Svegliarsi ogni mattina con il pensiero delle calorie da contare, delle porzioni da ridurre, dei chilometri da correre. È l’ossessione di tante adolescenti, intrappolate in un circolo vizioso d’insoddisfazione legato al proprio corpo. Eppure, è un prigionia anche per molte donne sopra i 50 anni. Lo confermano le decine storie di donne di mezza età raccontate recentemente dal New York Times. Madri, zie e sorelle che hanno combattuto per decenni contro l’anoressia nervosa e altri disturbi alimentari senza ricevere adeguato riconoscimento. E che ora stanno finalmente rompendo il silenzio, reclamando aiuto e cure su misura.
A livello globale, circa nove persone su dieci che soffrono di anoressia sono donne, con una prevalenza che varia tra il 90% e il 95% dei casi diagnosticati. Tuttavia, per decenni, sia la società che la ricerca hanno associato queste patologie esclusivamente all’adolescenza o alla giovinezza, relegando il tutto a un problema “da ragazze”. La realtà è molto più complessa: anoressia, bulimia e binge eating possono accompagnare la vita delle donne ben l’adolescenza. Molte continuano a convivere con questi disturbi da quando sono giovani, altre li sviluppano in menopausa, quando i cambiamenti del corpo e la percezione di perdita di controllo su di esso possono riaccendere vecchie paure e ossessioni. C’è chi mangia la stessa cosa da anni, chi sviluppa una mania per lo sport e l’attività fisica. Chi addirittura adotta comportamenti alimentari disfunzionali per il desiderio di controllo in famiglia o per la paura di invecchiare.
Studi recenti della Medical University of Innsbruck in Austria indicano che tra il 2,1% e il 7,7% delle donne sopra i 40 anni presenta un disturbo alimentare diagnosticato. Una percentuale che, seppur ridotta, non è da trascurare. In Italia, la situazione è altrettanto preoccupante. Secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Istituto Superiore di Sanità, oltre 3 milioni di persone convivono con disturbi alimentari, di cui l’80% donne, e si osserva un aumento significativo delle diagnosi anche tra le fasce adulte. Il 53% delle persone in cura presso alcune associazioni specializzate ha più di 40 anni, con casi segnalati anche oltre i 60 anni.
Ma come mai, nonostante questi numeri, molte donne mature non hanno ricevuto un aiuto tempestivo? Per molte di loro, la mancanza di diagnosi precoci e trattamenti efficaci – come la terapia cognitivo comportamentale – ha segnato la loro lotta contro i disturbi alimentari. Prima degli anni ’80, infatti, le cure si limitavano spesso al ricovero con refeeding forzato, focalizzato esclusivamente sul recupero del peso ma senza un adeguato supporto psicologico. Un approccio parziale che ha lasciato molte pazienti a combattere da sole contro conseguenze fisiche gravi dovute all’anoressia, come osteoporosi e problemi cardiaci. Oggi, nonostante i progressi, i trattamenti contro i disturbi alimentari restano standardizzati. Molti programmi di cura sono ancora pensati per pazienti molto più giovani, creando un gap generazionale che può aumentare il senso di isolamento e inadeguatezza e la difficoltà di chiedere aiuto.
Ecco perché si sta aprendo la strada a nuove soluzioni. Negli Stati Uniti, organizzazioni come “Within Health ed Equip” offrono programmi virtuali con monitoraggio medico, terapie individuali e di gruppo e piani alimentari personalizzati, pensati anche per chi ha più di 30 anni e non può accedere ai tradizionali centri di cura. Parallelamente, associazioni no-profit come la “Eating Disorder Foundation” propongono gruppi di supporto gratuiti per donne over 50, creando nuovi spazi di condivisione. Il percorso di guarigione resta complesso, soprattutto per chi convive con l’anoressia da decenni . Tuttavia, non mancano storie di rinascita: donne che hanno lottato contro i disturbi alimentari per oltre 40 anni e che oggi si sono riconquistate la propri salute. Perché il rimpianto per un aiuto arrivato in ritardo non cancella il valore di migliorare la qualità della vita anche a distanza di tempo.
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