Discriminazioni di genere

Chiara Pavan: "Basta disparità per le donne in cucina. Chiamatemi cheffe"

La cuoca stellata del Venissa sceglie il femminile e prova a scardinare gli squilibri per le donne nel mondo della gastronomia: "O cambia la società o continueremo a chiedere alle donne di sacrificare tutto"

  • 20 Agosto, 2025

Vuole essere chiamata semplicemente «cheffe» – il femminile francese di chef – Chiara Pavan, la cuoca stellata del Venissa che insieme al compagno Francesco Brutto sta ridefinendo il concetto di cucina contemporanea e “ambientale” nell’isola di Mazzorbo. Per lei riconoscere i ruoli femminili in cucina attraverso il linguaggio non è solo una questione di forma, ma un vero simbolo di cambiamento e una battaglia culturale fondamentale per porre fine alle disparità di genere nel mondo della ristorazione. «Se la parola esiste, perché non usarla?» dice netta in un’intervista a Repubblica, spiegando una scelta linguistica che richiama il pensiero di Michela Murgia e della sociolinguista Vera Gheno. «O cambia la società, o continueremo a chiedere alle donne di sacrificare tutto il resto» sostiene, tracciando il suo percorso e le sfide di una professione totalizzante.

La laurea in filosofia e l’amore per la cucina

Nell’intervista a IlGusto firmata dalla direttrice Eleonora Cozzella, Pavan racconta il suo esordio nel mondo della cucina. Un ingresso nato quasi per caso durante gli studi in filosofia, trasformatosi in pochi anni in una carriera di successo grazie alla scuola Alma e allo stage con Valeria Piccini al ristorante Da Caino in Maremma.

«È stata la mia prima volta in un ristorante gastronomico e mi ha cambiato la vita. Tutto mi sembrava meraviglioso: lo stile, i prodotti, l’organizzazione. Ho capito che volevo rimanere in questo mondo rigoroso» confessa, ricordando con entusiasmo anche l’esperienza accanto a chef donne come Anna Matscher, che grazie a brigate guidate «con sensibilità matriarcale» hanno saputo «aprire nuove strade nel mondo della cucina professionale».

Piena inclusione anche nelle brigate

La “cheffe” non nega però la realtà. La cucina resta un ambiente faticoso e dalle dinamiche complesse, soprattutto quando si tratta di conciliare lavoro e vita privata. «La nostra è una professione totalizzante: si lavora a pranzo, a cena, si torna tardi. Ma non è la fatica», dice, «a rendere difficile il percorso per le donne, quanto tutto quello che ci si aspetta da noi al di fuori del lavoro. Non è un caso che il 90% dei curriculum che riceviamo siano di uomini. Spesso le ragazze neanche ci provano. Finché la società non si trasformerà, alle donne verrà chiesto di sacrificare tutto». Ecco perché al Venissa Pavan punta su brigate miste, convinta che «cambiare il linguaggio, lo stile, la creatività» passi attraverso la piena inclusione femminile.

Il lavoro dentro e fuori dai fornelli

Una filosofia che si riflette anche nella sua cucina, che definisce «contemporanea, vegetale, di prodotto, ma soprattutto gustosa». Un’applicazione concreta del concetto di “cucina ambientale” da lei stessa coniato, che trae forza e ispirazione dalla delicatezza e unicità della laguna veneziana. «Lavoro a stretto contatto con i pescatori – spiega – e cerco di tradurre ingredienti locali e innovativi in piatti che riflettano il nostro ambiente, dalle moeche rare alle specie aliene che popolano la laguna come il granchio blu e lo scrigno di Venere».

Ma il suo impegno si estende oltre i fornelli. Dalla cucina stellata, Pavan ha varcato i confini della televisione come giudice ospite a MasterChef, programma che le ha permesso di scoprire un mondo di giovani talenti e di trasmettere la sua visione. «Con Anna Zhang, la vincitrice dell’ultima edizione, siamo diventate amiche», racconta. E sulla possibilità di vederla in tv con un programma tutto suo rivela: «Non mi dispiacerebbe, anche se nessuno me lo ha proposto. Ma il problema è sempre il tempo. Amo la comunicazione, mi piace viaggiare, scoprire ingredienti, parlare con produttori. Sarebbe un programma di divulgazione».

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