Quanto è importante la qualità della cucina all’interno di un ristorante? Tanto, ma non è tutto. E ormai non sono in pochi a pensarla così. Negli ultimi anni infatti è cresciuta la consapevolezza che il successo di un locale non possa misurarsi unicamente sull’abilità di un cuoco, sulla bontà dei piatti preparati. Mangiare bene serve a poco se il resto non è all’altezza della proposta culinaria. Ogni aspetto, compresa l’acustica del locale, oggi può influenzare la considerazione che si ha di un posto.
In quest’ottica il servizio di sala rileva tanto quanto il profilo culinario. Soprattutto in un momento in cui il ristorante non è più solo il luogo del ristoro, ma quello dell’intrattenimento o della cosiddetta esperienza. Una nuova dimensione di socialità in cui si desidera essere coccolati, per sentirsi speciali almeno una sera. Dettagli che passano dalla puntualità del servizio, dallo spessore professionale della sala o dall’empatia di un cameriere. Eppure, la prospettiva che fa dello chef l’epicentro del mondo gastronomico ignorando la visione olistica accennata non è del tutto tramontata. Se ne sta lì pronta come un totem a ricordarci che, nonostante una maggiore sensibilità al riguardo, la strada da fare è ancora tanta per riconoscere pari dignità a tutte le componenti della ristorazione. Ne sono una testimonianza le parole di Fabrizio Ievolella, CEO di Banijay Italia, compagnia che si occupa della produzione di format televisivi di successo come Masterchef e Dinner Club, che potremmo ritenere artefici del sovradimensionamento della figura dello chef. Quanto ha confermato Ievolella nel corso di un convegno.
Nelle scorse settimane si è tenuto a Roma un convegno sul concetto di lusso esplorato nel libro Luxury Food, recente pubblicazione della giornalista e docente universitaria Annalisa Cavaleri, organizzatrice dell’evento. Nel quadro sfarzoso dell’Anantara Palazzo Naiadi Rome Hotel, ai vari contributi delle più rinomate personalità del mondo enogastronomico ha fatto seguito un dibattito, acceso dall’intervento di Lorenza Vitali, presente nel pubblico e conosciuta nel settore per l’impegno nella promozione di giovani talenti attraverso i concorsi Emergente Chef ed Emergente Sala. Proprio la curatrice del progetto editoriale WItaly ha chiesto a uno degli speaker protagonisti e tra i responsabili della produzione di Masterchef, Fabrizio Ievolella, come mai finora non si sia arrivati a un format dedicato alla figura del maître, facendo peraltro notare alla moderatrice Cavaleri l’assenza sul palco di illustri rappresentanti del mondo sala. Il CEO ha risposto esponendo la sua visione, perfettamente in linea con la programmazione di Banijay, che continua a diffondere una comunicazione in cui lo chef appare come una sorta di superuomo nietzschiano. Un modello che fa del cuoco al comando un’autentica superstar e che a furia di essere divulgato ha condizionato l’immaginario comune diventando dominante.
Prospettiva che non sarebbe condivisa da chi nella ristorazione ci lavora da una vita e ha imparato a comprendere l’importanza della “catena di montaggio”. Per Francesco Cerea, general manager dei ristoranti Da Vittorio, senza un servizio di sala appassionato e disposto al sacrificio gli sforzi di chi suda ai fornelli rischiano di risultare vani. In tal senso la valorizzazione dell’offerta culinaria è sempre il risultato di uno scambio efficace fra brigate. Constatazione che nel settore è divenuta incontrovertibile, come ritiene lo stesso Cerea: «Molti miei colleghi hanno capito che la cucina da sola non basta più. Anche perché, se fuori in sala (i camerieri) non presentano come dovrebbero un piatto, c’è il rischio che quanto di buono fatto venga compromesso».
Annalisa Cavaleri e Fabrizio Ievolella @annalisaleopoldacavaleri
La risposta di Fabrizio Ievolella a chi chiede perché non sia stato ancora creato un programma sul mondo dei camerieri è chiara, non richiede particolari interpretazioni: «Non si fa per una ragione piuttosto semplice; chi sta in sala ha un grandissimo ruolo, ma giocato sul territorio in forma pratica. E non identifica chi costruisce il tipo di racconto da veicolare, ma (solo ndr) colui che lo veicola. Quindi è molto più difficile essere aspirazionali nel momento in cui si è semplicemente qualcuno che veicola il messaggio di un altro. È più facile trasformare in una figura aspirazionale chi quel pensiero lo ha creato». Insomma, soltanto il cuoco crea.
Dunque sarebbe il solo in grado di affascinare e generare trasporto emotivo nei concorrenti del talent show e negli spettatori. Pensiero che ribadisce passando a degli esempi concreti: «Noi nell’ultima edizione di Masterchef abbiamo invitato Rasmus Munk (celebre cuoco d’avanguardia ndr). Ovviamente, quando è arrivato Munk, le persone del programma si sono emozionate. Se fosse entrato invece il cameriere di Munk non avrebbe fatto loro alcun effetto». E alle obiezioni sollevate ha ripetuto: «Non si può costruire un pensiero aspirazionale su chi è solo veicolo e non creatore del pensiero». Per aggiungere poi in mezzo a qualche chef ospite che annuiva: «Munk ha dovuto mettere in gioco sé stesso per far quel tipo di lavoro lì. Gli altri (i membri del personale di sala) lo possono fare solo attraverso l’esperienza diretta con il cliente». L’amministratore delegato allude al fatto che le capacità e l’empatia di un cameriere non si possano cogliere se non di persona. Lo schermo sarebbe un ostacolo che non consentirebbe di valutare appieno questo tipo di servizio tailor-made.
@imagohassler
Per quanto Ievolella faccia i propri interessi e affronti la questione da esterno al settore, un messaggio del genere rischia di “affossare” una categoria professionale — i camerieri — già ritenuta di serie B. Forse, dire che non sono in grado di essere altrettanto «aspirazionali» significa continuare a diffondere inconsapevolmente l’idea che sia un lavoro di ripiego, di bassa manovalanza. È davvero così? La comunicazione dovrebbe essere pure di stimolo alle nuove generazioni per dare loro fiducia nell’intraprendere un percorso che in alcuni casi può riservare grandi soddisfazioni. Sì, anche più di quelle che possono gratificare un cuoco, costretto magari a stare per ore e ore rinchiuso entro uno spazio limitato e angusto a cucinare. Oltre al fatto che, secondo alcuni, da un format sui maître trarrebbe beneficio tutto il mondo enogastronomico. Chef inclusi.
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