e unirle sotto un unico nome. Le tre referenze create, Kaze, Mizu, Tsuchi – i cui sono nomi, traducibili come vento acqua e terra, sono stati scelti per via delle posizioni delle distillerie – sono estremamente diverse tra di loro e possono essere utilizzate in maniera completamente diversa. โIl Tsuchi ad esempio รจ un prodotto un po’ piรน neutro e pulito, a me piace compararlo con una vodka e con un ginโ racconta Amodio โIl Mizu ha il koji come protagonista assoluto, un sapore piรน intenso e tradizionale; in Italia lo hanno paragonato inizialmente alla grappa, poi al pisco e al mezcal. Mi piace molto anche usarlo al posto del rum, mentre il Kaze si beve giร da solo grazie alla sua complessitร e alla sua delicatezza, seppur con un’impronta asiatica. Lo si puรฒ usare per un Martini ad esempio. Ha personalitร ed รจ elegante, forse รจ il piรน versatileโ. Quel che รจ certo รจ che questi prodotti, con la loro setositร e rotonditร , hanno parametri gustativi molto diversi da ciรฒ a cui siamo abituati, e per questo estremamente interessanti.
Negli ultimi anni รจ diventato comune vedere i prodotti giapponesi nelle bottigliere dei grandi bar del mondo, prima con i whisky, e in tempi piรน recenti con i gin. La scommessa di accettare anche i loro spiriti tradizionali perรฒ รจ forse ancora piรน interessante, perchรฉ mentre la distillazione ci racconta della capacitร umana di trasformare, la materia prima ci racconta il rapporto di un popolo con la sua terra e i suoi prodotti, e questo รจ quello che piรน ci dovrebbe affascinare.
a cura di Federico Silvio Bellanca
foto di Michele Tamasco
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