Le piattaforme digitali social come Meta e TikTok stanno cercando di correre ai ripari per limitare quei profili che, anche in modo indiretto, possono istigare comportamenti alimentari disfunzionali o spingere verso pratiche scorrette pur di raggiungere obiettivi legati alla perdita di peso. Qualche giorno fa l’hashtag #SkinnyTok su TikTok, che raccoglieva video e foto associati alla cultura della magrezza estrema, è stato bannato. A riportarlo è il New York Times. Provando oggi a digitare l’hashtag in questione, compare un avviso della piattaforma che recita: «Non sei solo» – seguito da un messaggio che invita chi sta vivendo un disagio legato all’immagine corporea, al cibo o all’attività fisica a chiedere aiuto. Il messaggio è accompagnato da un pulsante cliccabile con risorse di supporto e un numero verde italiano, 800180969, del servizio SOS Disturbi Alimentari.
Meta, invece, nei giorni scorsi, ha rimosso il profilo dell’influencer Liv Schmidt, che contava migliaia di follower. Da un’inchiesta del New York Magazine è emerso che la community “Skinni Société”, fondata dalla stessa Schmidt, ospitava anche utenti minorenni e al suo interno circolavano piani alimentari eccessivamente restrittivi, oltre a post che documentavano sintomi di malessere fisico (come vertigini o perdita di capelli) come parte di un percorso condiviso. Come riporta il Daily Mail, l’accesso alla community prevedeva una fee mensile di 20 dollari.
Segnali concreti dell’impegno crescente delle piattaforme, anche se forse non ancora sufficiente ad arginare un fenomeno complesso come la normalizzazione, spesso sottile, di pratiche dannose per la salute fisica e mentale. Pratiche che possono colpire in particolare persone vulnerabili, anche molto giovani.
Se un tempo esistevano blog dichiaratamente “pro-Ana” – nei quali l’anoressia era narrata come uno stile di vita, e persino celebrata attraverso una sorta di ritualità simbolica – oggi il fenomeno ha assunto forme più sfumate e difficili da monitorare. I social, in particolare Instagram e TikTok, ospitano contenuti che, pur senza incitare esplicitamente a disturbi alimentari, possono contribuire alla diffusione di ideali corporei estremi. Un esempio spesso citato è quello dell’influencer Eugenia Cooney, che conta oltre 730.000 follower. I suoi contenuti non promuovono in modo diretto disturbi alimentari, ma sono stati spesso percepiti come problematici per l’immagine che veicolano. Nel 2016 una petizione per rimuovere il suo profilo raccolse 18.000 firme, ma non ebbe seguito perché non risultavano violazioni delle linee guida della piattaforma. Altre influencer, come l’asiatica Baby Tingzi – nota per un video in cui mostrava la propria magrezza, dichiarando un peso di 25 kg per 1,60 di altezza – hanno attirato l’attenzione mediatica a livello globale, anche in assenza di messaggi espliciti.
Accanto a questi casi, si diffondono anche contenuti che promuovono regimi alimentari fortemente sbilanciati, spesso privi di un supporto medico o scientifico. Il fenomeno riguarda diversi filoni: da chi segue una dieta basata esclusivamente su carne rossa (i cosiddetti meat influencer – tra cui, in Italia, Marilena Sansone), a chi sceglie di nutrirsi solo di frutta o proteine, eliminando intere categorie alimentari, come i carboidrati e osannando diete iperproteiche. Nel 2023 è deceduta l’influencer Zhanna Samsonov, che per dieci anni aveva seguito un’alimentazione crudista e fruttariana, condividendo sui social ricette e aggiornamenti legati a questo stile di vita.
La crescente visibilità di questi contenuti, spesso presentati come testimonianze personali e non come consigli professionali, rende difficile distinguere ciò che è un racconto individuale da ciò che rischia di generare disinformazione. E il confine è particolarmente labile quando a fruirne sono utenti giovani o in difficoltà.
In un ecosistema digitale in cui l’esposizione è costante e la validazione passa spesso per l’immagine, diventa fondamentale interrogarsi non solo su chi crea contenuti, ma anche su chi li consuma, li commenta, li condivide. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, in Italia si stima che circa 3 milioni di persone soffrano di disturbi del comportamento alimentare, con un’incidenza in crescita tra preadolescenti e adulti over 40. Un recente rapporto del 2024 evidenzia come l’esposizione a contenuti social problematici possa rappresentare un fattore di rischio, soprattutto nei momenti di maggiore fragilità psicologica. Contrastare la diffusione di modelli alimentari distorti richiede una responsabilità condivisa: da parte delle piattaforme, dei professionisti dell’informazione, degli educatori, ma anche degli utenti stessi. Più che una battaglia contro le singole influencer, serve un lavoro collettivo per riportare al centro della narrazione il concetto di salute, equilibrio e ascolto del proprio corpo. Con uno sguardo critico, ma senza giudizio.
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