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La spaventosa mensa di Alcatraz che non si potrà più visitare per colpa di Trump

Viaggio nel posto più pericoloso dell'isola, dove i soffitti erano tappezzati di valvole bianche e i detenuti come Al Capone mangiavano con coltelli veri

  • 05 Maggio, 2025

Non era una mensa come tante altre. Era il posto più pericoloso dell’isola. I soffitti erano tappezzati di valvole bianche collegate a una lunga schiera di tubi ingrigiti dal tempo. Un labirinto pronto ad azionarsi in caso di estrema necessità. Lì sotto centinaia di teste ogni giorno si sedevano su vecchie panche di ferro, fredde e scomode, appoggiando i gomiti su altrettanti vecchi tavoli in legno sbiadito. In quella sala fatiscente i detenuti di Alcatraz, il temutissimo carcere di massima sicurezza che ha definito l’immaginario collettivo dei sistemi di detenzione e che Donald Trump ha ordinato di riaprire, consumavano colazione, pranzo e cena sotto l’occhio attento della polizia carceraria. Paradossalmente quella sala era ritenuta the most dangerous place on the rock, il luogo più pericoloso dello sperone di roccia a due chilometri da San Francisco. E Alcatraz, attiva dal 1934 al 1963, era considerata la prigione dove si mangiava meglio negli Stati Uniti.

Un alveare di contenimento

Ogni anno migliaia di turisti si imbarcano con i traghetti di linea per visitare questo carcere iconico, per provare a capire da vicino le sue condizioni iper restrittive da cui era quasi impossibile evadere. Certo è che con la sua eventuale riapertura non sarà più possibile arrivarci. Ancora oggi decine e decine di celle si affastellano una sopra all’altra creando un alveare incredibile, due bracci di due piani ciascuno in cui è diviso il carcere. Soffocante. In una delle minuscole stanze protette dalle sbarre ha vissuto anche Alphonse Gabriel Capone, più noto semplicemente come Al Capone, o Scarface, che passò lì cinque anni. Il mitologico gangster Mickey Cohen, che imperversò nella Chicago degli anni del Proibizionismo. E non meno importanti Frank Morris e i fratelli Anglin, i tre detenuti protagonisti della famosa fuga registrata nel 1962, che rimane uno degli eventi più clamorosi accaduti sull’isola dell’Oceano Pacifico. Evasione immortalata prima nel libro Escape from Alcatraz di J. Campbell Bruce, e poi dall’iconico film diretto e prodotto da Don Siegel con Clint Eastwood, Fuga da Alcatraz.

La pericolosissima mensa di Alcatraz

Molti spazi, quasi tutti angusti. Per non parlare delle celle di massima sicurezza che rievocano ancora oggi l’effetto soffocante di allora. Ma il posto più iconico di Alcatraz rimane indiscutibilmente la mensa. E paradossalmente anche il più pericoloso. Una sala quadrata, grande una trentina di metri per lato, una parete interamente ricoperta di uno spessissimo vetro-mattone da cui filtra moltissima luce, quasi difficile da immaginare in un luogo che ci si aspetta tetro e tendenzialmente brutto. Pareti bianche, soffitto coperto con una tinta verde pastello. Ogni giorno ci mangiavano 250 persone accalcate in tavoli da sei o da quattro posti. Tre pasti: il primo alle 6.50 del mattino, il secondo alle 11.20 e il terzo, la cena, alle 16.25.

A guardarla sembra “solo” una sala di una vecchia fabbrica in disuso, niente di più. Degli arredi rimane poco o nulla, dietro elle fitte sbarre bianche, in parte arrugginite, si intravede quella che una volta era la cucina. Lo sguardo si fissa nel vuoto mentre l’audioguida spiega dove venivano preparate le pietanze, riposte le pentole, e gli orari dei pasti. Ci si ferma lì in silenzio a immaginare momenti di vita, scene fittizie, minuto dopo minuto: uomini possenti in divisa a guardia di ogni lato della sala, i detenuti con la pelle mangiata dagli anni in fila per prendere la sbobba quotidiana, altri uomini con in mano mestoli giganti che fanno lavorare i bicipiti per assegnare le porzioni.

Con forchette e coltelli

Ma è quando la voce semi-elettronica della guida pronuncia la parola “coltelli” che si rimane increduli. Negli anni in cui la prigione è stata attiva, le posate non erano di plastica, ma di metallo: coltelli e forchette finivano nelle mani di alcuni dei più famigerati e pericolosi detenuti della storia, mafiosi, serial killer, stupratori. Anche per questo, nella sala erano previste le infrastrutture di sicurezza più importanti di altre zone della prigione. Sul soffitto ancora oggi sono visibili dei piccoli bocchettoni corredati da vecchie tubature. In caso di rivolte – dicevamo dei coltelli – la sala poteva essere inondata di gas, non con l’intento di uccidere i detenuti ma “solo” allo scopo di fargli perdere i sensi, in modo da poter riportare la calma in sala. Un metodo però che non c’è mai stato bisogno di utilizzato, ripete la stesa voce metallica dell’audioguida.

Würstel fritti e spaghetti italiani

La mensa era un mondo a parte, qui i detenuti potevano parlare tra loro, era l’unico momento vero di socialità. E, stando alle cronache, non si mangiava neppure male.  Secondo American Prisons, l’Enciclopedia delle prigioni americane pubblicata nel 1996 da Marilyn McShane e Frank Williams, il menu ruotava settimanalmente. I cuochi preparavano spesso il Mulligatawny, zuppa di origine indiana a base di pollo o montone, cipolla fritta e spezie, o la bistecca di manzo fritta con patate arrosto. E ancora: spaghetti “all’italiana”, corn dogs, i tradizionali würstel fritti e pastellati, insalata di formaggio, chili con carne, oltre alla torta alle more, al budino alla frutta e alla torta al cioccolato.

Nella Alcatraz Dining Room si arrivava dal braccio carcerario passando per un breve corridoio ironicamente chiamato Times Square, per il grande orologio appeso sopra la porta. Ogni pasto durava massimo trenta minuti, per un’ora e mezza al giorno totale a detenuto. In alto si può leggere ancora quello che i reclusi hanno mangiato a colazione la mattina del 21 marzo del 1963, giorno in cui il carcere venne chiuso. L’ultimo pasto prevedeva cereali assortiti, grano integrale, un uovo strapazzato, due bicchieri di latte fresco, frutta cotta, pane tostato, burro e caffè. E per tutta la sua attiva, la mensa aveva un’unica regola legata al cibo: non lasciare avanzi.

Foto di Sonia Ricci

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