Un accordo, quello tra Stati Uniti ed Europa, che lascia l’amaro in bocca alle imprese italiane. I dazi al 15% non sono una buona notizia, sebbene rappresentino uno spiraglio rispetto al 30% annunciato in precedenza da Trump. Certo, bisognerà ancora vedere se ci saranno delle esenzioni, come ancora spera il mondo vitivinicolo, ma meglio non farsi troppe illusioni.
La delusione delle associazioni vitivinicole è palese. «Con i dazi al 15% il bicchiere rimarrà mezzo vuoto per almeno l’80% del vino italiano – è il commento del presidente di Unione italiana vini Lamberto Frescobaldi – Il danno che stimiamo per le nostre imprese è di circa 317 milioni di euro cumulati nei prossimi 12 mesi, mentre per i partner commerciali d’oltreoceano il mancato guadagno salirà fino a quasi 1,7 miliardi di dollari. Il danno salirebbe a 460 milioni di euro qualora il dollaro dovesse mantenere l’attuale livello di svalutazione».
Da qui l’appello al governo italiano e all’Ue per considerare adeguate misure per salvaguardare il settore.: «Con l’incontro di oggi in Scozia fra i presidenti Trump e von der Leyen si è almeno usciti da un’incertezza che stava bloccando il mercato; ora sarà necessario assumersi il mancato ricavo lungo la filiera per ridurre al minimo il ricarico allo scaffale». Secondo le nostre analisi dell’Osservatorio, a inizio anno la bottiglia italiana che usciva dalla cantina a 5 euro veniva venduta in corsia a 11,5 dollari; ora, tra dazio e svalutazione della moneta statunitense, il prezzo della stessa bottiglia sarebbe vicino ai 15 dollari. Con la conseguenza che, se prima il prezzo finale rispetto al valore all’origine aumentava del 123%, da oggi lieviterà al 186%. Per Uiv, il conto si fa molto più salato alla ristorazione, dove la stessa bottiglia da 5 euro rischierà di costare al tavolo – con un ricarico normale – circa 60 dollari.
Secondo l’Osservatorio– qualora non si attivasse una riduzione dei ricavi lungo la filiera, che rappresenta comunque un danno – è di trovarsi, a fine 2026, vicino ai valori espressi nel 2019. Per Uiv, ben il 76% (l’equivalente di 366 milioni di pezzi) delle 482 milioni di bottiglie tricolori spedite lo scorso anno verso gli Stati Uniti si trova in “zona rossa”, con una esposizione sul totale delle spedizioni superiore al 20%. Aree enologiche con picchi assoluti per il Moscato d’Asti (60%), il Pinot grigio (48%), il Chianti Classico (46%), i rossi toscani Dop al 35%, quelli piemontesi al 31% così come il Brunello di Montalcino, per chiudere con il Prosecco al 27% e il Lambrusco. In totale sono 364 milioni di bottiglie, per un valore di oltre 1.3 miliardi di euro, ovvero il 70% dell’export italiano verso gli Stati Uniti.
Esprime preoccupazione anche Federvini. «Un’ipotesi di dazi al 15% pone una criticità evidente per il comparto – dichiara il presidente Giacomo Ponti – e l’obiettivo condiviso resta arrivare ad una percentuale inferiore, più sostenibile per le nostre imprese, pur avendo presente che l’optimum sarebbe dazio zero. La speranza è che entro il primo agosto si possa avere un ulteriore margine per impostare le nostre relazioni commerciali con un partner fondamentale e un alleato strategico come gli Stati Uniti. È importante capire – prosegue Ponti – se esistano spazi per un confronto più approfondito e tecnico, in grado di considerare le specificità dei singoli settori e delle diverse categorie merceologiche».
Altro aspetto delicato riguarda le modalità di applicazione: «Il 15% è comunque una percentuale che sposta verso l’alto il dazio ad valorem – precisa Ponti – ma è essenziale chiarire se si tratti di un’aliquota unica o se andrà ad aggiungersi a dazi già esistenti. In quest’ultimo caso, le conseguenze sarebbero ancora più critiche per la competitività delle nostre esportazioni».
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