Ci sono stati due crolli a delimitare un decennio. Nel novembre del 1989 quello del Muro di Berlino. Nel settembre del 2001 quello delle Torri Gemelle di New York. Il primo crollo ha fatto finire unโepoca, il secondo ne ha fatta iniziare unโaltra. Ma in mezzo, cosโรจ successo? Sono successi gli anni ’90.
Nel 1989, con il crollo di un muro, finisce unโera. Nel 2001, con il frantumarsi di due torri, ne inizia unโaltra. Ma in mezzo, cosโรจ successo? Tra la fine della Stagione della Speranza e l’inizio di quella della Paura che รจ stato? Gli anni Novanta sono un passaggio fondamentale nella vita di chi abbia superato la quarantina: si sono aperti come Era dell’Ottimismo – la fine del comunismo, delle ideologieโฆ – si sono chiusi sotto le macerie del World Trade Center e i manganelli di Genova. Eppure rimangono i piรน imperscrutabili di tutti, i meno studiati, i meno codificati. Comโera lโItalia? E soprattutto: come si mangiava?
Anche perchรฉ per capirci qualcosa รจ necessario prima un poco di contesto. E per contesto intendiamo, naturalmente, Silvio. Silvio, sรฌ: rimembrate ancora? Il 17 febbraio 1992 una macchina della polizia si dirige verso il Pio Albergo Trivulzio dove arresta Mario Chiesa, socialista, che ha appena intascato una mazzetta da sette milioni di lire. ร lโinizio dellโinchiesta Mani Pulite che travolge la politica italiana, mettendo fine a quella che verrร chiamata la Prima Repubblica. Sono gli anni del pool, di Antonio Di Pietro, di Gherardo Colombo, di Piercamillo Davigo, delle monetine a Craxi di fronte allโHotel Raphael (รจ il 30 aprile 1993). Due anni dopo il piccolo schermo viene riempito da una faccia che tutti imparano a conoscere bene: รจ il 26 gennaio del 1994 e l’imprenditore Silvio Berlusconi dalle proprie reti televisive annuncia l’epocale โdiscesa in campoโ. Il 27 e 28 marzo dello stesso anno, con un partito nuovo e una campagna elettorale lampo vince le elezioni e lโ11 maggio diventa Presidente del Consiglio. Questi sono gli anni Novanta che vengono in mente a tutti.
Le vicende giudiziarie. La politica. Ma la vita degli italiani? Comโera la vita degli italiani? Prendiamo un punto di inizio non a caso, lโ8 luglio. Ricordate dov’eravate lโ8 luglio 1990? Stavate guardando Diego Armando Maradona stringere la mano a Lothar Matthaus all’Olimpico di Roma allโinizio della finale dei Mondiali di Italia 90, Argentina contro Germania ovest. Finisce uno a zero per i tedeschi, gol di Brehme a dieci minuti dalla fine. Ecco, quellโotto luglio comincia un decennio misterioso, allegro e depresso, luminoso e controverso.
In radio arrivano le boy & girl band stupidine โ le Spice Girls, i Backstreet Boys โ ma anche lo scazzo esistenzialista dei Nirvana, l’inarrivabile depressione di Creep dei Radiohead; in televisione vincono le menate adolescenziali di Beverly Hills, di Melrose Place, di Dawson Creek ma anche il loro contraltare, la provincia esoterica e grottesca di Twin Peeks; Fiorello canta il karaoke e Baggio sbaglia il rigore; Ambra รจ radioconnessa con Boncompagni (prima puntata di โNon รจ la Raiโ: 9 settembre 1991), lโestate vuol dire Festivalbar, al pomeriggio tutti di fronte al โPrincipe di Bel-Airโ (prima puntata: 10 settembre 1990); i ragazzi danno da mangiare al Tamagotchi e si sfondano di Game Boy, leggono Cioรจ e guardano Holly e Benji, le famiglie provano a indovinare le canzoni con Sarabanda, gli adolescenti appuntano pensieri sulla Smemoranda e i ragazzoni sprofondano sul divano devastandosi di Fifa 98.
Ma il cibo? Qual รจ il cibo degli anni Novanta? In Italia le rivoluzioni, diciamolo, sono arrivate nel decennio precedente. Vi basti questo triplete a dimostrarlo:
1985 – a Bolzano apre il primo Mc Donaldโs italiano.
1986 – Gualtiero Marchesi conquista per la prima volta le tre stelle Michelin con il ristorante in via Bonvesin de la Riva a Milano.
1986 – a Bra nasce Slow Food, il movimento fondato da Carlin Petrini in evidente contrapposizione con la cultura crescente del fast food. E nello stesso anno sboccia anche il Gambero Rosso.
Dunque, nel mezzo del decennio precedente, in pochi mesi รจ arrivata la globalizzazione, รจ giunta al suo massimo apice la cucina italiana moderna, รจ stata avviata la rivoluzione del prodotto, del territorio, della consapevolezza, del โmangiare รจ un atto agricoloโ. Tanta roba gli anni Ottanta!
Difficile per il decennio successivo rivaleggiare con una decade cosรฌ tosta, cosรฌ rivoluzionaria. E in effetti gli anni Novanta sono quelli del consolidamento e dei germogli: si fortifica quello che รจ stato costruito prima e comincia a crescere ciรฒ che diventerร grande dopo. Ma prima di parlare con i protagonisti di quegli anni e di fare qualche riflessione, concentriamoci su ciรฒ che era arrivato nelle case degli italiani.
Per le feste ancora vanno i cocktail di gamberi e la Regina degli anni Ottanta โ sua maestร la rucola โ trova il perfetto accostamento con la tagliata e i pomodorini; dโun tratto lo yogurt diventa gelato; dโestate che bella festa รจ lโinsalata di riso, dโinverno che grande consolazione la crรชpe alla Nutella; a colazione fanno capolino e subito dilagano i plumcake che entreranno saldamente nelle abitudini degli italiani, in riva al mare si leccano coni di gelato โgusto Puffoโ. Il cibo arriva nelle case degli italiani sempre piรน dalla grande distribuzione โ che consolida la sua diffusione nel Paese โ ma ancor prima attraverso la televisione commerciale che continua nella propria cavalcata iniziata, anche qui, nel decennio precedente.
Quello mitico della Ferrero Rocher: la contessa che tartassa Ambrogio con la sua voglia di โqualcosa di buonoโ รจ del 1992. Un giovanissimo Stefano Accorsi sui lidi romagnoli costruisce la sua popolaritร semplicemente ripetendo โGranel, stracciatel… Duโ gust is megl che uanโ (รจ il 1995). Il vestito di Charlize Theron si sfilaccia per un Martini nello spot piรน mozzafiato della decade (oggi sarebbe ritenuto sessista?), mentre in quello piรน familiare e rassicurante la tenera Kaori (emblema di una wave giapponese che conquisterร mezza Italia a suon di sushi) va matta per il Philadelphia.
Lโindustria alimentare, insomma, sta continuando a prendersi il paese: la robiola del supermarket vince su quella del casaro, i duโ gust sul gelatiere artigianale: in quegli anni Carlin Petrini ha molto da fare per riuscire a convincere i consumatori italiani che piccolo e locale รจ bello. Il chilometro zero non se lo fila nessuno. In un bellissimo, recente racconto, Donatella Di Pietrantonio โ autrice de “L’arminuta”, premio Campiello 2018 โ ricorda l’infanzia abruzzese e dice che odiava il pecorino perchรฉ ce n’era tanto: allora locale faceva ancora rima con “provinciale”, si cercava il diverso, il lontano, “fatto in fabbrica” perseverava a esercitare un fascino da Boom, da Italia industriale. Sembra passata una vita. E in effetti รจ passata una vita! Perchรฉ gli anni Novanta sembrano sempre lโaltro ieri e invece รจ un quarto di secolo faโฆ
โLa paella? La facevamo tutte le sere!โ Se lo ricorda bene Matteo Baronetto โ da un lustro chef di Del Cambio a Torino โ che nel 1992 lavorava in una pizzeria vicina a casa, nella cintura torinese e preparava spesso quello che per tanti motivi possiamo considerare il piatto simbolo del decennio. Simbolo di europeismo, di scambio, di apertura e di fratellanza tra popoli, al sapore di Interrail e Erasmus (oltre che di riso bruciato). Poco dopo, nel 1994, il giovane Matteo arriva da Gualtiero Marchesi che s’รจ appena trasferito allโAlbereta. Marchesi รจ consolidato, fortissimo. In cucina qui, a un passo dal lago d’Iseo, lo chef รจ Cracco: con lui ci sono Berton e Camanini; Crippa รจ appena andato via, in Giappone, Lo Priore anche, ha appena lasciato. Ci sono tanti dei cuochi che faranno grande la cucina italiana del terzo millennio. Da questo punto di vista i Novanta sono anni di passaggio e l’Albereta ne รจ il luogo.
Ma se nellโalta cucina รจ tempo di transizioni, nella ristorazione popolare si sta perpetrando un delitto efferato: qualcuno sta uccidendo le piรน grandi trattorie del Buon Paese. Chi รจ il colpevole? Il fast food, certo, Petrini ci combatte dagli anni Ottanta. Ma le osterie sono, soprattutto, vittime del fuoco amico. A sparare sono le pizzerie. โIn quella in cui lavoravo โ continua Baronetto โ non solo facevamo paella in continuazione, ma tanti gamberi con la salsa cocktail e un altro grande classico: gli spaghetti allo scoglio. Per finire, lโaspicโ. Proprio in quegli anni le pizzerie del nord โ al sud giร succedeva โ cominciano ad affiancare al forno la cucina. โFu un grande errore: se le pizzerie avessero continuato a fare solo pizze, sarebbero sopravvissute le trattorie. Con un doppio vantaggio: migliori pizze, miglior cucinaโ. Se le ricorda, le pizzerie anni Novanta, Baronetto: quelle con le tovaglie di carta a quadri e i fermagli che dopo un cliente facevi un fagotto e buttavi via tutto; quelle in cui non si prenotava e si faceva la fila; quelle in cui sโandava con la squadra di calcetto ed era un evento; quelle in cui alla gente non fregava niente del localeโฆ โpoi a un certo punto sono arrivati gli arredi belli, il bancone del pesce, l’aria condizionata ed รจ finita unโeraโ.
Va detto che l’aria condizionata ci voleva. Non solo per lโestate, ma perchรฉ nei ristoranti si fumava. Ma ve lo ricordate? Sembra passata un’era geologica, e invece siamo noi, vent’anni fa: prima del ministro Sirchia ci sparavamo dei gran pacchetti di Marlboro, aspirando voluttuosamente tra una portata e l’altra. Fumavano tanto, sempre, ovunque. Sugli spaghetti allo scoglio, sul vitello tonnato, sulla pizza, sulla panna cotta (che in quegli anni ha avuto un inspiegabile boom) e sul profiterole industriale, bevendo Barolo e Sassicaia, in trattoria e nei gastronomici. โMa il palato non ne risentiva?โ viene da chiedersi oggi, che viviamo i beati anni del castigo in cui non possiamo piรน fare niente e forse nemmeno ne abbiamo piรน voglia. Uno dei piรน grandi nasi italiani โ inteso come intenditore di vini โ disse: “fumo e questo non mi fa perdere piรน del 5% delle mie capacitร olfattivo-gustative”. Non abbiamo strumenti per confermare o smentire questa affermazione, ma la veritร รจ che la domanda รจ sbagliata: a tavola, negli anni Novanta, si stava soprattutto per stare insieme, far casino, trascorrere la serata. Il ristorante, anche quello chic, era spesso un pretesto: mangiavamo meno fuori, e quando uscivamo volevamo far bisboccia. Non vi sovvengono quegli anni cosรฌ adorabilmente cazzari? Secondo voi esageriamo a ricordandoli cosรฌ? Beh, allora se non vi fidate di noi, fidatevi di Mauro Uliassi.
Che anno il 1990. Sul lungomare di Senigallia apre โUliassi โ Cucina di mareโ. โChe energia cโera, che forza… Senigallia era piena di gente, vivacissimaโ. Sulla riviera adriatica sono anni di grigliate e fritti misti; โMa si mangiava giร bene โ racconta il super chef marchigiano con il suo tono entusiasta โ Cโera Moreno Cedroni sempre pieno, faceva gli scampi con la polenta, il pesce al sale… Noi abbiamo pensato di seguirne lโonda e via, tempi pazzeschiโ. Ricorda Uliassi che allโinizio del decennio ebbe due intuizioni che resero il ristorante popolare: โAbbiamo preso delle padelle in rame bellissime e cominciato a servire cozze e vongole non nella pirofila, come gli altri, ma dentro questi splendidi contenitori; e poi tutti facevano lโinsalata di mare mettendo assieme due seppie e due gamberi il lunedรฌ per poi servirla tutta la settimana: noi cominciammo a servirla tiepida, con le verdure, le fave, gli asparagi, con piรน curaโฆโ. Ecco: la cura. La padella piรน bella, l’insalata fatta per benino: gli anni Novanta sono anche questo, la cucina italiana tutta โ non solo Marchesi, ma anche un ristorantino in una localitร balneare โ che si fa mano mano piรน raffinata, piรน attenta. Le cose buone giร c’erano, ora si fanno piรน precise. C’รจ piรน controllo, ma, come si sa, il controllo serve se dietro ha potenza: โAvevamo una capanna messa insieme con lo stucco ma eravamo sempre stipati allโinverosimile, ogni sera stappavamo Dom Perignon perchรฉ avevamo raggiunto un nuovo record, di numeri, di piatti… Lavoravamo come bestie ma tutto ci dava carica: il mare, la gente di Senigallia che ci ha voluto subito bene… poi quando nel 1995 ci รจ arrivato un telegramma dalla Michelin che ci aveva dato una stella non ci potevamo credereโ.
Nel 1990 Uliassi vara โuna capanna messa assieme con lo stuccoโ, nel 1993 un giovane che sarebbe diventato un grande cuoco, invece, lascia lโItalia. ร Antonio Guida โ oggi Tre Forchette al Seta di Milano โ e sbarca a Zurigo, per cucinare da โOrsini โ Ristorante Cucina Italianaโ. โHo fatto lโopposto di quello che consiglio oggi ai giovani โ sorride Guida โ dico loro di formarsi nel nostro Paese, conoscere le nostre cucine, poi andare allโestero e infine tornare; io invece ho cominciato da fuoriโ. E la cucina italiana vista da Zurigo ha lโaspetto del tris di pasta: โEra il piatto piรน richiesto in assoluto: un piatto tripartito con tagliolini al pomodoro, agnolotti di borragine e ricotta, ravioloni di carne con panna e formaggio. Faceva il tricolore, era vendutissimo, ma a me non piaceva: i tre gusti non legavanoโ. Guida ancora ha il menu di quellโanno in cui cโรจ una cucina italiana garbata, per il pubblico internazionale: carpaccio piemontese, insalata dโindivia con scampi allโolio extra vergine, minestrone alla paesana, pasta e fagioli alla veneta, zuppa pavese, crema di pomodoro e basilico, piccola marmitta di coda di bue, taglierini al pesto, spaghetti allโarrabbiata, tortellini di pesce con astice e gamberoni, raviolo aperto al ragรน di rombo, filetto di sogliola ai carciofi freschi, costoletta di vitello alla milanese, zuppa inglese. โZurigo รจ stata formativa: lร ho visto quello che avevo studiato a scuola, le grandi cucine, le grandi brigate, la gerarchia… In questo gli svizzeri sono imbattibiliโ. Poi Guida si fa tre anni da Pierre Gagnaire โ di cui ricorda ancora lo scampo in tempura con foglie di verdura disidratate โ e, proprio alla fine del millennio, torna in Italia. Ma non in un posto qualsiasi: nel 1999 approda allโEnoteca Pinchiorri. โFacevamo i grandi piatti che hanno reso grande lโenoteca, i pici con le briciole, il rombo col fegato grasso, il piccione con i fagioliโ: Guida ancora conserva i menu di allora con gli appunti per la perfetta esecuzione, รจ un diletto scorrerli anche perchรฉ sono un simbolo di quel decennio.
Siamo arrivati fin qui senza parlare dell’elefante nella stanza. Anche perchรฉ nel 1990 l’elefante non c’era: Internet era roba da smanettoni, i social non esistevano, coi telefonini a malapena si riusciva a telefonare se estraevi bene l’antenna. Sembra incredibile ma sรฌ, c’รจ stata un’era in cui non prenotavamo con The Fork ma telefonavamo, non ordinavamo con Deliveroo ma veniva il ragazzo di Pizza Speedy, non facevamo freddare la pasta cercando l’angolatura perfetta per fotografarla e, soprattutto, non correvamo a postare su Instgram per fare i fenomeni e su TripAdvisor per fare i rompicoglioni. I social hanno avuto due effetti molto negativi e uno molto positivo sulla ristorazione: dunque questi tre fenomeni vanno letti al contrario parlando di trent’anni fa. Il primo effetto molto negativo รจ stato lo spingere i cuochi a concentrarsi troppo sull’estetica per rendere le ricette fotogeniche e in generale i ristoratori a occuparsi troppo della reputazione a discapito della sostanza. Ci sono piatti che ormai sono come certe Miss: bellissimi ma appena aprono bocca non sanno (di) niente. Il secondo effetto negativo รจ stato trasformare i clienti in giudici a tempo pieno (che poi era lo scopo originario e becero di Facebook: dare i voti alle ragazze). Quello molto positivo รจ: la circolazione della conoscenza. Dunque, ribaltando la questione, negli anni Novanta c’era una cucina piรน volta al buono che al bello e i clienti erano piรน rilassati e si sedevano a tavola per godersi la serata senza interrogarsi con aria accigliata di che tipo di shiso fosse fatta la decorazione. Al contrario, ottenere informazioni sulla cucina, sui ristoranti, era molto piรน difficile e bisognava ricorrere a strumenti ad hoc come le buone, vecchie guide gastronomiche: non per nulla le guide del Gambero Rosso e Osterie d’Italia nascono proprio in quel decennio e negli anni โ90 tutte le pubblicazioni di settore vendevano dieci volte quel che vendono oggi.
Ora sarebbe davvero interessante una dissertazione su vantaggi e svantaggi di un sistema fondato sulle competenze rispetto a uno basato sulla condivisione tra pari; ma francamente รจ troppo finanche per noi. Ci limiteremo dunque a parafrasare Raf: “cosa resterร di questi anni Novanta?” Qualcosa sta tornando โ una cucina piรน semplice, meno estetizzante, meno sfidante, la tavola come convivialitร , lโimportanza della sala โ ma temiamo ci siano ingredienti persi se non per sempre, per molto. Il piรน prezioso? L’entusiasmo di quegli anni. L’entusiasmo uno non se lo puรฒ dare. O forse sรฌ?
a cura di Luca Iaccarino
disegni di Marcello Crescenzi
Articolo uscito nel numero di giugno 2019 del Gambero Rosso.ย Il numero lo potete trovare in edicola o in versione digitale, su App Store o Play Store
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