โCi racconti la tua ultima volta al ristorante?โ.
Lo abbiamo chiesto cosรฌ, senza tanti giri di parole, a chi mangia fuori non solo per piacere, ma anche per lavoro. Gente che macina centinaia di ristoranti l’anno nei cinque continenti e che si รจ trovata, d’un tratto, a muoversi in uno scenario bruscamente cambiato: serrande abbassate, spostamenti vietati, socialitร azzerata, orizzonti chiusi. Niente menu da provare o piatti da valutare. Ne sono nate nuove abitudini: deschi domestici, grandi (o piccole) prove ai fornelli, al massimo qualche delivery d’autore. Ci sono mali minori, si dirร . Ma questo non toglie che l’ultima esperienza in un ristorante sia rimasta impressa nella memoria, anche emotiva, di molti. Per quel che rappresenta, per quell’ultimo frammento di una normalitร che pare destinata a rintanarsi nella memoria dei tempi andati.
A rileggerla oggi, con quel misto di stupore e nostalgia del senno di poi, vediamo quanta spavalderia c’era su quelle tavole imbandite, con quanta pervicacia si alzavano i calici, quasi a sfidare una minaccia al nostro stile di vita oltre che alla nostra vita tout court, certi che โno, non possono mica vietare tuttoโ, come poi รจ stato. Quanta ostinazione e incoscienza nella prenotazione a oltranza, ancora e ancora, fino all’ultimo giorno possibile, subito prima che tutto precipitasse verso un presente distopico mai neanche immaginato. Erano meno di due mesi fa, ma eravamo diversi, abitanti di quel mondo di prima che qualcuno potrebbe chiamare a.C. – ante Covid-19.
Per questo abbiamo chiesto a giornalisti, critici, narratori del cibo di raccontarcela, quell’ultima volta, e anche di dirci la loro prima destinazione – โdopoโ – non appena si potrร tornare a mangiare fuori… come prima? Chissร .
Abbiamo festeggiato il compleanno di un’amica da Casa Merlรฒ. ร stata una serata chiassosa e divertente, dove abbiamo mangiato i “classici” del ristorante: le ruote alla vodka, il poldino (hamburger fatto di ripieno dei tortellini), un’epica cotoletta impanata con i grissini. Il giorno dopo siamo andate dai ragazzi de Il Giglio a Lucca. Era da un po’ che volevamo provare la loro cucina e abbiamo approfittato dell’occasione – era il venerdรฌ prima del lockdown. C’era giร tanta paura di andare al ristorante, i locali si stavano svuotando in tutta Italia, il turismo era praticamente scomparso e noi avevamo la sala esclusivamente per noi. Tutto perfetto lo stesso: dal patรฉ di fegatini pan brioche e lamponi fino al dolce con cioccolato biondo, che ci provoca salivazione giร mentre stiamo scrivendo. Dopo una degustazione di 5 piatti a soli 60 euro, con la pancia piena, abbiamo fatto un rapido pit stop anche alla Gigliola, il loro nuovo concept piรน low cost, dove abbiamo continuato a bere vini naturali e a spizzicare fino all’aperitivo. Non avevamo idea di cosa ci aspettasse, le notizie sul virus erano ancora confuse e frammentate. Ma se avessimo dovuto immaginare una ventiquattrore di cibo “aprรจs nous le dรฉluge”, non avremmo potuto pensarne una migliore.
Parto dalla fine, o dal futuro, quando saremo liberi non so ancora dove andrรฒ, sono tante le cene e i pranzi lasciati in sospeso, ma so per certo cosa vorrรฒ: una montagna di agnolotti del plin al sugo d’arrosto.
La mia ultima volta al ristorante risale esattamente a una cena del 7 marzo, da lรฌ a poche ore Milano sarebbe stata sigillata e non sapevo se partire o meno, alla fine sono restato. Ero nell’Hub di Identitร Golose per una serata a tema pizza con tre dei piรน apprezzati pizzaioli italiani, Renato Bosco, Simone Padoan e Franco Pepe (non presente fisicamente ma solo con le sue pizze, ndr). A corredo fiumi di Champagne Ruinart Rosรจ. Posso dunque dire di aver avuto una “ultima cena” tutto sommato di soddisfazione… e tra montagne e fiumi, che siano metafore o meno, spero di poter riprendere presto a viaggiare e mangiare in giro per il mondo, per me la normalitร .
La mia ultima cena pre Covid si รจ svolta in quel meraviglioso ristorante che รจ il Seta al Mandarin Oriental di Milano. Grandi pietanze accompagnate da un grandissimo Bordeaux, accuditi da un trio dโeccezione (Guida, dellโOmarino e Di Lena). Sento tante ipotesi in giro di cosa ci riserverร il futuro, in particolare nel nostro ambito, la ristorazione. Io non credo a un ritorno al confortevole, al certo, al comodo e al tradizionale. Io credo invece che lโesperienza al ristorante sarร ancora piรน esclusiva di oggi, magari mutuando modelli sostenibili con le condizioni attuali, applicando i turni multipli, non costringendoci a tavola per 4 ore. Lโalta cucina si rinnoverร , ma sopravviverร .
E il primo ristorante che visiterรฒ, per rompere lโincantesimo, sarร lโultimo che ho visitato.
Non mi rendevo conto di ciรฒ che stava per accadere, tant’รจ che mi trovavo a Bologna, ben lontana dalla mia abitazione torinese, in trasferta per provare pasticcerie. Che si fa in overdose di zucchero e lievito? Ci si butta sulla cucina tipica emiliana, ricca in sapiditร e umami. Ho prenotato al Caminetto d’oro, che vergognosamente non avevo ancora provato, per finire al loro bistrot “Twinside”, la tradizione rivisitata dominante, per sbaglio. Il “Ramen in Emilia”, con tagliolini all’uovo fatti in casa in brodo di pollo, zenzero e soia, uovo barzotto, funghi e verdure croccanti, รจ il mio ultimo piatto consumato in pubblico, la mortadella dell’eccellente macelleria Zivieri e un Aglianico in anfora ad accompagnare. Non ne ho mai scritto, poche ore dopo parlare di ristoranti da provare sarebbe stato ridicolo.
Negli sfortunati giorni del “Milano non si Ferma” ho cenato insieme a un gruppo di amici da Ciotto, un ristorante di quartiere aperto pochi mesi fa nella zona di Porta Venezia. Ancora ingenui, nonostante quanto stesse succedendo sotto ai nostri occhi, abbiamo passato una serata a condividere piatti e bicchieri ignorando l’argomento del momento. Un comportamento discutibile, ma lo sarebbe anche dimenticarci che oltre riempirci la pancia, i ristoranti nutrono le relazioni.
Quando riapriranno, andate nei posti che amate piรน che nei posti in cui sareste voluti andare, รจ da lรฌ che ricominceremo.
Me lo ricordo bene, ultima uscita: a Napoli per una cena di Enrico Bartolini da DโAngelo, poi il giorno dopo, visto che il treno che mi riportava a Roma era alle 14,30, un salto da Mimรฌ alla Ferrovia. Un locale storico che conosco da oltre 30 anni, ma erano anche tanti anni che non andavo. Ho conosciuto e ho apprezzato la nuova generazione. Poi in veritร a Roma, nei giorni successivi, prima che chiudesse, un paio di volte (ed eravamo giร in semi-lockdown) le ottime pizze (piccole e leggere) di Amerina del bravo Paolo che ho proprio di fronte a casa. Lui รจ proprio sfortunato, aveva aperto da poco e proprio nella fase di lancio ha dovuto richiudere!
Lโultima volta รจ stata delirante, era la sera del 6 marzo, quella della grande fuga da Milano nei treni. Cโera giร un clima da rompete le righe, io ho utilizzato lโunica sera disponibile tra la mia quarantena di 15 giorni per una mia visita professionale a Codogno il 21 febbraio e il lockdown. Con unโex fidanzata da Fingerโs Garden. Sushi di alta qualitร , tutti i pochi clienti radunati in una piccola area del locale quasi a fare gruppo e testimonianza (a ripensarci…). Quasi una cena da reduci ante litteram, struggente, assurda, buonissima perรฒ. Tornerรฒ lร la prima sera in cui saremo liberi.
Il 4 marzo, a cinque giorni dal lockdown, sono stata a mangiare da Acquolina, a Roma. Non ci tornavo dai tempi di Giulio Terrinoni. Mi hanno conquistato tutti i giovani dello staff: bravi, professionali, pieni di voglia di fare e di talento da raccontare. Sono rimasta colpita dalla cucina di Daniele Lippi: tecnica, divertente, ludica a tratti e tridimensionale nei sapori, sempre ben calibrati e distinti. Certo, fa impressione pensare a quella bella serata e immaginare ora sedie e tavoli vuoti, clienti chiusi in casa e le paure per un futuro incerto, che aumentano. Per loro, come per tutto il mondo della ristorazione. Ma รจ proprio dalla voglia di lavorare e dal talento che potremo prima o poi ripartire.
Da dove? La mia scelta personale sarร il Tram Tram della famiglia Di Vittorio, adorabile trattoria di cucina siculo/pugliese/romana di San Lorenzo. Perchรฉ รจ stata per me una casa e da casa ripartirรฒ.
Per fatalitร , il mio ultimo ricordo di vita sociale, di una lunga, terapeutica e corroborante seduta al ristorante, รจ stata da Pascucci al Porticciolo. Una di quelle volte memorabili che ad ogni piatto fai il pieno di stupore, di gusti che non sai, combinazioni sorprendenti, indagini sul mare di una profonditร mai sperimentata prima. Di piatti carichi di gusto, di sostanza, di una loro peculiare levitร , di viaggi intorno al mondo con quattro ingredienti. Anzi due, come lo stupefacente Prosciutto di tonno, con la sua bottarga e lardo di Villa Maiella. O il Risotto al tรจ bancha, burro, alici e uova di salmone. Le avventurose traversate di Pascucci intorno al mondo, o cacciando il naso appena fuori dalla porta, portando dentro un capolavoro che ne vale due come lo Spaghettino ai calamari. Una cucina solida, della robustezza di un professionista che sa il fatto suo (un autodidatta!) e della sua propria schietta umanitร . Accento alto-laziale, amico di Gabriele Bonci e di Roberto Liberati (e fosse solo per questo, ti vien voglia di fartelo pure amico tuo). E poi Vanessa, signora di sala, garbo dโantan, passo veloce, capelli raccolti, sorriso pieno. Capace di cogliere al volo le minuzie che accadono in una sala affollata. Piaceri dโepoca ante-proibizionismo. Qualche settimana fa, quando eravamo fuori dalle gabbie a godercela quel tanto che รจ concesso agli esseri umani nelle pause fra un accidenti e lโaltro.
Dove andare quando si potrร ? Sincera? Ho un immenso desiderio di tornare da lui, stessa identica formazione. ร un ricordo cosรฌ caldo e buono, che mi sembra una fortuna immensa averlo in dispensa. Me ne sono beata per tutto questo tempo. E sarebbe un’espressione di gratitudine ritornarci. Oltre che un gran godimento.
Lโultimo pasto prima del lockdown in una Venezia da Thomas Mann: luminosa, deserta, surreale, irreale. Pranzo in famiglia da Amo pieno di colori e profumi, poi tutti sul tetto ad ammirare la cittร piรน magica del mondo immobile come in una favola.
Sul primo pranzo quando saremo liberi, non ho dubbi: in un lido in Liguria. Acciughe, sole, mare, pigato e libertร .
Qualche giorno prima che scoppiasse lโApocalisse, in una delle zone che รจ stata piรน colpita dal Covid, il bresciano. In unโatmosfera ovattata; qualcosa stava per succedere, ma si pensava, si sperava in realtร , che fosse un allarme eccessivo. Ho cenato a Gussago, da Dina, casa di Alberto Gipponi, per la prima volta. Uno di quei, rari, cuochi unici, con unโidentitร forte, che ti porta nel piatto cose che ti fanno storcere il naso, tenderesti a rifiutare, ma che allโassaggio risultano coinvolgenti, a volte travolgenti, come le eliche, piรน che al dente, con soia, wasabi e miele. Ma soprattutto aver conosciuto una persona di grande empatia, anche con il territorio che lo circonda. Mi sono ripromesso di tornarci alla ripresa, anche per fare un giro di suoi colleghi, giร accennato in quei giorni giร sospesi.
Pochi giorni prima del blocco la mia ultima cena fuori: aperitivo con gin tonic da Legs prima di sedersi a tavola da Menabรฒ. Sempre a Roma. La sorpresa, dopo tempo che mancavo, di trovare sapori e piatti definiti con gentilezza, nulla di mellifluo ma una calibrata concretezza. Sgombro bruciato, animelle, fegatini nella rete con cipolla rossa a corroborare la dolcezza, polpo in zimino per le linguine. Coralitร fra piatti e servizio, in unโaccoglienza condita da cordialitร , senza invadenza. Una serata fra piatti condivisi e bottiglie godute nelle chiacchiere.
La prima volta fuori la immagino al mare, per godere gli spazi e la brezza salmastra, per vedere finalmente il cielo che sconfina il suo orizzonte nel blu e non si ferma nei palazzi della cittร . Potrebbe essere da Romolo al porto, ad Anzio, dove sarei dovuta andare se non fossero subentrate le restrizioni o a La Baia da Benny dove avrei visto la primavera arrivare sulla spiaggia. In ogni caso saranno piatti di pesce crudo, luoghi conosciuti dove stare bene fra tavola e aria aperta. Vorrei fosse la sensazione del sole e del vento sul viso lโingrediente principale.
Il menรน รจ ancora lรฌ, sulla scrivania. La carta dellโImago allโHotel Hassler di Roma, chef Andrea Antonini. Che superba serata venerdรฌ 6 marzo, in una sala in fondo piena, al sesto piano di un albergo pressochรฉ vuoto come mai รจ stato. Ancora non avevo ancora idea precisa su cosa sarebbe accaduto di lรฌ a pochi giorni. Ero pronto a scriverne ma, chiusa prima Milano e poi lโItalia, come potevo? E quando lโImago riaprirร , che senso avrร un articolo riferito a un cena pre-quarantena? Ne avrร ben poco. Dovremo ripartire da zero anche noi critici, iniziare un nuovo archivio di appunti, foto e menรน.
Il mio ultimo pranzo al ristorante รจ stato il 6 marzo da Retrobottega in una Roma semi deserta, senza turisti. Anche il locale era poco frequentato, solo la sera avevano tutto prenotato. Alessandro Miocchi e Giuseppe Lo Iudice iniziavano a pensare a come affrontare il possibile lockdown nazionale (non a caso hanno continuato a vendere la pasta fresca e son stati tra i primi a organizzare il delivery di prodotti freschi e di loro produzione). ร stato un pranzo molto rilassante, malgrado fosse di lavoro, i piatti erano ben fatti: risotto dal chicco integro, omogeneo e ben equilibrato, con paprika e vermouth, e sogliola alla mugnaia, molto delicata, con il retrogusto del limone candito accompagnata con erbe di campo ripassate.
Alla ripresa andrรฒ in pizzeria, da 180 grammi: mi manca tantissimo la pizza e il 9 marzo avevo una prenotazione con Isinelli che รจ saltata perchรฉ Jacopo (Mercuro, ndr) aveva ridotto il numero dei coperti e dilatato gli orari di prenotazione, e mi aveva chiesto se potevo rimandare perchรฉ temeva assembramentiโฆ
Ho posato la forchetta a Brusaporto, dove presto il dramma sarebbe deflagrato. Lโatmosfera era di festa e direi perfino popolare: una connessione sentimentale fra un tre stelle e la sua cittร , che sarebbe proseguita nellโimpegno dei fratelli Cerea (Da Vittorio, ndr) presso lโospedale allestito in Fiera.
Non รจ importante dove la riprenderรฒ, spero che accada prima possibile nei tanti ristoranti di Bologna che andranno aiutati a ripartire. E attendo con ansia il nuovo Lab di Mauro Uliassi, perchรฉ allora saremo davvero tornati alla normalitร e alla celebrazione piena della vita, che da sempre contraddistingue il ristorante. La spiaggia, il sole, lโamicizia.
Il bello della diretta, a tavola. Cosรฌ รจ stato per me lโannuncio, di sabato sera il 7 marzo, della zona rossa estesa a tutto Italia. Diventata cosรฌ surreale una cena a Borgo San Jacopo, una stella Michelin a Firenze. Eravamo lรฌ per la presentazione dei Parmigiano stagionato 40 mesi da parte del Consorzio. Confermata nonostante la cancellazione di Taste. Ma arrivano i segnali-Cassandra: una collega con fidanzato di Lodi, il buco nero del contagio. E cambio sala, quindi mancata vista su Ponte Vecchio, perchรฉ la cena a due metri di distanza tra i commensali ha imposto un maxi tavolo. Al risotto 40 mesi in riduzione al Barolo e nocciole di Claudio Mengoni lโannuncio di Conte. Potevamo rimanere lรฌ in quarantena, o trovare il modo di tornare a casa.
Quando tutto finirร voglio certezze: il polpo verace e i bianchetti di Chinappi, antipasto cult tra Formia e Gaeta, e poi pizza scrocchiarella.
In una Sorrento silente, crepuscolare, senza stranieri, ma con i bar ancora pieni di italiani, ho avuto il piacere di cenare al Buco di Peppe Aversa. Un ristorante che amo molto, che ha segnato la rinascita gastronomica della cittadina costiera, e che ha sempre avuto al centro dell’attenzione il benessere del cliente. Ero anche il primo visitatore dei nuovi spazi, una bella cantina per una carta enciclopedica e ricca di memorie. Il coronavirus girava ufficialmente giร da dieci giorni in Italia, ma non c’era consapevolezza della gravita del problema. Dove andrรฒ per la prima volta appena sarร possibile? Ma al Buco naturalmente, per ripartire lร dove eravamo rimasti (cit.).
Vorrei segnalare questa mia ultima volta al ristorante, diversa dalle solite frequentazioni inserite in un contesto piรน “lavorativo”. Visto il susseguirsi degli eventi mi piace ricordarla perchรฉ vissuta in compagnia di 4 amici: Roberto, Francesca, Laura, Margherita. Tutti insieme seduti a un tavolo rotondo circondati da altri tavoli e conoscenti che nel corso della serata abbiamo salutato. Un locale ampio che accoglieva parecchie persone… un contesto che purtroppo non riesco a immaginare nuovamente in un futuro prossimo, per questo ci tenevo a raccontarlo. Il locale era S’Incontru (L’incontro) a Cagliari, e ricordo tra i vari piatti di sushi e sashimi, un particolarissimo Uramaki Beef & Truffle, davvero squisito.
La prima esperienza che farรฒ alla riapertura dei ristoranti, se ancora non sarร possibile viaggiare, sarร una visita agli amici Luigi Pomata nel suo ristorante appena ristrutturato e Pierluigi Fais di Josto. La prima visita fuori dalla Sardegna, appena mi sarร consentito, vorrei farla a Massimo Bottura. Sembra banale, ma ha un senso: tanti anni fa, in quel ristorante iniziarono tante cose per Reporter Gourmet, e vorrei viverlo come un nuovo inizio per il futuro del comparto e di Reporter Gourmet.
La mia ultima cena al ristorante รจ stata da Zia, a Roma, il giorno prima dell’annuncio del lockdown in Lombardia che avrebbe preceduto di poco quello del resto d’Italia. Con il senno di poi questa vacanza romana รจ stata ovviamente un azzardo, ma ero amareggiata dall’aver dovuto cancellare un viaggio di lavoro cui tenevo molto e quindi ho pensato che un weekend romano con compagno e figlia fosse un bel premio di consolazione. Invece salendo sul treno da Milano semivuoto, dove i pochi viaggiatori indossavano la mascherina e facevano un impiego compulsivo del gel igienizzante (mentre io ero con Emilia, che ha poco piรน di un anno e mezzo e a cui non รจ facile inculcare il rispetto delle norme di sicurezza), mi sono resa conto che la sensazione di sciagura imminente non mi avrebbe abbandonato, e che questo tipo specifico di ansia non sarebbe stato curato – come in genere invece avviene – dalla primavera anticipata di Roma e dall’overdose di carboidrati che faccio ogni volta che arrivo in cittร .
Da Zia siamo stati io e Paolo, lasciando Emilia alla babysitter, cosa che per noi รจ in genere un’occasione molto festosa, ma ormai il clima si era guastato, entrambi incupiti e preoccupati; io ho finito per bere troppo, nel tentativo di riacciuffare una spensieratezza che continuava ad eludermi. Il ristorante era pieno per metร , i tavoli distanziati – un vezzo da stellato vecchio stampo, pur essendo un ristorante molto giovane – aumentavano il mio senso di disagio: realizzo ora che ero ancora in una fase di rifiuto, vedere un locale stipato mi dava la sensazione che il rischio non fosse reale (anche se ovviamente รจ esattamente il contrario). A dispetto di tutto questo, la cena mi รจ piaciuta enormemente, l’ho trovato eccezionale. Ci voglio tornare presto con un altro spirito, non appena si potrร .
E poi, non appena i ristoranti potranno riaprire vorrei andare a mangiare di fronte al mare (va bene anche il lago se รจ il Lido84).
La mia ultima volta al ristorante รจ di due giorni prima del lockdown. Devo dirti che non ero molto convinta di uscire, mio marito ha insistito parecchio e ha prenotato lui. Siamo andati da Alberto Buratti al Koinรจ di Legnano, un ristorante a cui siamo affezionati, vicino a casa. Ci siamo stupiti di trovarlo pieno, erano comunque giorni giร complessi. ร stata una serata molto molto piacevole, abbiamo mangiato molto bene e bevuto altrettanto bene, e ci siamo ripromessi di tornarci piรน spesso. La mia professione mi porta(va) costantemente lontana e i luoghi vicino a casa erano spesso sacrificati. Alberto รจ un cuoco molto in gamba e quella sera ho pensato che avrei voluto andare da lui piรน spesso.
Non so ancora dove andrรฒ alla riapertura: spero solo che sia presto, e che i ristoranti non siano troppo diversi dallโesperienza a cui eravamo abituati.
Intorno cโรจ solo natura e nellโaria si respira odore dei boschi della valle di Vipava. La mia ultima cena prima del lockdown รจ stata a Pri Lojzetu dello sloveno Tomaลพ Kav?ic: la cucina creativa e sentimentale di uno degli chef piรน interessanti dei Balcani, innaffiata dai vini naturali del Collio, in uno dei castelli piรน affascinanti della zona, quello di Zemono. Il branzino cotto su una piastra di sale di Pirano รจ indimenticabile.
La prossima quando si riaprirร ? Da Glicine, spero, per degustare la cucina di Peppe Stanzione ascoltando il rumore del mare nella baia di Amalfi dalla terrazza dellโhotel Santa Caterina.
Ikoyi a Londra, nell’immaginario, rappresenta la libertร di movimento, di assaggio, carburante della piรน accesa curiositร di gola. Stravolgente. Il fatto che sia stato l’ultimo ristorante in cui mi sono seduta prima del lockdown aumenta il senso di apatia nel restare murati vivi a casa. La nostalgia richiama alla memoria l’atmosfera inusuale per un ristorante stellato: friendly, rumoroso e con un menรน fuori dai canoni precostituiti. Lo chef Jeremy Chan, e il suo socio Irรฉ Hassan, hanno avuto il coraggio di proporre piatti che riprendono la cucina dell’Africa sub-Sahariana. Un unicum nel suo genere. L’effetto wow arriva con il platano fritto, spezie esplosive ed eleganza ottica oltremisura.
Dove andrรฒ alla riapertura? Inkiostro di Terry Giacomello a Parma.
Ultima cena la sera prima del blocco totale, lunedรฌ 9 marzo, cena in un ristorante di cucina giapponese a Prato, Il Moi Omakase: 6 persone, ma il massimo sarebbe stato comunque di 15 coperti serviti. Esperienza che oggi mi ricordo quasi commovente, un pasto ritmato dalle portate raccontate una per una, con la notizia del blocco che arriva durante la cena e la consapevolezza che sarebbe stata davvero lโultima possibilitร di uscire per molto tempo. Il saluto al titolare e ai commensali presenti, alla fine, รจ stato particolarmente sentito, non affettuoso perchรฉ giร toccarsi era vietato. Rimangono gesti, le persone, i profumi oltre ai sapori.
Poi nella ripartenza, la voglia รจ di tornare in campagna, magari a Stia al ristorante Falterona, da giovani entusiasti dove ho invece fatto lโultimo pranzo.
Il mio ultimo pranzo fuori รจ stato il 2 di marzo, giorno che ero stata in ospedale per degli accertamenti con i miei genitori. Sulla via del rientro ci siamo fermati a Rivoli (To) da M**Bun, lo slow fast food torinese aperto dieci anni fa, per mangiare insieme i nostri piatti della tradizione preferiti di questo luogo: la Piemunteisa (carne cruda di Fassone), lo Spatuss (Hamburger di pollo ruspante), gli agnolotti ai tre arrosti e le Friciulร (patate fritte fresche). Abbiamo in qualche modo festeggiato un pranzo di nuovo insieme al ristorante dopo piรน di tre mesi in cui, per motivi di salute, non era stato possibile.
La mia prima gita fuori porta quando tutto questo incubo sarร finito sarร invece a Caporetto da Hiลกa Franko: voglio tornare alla tavola di Ana Roลก e godermi i suoi piatti, la loro straordinaria accoglienza e la serenitร di quel luogo; in cittร sogno invece di tornare Al Gatto Nero, storico locale di Torino che prepara degli straordinari Spaghetti alla Peppino Fiorelli (in carta dal 1957) e il Ricchi e Poveri: le code di gamberi con i fagioli cannellini.
Tecnicamente la mia “ultima cena” รจ stata quella come ospite dello chef Niko Sinisgalli e sua moglie Maria al ristorante Tazio di Roma, in un locale giร quasi del tutto vuoto ma ancora perfettamente operativo. La sera prima, invece, ci eravamo riuniti con alcuni amici al Divinity Terrace per festeggiare un compleanno con le buonissime pizze e i dessert di Francesco Apreda e del suo staff accompagnati dallo Champagne, secondo la formula del locale: un’ultima occasione di convivialitร , allegria e ottimo cibo.
Il regalo per la festeggiata era una cena da Pascucci al Porticciolo da “riscuotere” insieme: sarร la nostra prima uscita gastronomica appena sarร possibile!
Ricordo molto bene la mia ultima cena prima dell’inizio del lockdown. Ero nell’Hub di Identitร Golose Milano, dove lavoro sin dall’inaugurazione e dove ho avuto l’opportunitร di assaggiare i piatti di alcuni dei piรน prestigiosi chef italiani e internazionali. Era il 6 marzo e il protagonista di quella cena era…il gelato. Un tema goloso, per proporre in una dimensione di fine dining un patrimonio inestimabile del gusto italiano. A firmare il menu a otto mani c’erano tre chef di classe come Antonio Guida, Moreno Cedroni, Andrea Ribaldone e un grande gelatiere come Paolo Brunelli.
ร molto probabile che anche la prima cena a cui parteciperรฒ dopo la fine dell’isolamento forzato sarร a Identitร Golose Milano, ma il desiderio che vorrei esprimere รจ di poter tornare il prima possibile a uno dei tavoli del Lido 84 di Riccardo Camanini.
In realtร la settimana precedente il lock down mi sono regalata una doppietta, cosa rarissima per me. Forse prevedendo il peggio? No, per niente, era solo fame. Sono stata a Roma da Marzapane dove ho consumato una cena memorabile, fatta di sorprese (come il midollo al centro di una pagnotta fumante) e gentilezza, quella di Mario ed il suo staff. E poi Menabรฒ, nella bellissima periferia romana dove ho trascorso una gran bella serata insieme a mio figlio e alle mie amiche.
Dove andrรฒ appena sarร possibile uscire? Al mare senza dubbio: Benny a Fregene (La Baia, ndr) a mangiare gli spaghetti con le telline.
Lโultima volta? Da Mestรจ, a Milano. Ho scritto, piรน o meno: “Il nome รจ sbagliato, perchรฉ in vernacolo meneghino si dovrebbe scrivere โmesteeโ. Tutto il resto, perรฒ, funziona benissimo. Cucina domestica, porzioni sostanziose, prezzi umani, vini ben scelti”.
La prossima volta? Un tavolo sulla sabbia, con il mare negli occhi. E chi se ne importa di quel che si mangia.
14 coperti intorno a un bancone, si entra a musica e luci soffuse che poi esplodono nellโarco delle quattro ore in cui si articola lo Chefโs Table di una delle vere rockstar carismatiche della cucina contemporanea. La mia โultima cenaโ รจ stata da Gaggan a Bangkok, tra volume alto e bocconi dโAsia ritoccati con lโimprevedibilitร di un bambino adulto, nellโattesa di poter tornare presto a ballare sui tavoli di un grande ristorante.
Sono stato il 6 marzo da 28 Posti, sui Navigli a Milano. Marco Ambrosino sta tracciando un sentiero suo e solo suo, unโidentitร culturale forte, costruita ben prima della definizione dei piatti. Alessia e Francesco sono ragazzi di sala molto preparati e discreti (e in sottofondo cโerano gli Atoms for piece!). Facile cedere alla retorica ora ma รจ stato uno dei pasti piรน speciali degli ultimi mesi e non vedo lโora di tornare.
AllโEden, a provare la cucina di Fabio Ciervo. Eravamo alla soglia del lockdown ma non immaginavamo che quella sarebbe stata la nostra ultima cena fuori. Che cosa ricordo? Tutto, persino i profumi, lo chef orgoglioso che spiegava i piatti per filo e per segno e io che li degustavo estasiata. La consueta visita della cucina a cui sembravamo tutti abituati e che ora ci manca. Mi sembra un sogno se ora ci penso, quella cura, quel servizio che non sarร possibile replicare.
Dove andrรฒ alla fine della quarantena? Nei miei due posti del cuore: Laganร a via dellโOrso, dove รจ lโoste a fare la differenza, e la Divinity Terrace dellโhotel The Pantheon per gustare la spezial pizza di Francesco Apreda con vista sui tetti di Roma.
a cura di Antonella De santis
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