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Storia

Cicerone, l'amicizia e la tavola: dalla Maturità Classica all'invenzione del cannolo siciliano

Amicizia, tavola, convivialità... Alla scoperta di Cicerone alla luce della versione per la Maturità Classica: inventò lui il cannolo siciliano

  • 19 Giugno, 2025

Dicevano i saggi latini: “amicus certus in re incerta cernitur”. Ma cosa accade se l’amico certo si presenta anche con una bottiglia di Falerno e una cesta di pane caldo? Domanda non peregrina, vista la versione proposta come seconda prova alla Maturità Classica, un brano dai dialoghi di Cicerone, in particolare dal “Laelius de amicitia”: insomma, è il momento giusto per riscoprire quanto, nella visione ciceroniana, l’amicizia fosse tutt’altro che un concetto astratto e quanto fosse per di più legata alla convivialità. Innanzitutto, per Cicerone l’amicizia vera si coltiva con la stessa cura con cui si prepara un banchetto: scelta attenta degli ingredienti (virtù, fedeltà, onestà), lunga cottura (il tempo necessario per conoscersi), e una tavola intorno alla quale potersi parlare con libertà e affetto. E se mai vi capitasse di sedervi a tavola con Marco Tullio Cicerone, sappiate che vi aspettano più di una portata di eloquenza e qualche brindisi filosofico. Già, perché il grande oratore romano non era solo il paladino della retorica repubblicana, ma anche un convinto sostenitore della convivialitas come forma privilegiata dell’amicizia.

Tra letteratura e forchetta

La convivialità, nell’antica Roma, non era semplicemente un momento di svago, ma un’arte raffinata. Il simposio, ereditato dal mondo greco, si trasformava in convivium romano, dove si discuteva di politica, filosofia, amore, e anche un po’ di cucina – magari sorseggiando vino annacquato, come voleva la decenza, e gustando piatti che oggi chiameremmo “fusion”.
In questo contesto, Cicerone innalza l’amicizia al rango di virtù civile e privata, e lo fa spesso evocando l’idea del convivio come luogo del riconoscimento reciproco. Mangiare insieme, nel mondo romano, è l’atto che rompe le distanze sociali e rinsalda i legami: un amico è colui che condivide il pane, ma anche le idee. “Senza amicizia, la vita non è vita”, scrive Cicerone – e aggiungiamo: nemmeno una cena è cena, se manca la buona compagnia.

Laelius, il filosofo gourmet

Nel dialogo proposto agli studenti, il personaggio di Lelio riflette sull’essenza dell’amicizia dopo la morte di Scipione Emiliano. È un testo profondo e malinconico, ma attraversato da una fiducia incrollabile nel valore umano dell’amicizia, che si esprime – anche – nei gesti quotidiani. Tra questi, come dimenticare il “mangiare insieme”? Non è un caso che proprio nei momenti di lutto, i Romani si riunissero a tavola per onorare la memoria dei defunti: il pasto collettivo diventava rito di consolazione e testimonianza della continuità dei legami.
E chissà, forse proprio con Scipione, Cicerone avrebbe condiviso volentieri una moretum (crema di formaggio) all’aglio o qualche oliva di Venafro, parlando di giustizia e di buoni senatori.

Da Arpino a oggi: un’eredità sempre attuale

La maturità di quest’anno ci ricorda che la classicità è tutt’altro che morta: è seduta lì, con noi, magari intenta a spezzare il pane e a discutere sul senso dell’essere insieme. E in tempi di social network e rapporti fugaci, il messaggio di Cicerone suona più che mai attuale: l’amicizia, quella vera, si costruisce nella vicinanza, nell’ascolto, nella presenza. Magari davanti a una tavola apparecchiata, con il cellulare rigorosamente spento.
Perché se è vero che “la vita senza amici non ha valore”, come scrive Cicerone, allora che sia almeno una vita da gustare in buona compagnia. E sempre per citare il retore latino: Cicerone diceva “Il piacere dei banchetti non si deve misurare dalle squisitezze delle portate, ma dalla compagnia degli amici e dai loro discorsi”.

L’invenzione del cannolo siciliano

Viene attribuita a Cicerone – ma siamo nel limbo tra Storia e leggenda – anche “l’invenzione” del cannolo siciliano. Una delle prime testimonianze di un dolce molto simile al cannolo risale all’antica Roma. Il retore latino lo descrive come “tubus farinarius dulcissimo edulio ex lacte fartus”, ovvero “un cilindro a base di farina, molto dolce, preparato con latte buono da mangiare”. Una delle chicche gastronomiche particolarmente care a Marco Tullio che intorno ai suoi 30 anni passò un periodo in Sicilia come questore di Lilibeo, l’attuale Marsala. Dall’incontro con la ricetta romana delle tradizioni degli arabi che avevano dominato l’isola sarebbe nato il cannolo siciliano: il “tubo” di Cicerone unito al modo di preparare un antico dolce arabo a base di ricotta, mandorle e miele.

Cicerone: cibo metafora politica

Accenni al cibo sono diffusi in tutta l’opera ciceroniana. Nelle lettere raccolte in “Ad familiares” il cibo diventa strumento di critica politica. Il collegamento di una precisa pietanza con un determinato personaggio viene utilizzato per prendersi gioco di quest’ultimo. In una delle epistole, per esempio, Cicerone descrive fortissimi disturbi intestinali causatigli da una cena le cui portate erano, in rispetto alla legge suntuaria di Cesare, a base di bietole e malva: l’episodio gli offre lo spunto per criticare tale provvedimento che, invece di regolare gli eccessi limitando il consumo di carni, creerebbe solo dolori di stomaco. Invece in un altro passo il retore gioca sull’ambiguità del termine “pavo“, animale allora pregiato ma ritenuto anche simbolo di vanità, e sul termine “ius”, che vuol dire “diritto”, ma anche “brodo”: i “cesariani” Irzio e Dolabella sarebbero pavoni che sguazzano, ignari, nel brodo preparato da Cicerone, loro maestro di retorica. Poi, la parsimonia della tavola di Peto – descritta in due passi della epistola 9 – è un’occasione per criticare la soluzione dei debiti adottata da Cesare. E ancora: l’aruspice Spurinna, che intimò a Cesare di non recarsi in senato alle Idi di Marzo, inviterebbe Peto (con amaro capovolgimento ironico) a frequentare nuovamente i banchetti degli amici.

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